Data: 21/04/2013 10:40:00 - Autore: Licia Albertazzi

di Licia Albertazzi -�Corte di Cassazione Civile, sezione sesta, sentenza n. 8228 del 4 Aprile 2013.
Il trattamento di fine rapporto (TFR) � una somma dovuta dal datore al lavoratore subordinato, calcolata proporzionalmente al periodo di impiego. Essa ha natura retributiva (calcolata cio� sulla base degli stipendi percepiti) e consiste in un accantonamento periodico effettuato dal datore di lavoro e dovuto al dipendente in caso di cessazione, a qualsiasi titolo, del rapporto di lavoro subordinato. In alcuni casi, espressamente previsti per legge (art. 2120 codice civile) il lavoratore pu� chiedere un anticipo del TFR nella misura massima del 70% della quota accantonata al momento della presentazione della domanda.

La previdenza complementare invece � un istituto con caratteristiche completamente diverse. Diverse aziende istituiscono esse stesse fondi pensione o si affidano a gestori di fondi pensione integrativa al fine di garantire un sussidio ulteriore al lavoratore che raggiunge i requisiti pensionistici. Essa ha natura contributivo � previdenziale (calcolata cio� sui contributi effettivamente versati) e non retributiva e, proprio per questo motivo, non concorre alla formazione del TFR. La Cassazione interviene appunto per negare l'imputazione dei versamenti effettuati dal datore di lavoro a favore del dipendente a titolo di accantonamento a fondo di previdenza integrativa. Tale materia, oltre che dal codice civile, � regolata in parte dai contratti collettivi nazionali, i quali stabiliscono determinate percentuali di versamento a carico del lavoratore e dell'azienda. In conclusione, le caratteristiche intrinseche dell'atto � versamento da parte del datore di lavoro di quota a titolo di contributo previdenziale integrativo - escludono decisamente che gli importi incrementati possano andare ad aumentare la somma accantonata come TFR.


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