Data: 18/07/2022 05:00:00 - Autore: Gilda Summaria

Cos'è il possesso

Il possesso (ex art. 1140 c.c.) è il potere (o “signoria”) sulla cosa ed è considerato come la più importante delle relazioni “materiali” tra un soggetto che possiede e l'oggetto posseduto. Esso si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o altro diritto reale e si definisce titolato o non titolato a seconda dell'esistenza o meno di una giustificazione giuridica posta a sua fondamento.

Per potersi configurare, l'istituto “de quo” necessita di due presupposti essenziali:

  • il corpus possessionis, ossia l'elemento materiale che si concretizza nel potere di fatto esercitato sul bene (richiedendosi, a tal fine, un comportamento positivo, oggettivamente apprezzabile da parte del possessore);
  • l'animus possidendi, ossia l'elemento psicologico che coincide con l'intenzione del soggetto di esercitare sul bene i poteri del proprietario o del titolare di altro diritto reale.

Possesso mediato

Proseguendo oltre, dall'analisi del secondo comma dell'articolo 1140 del codice civile, emerge la distinzione rispetto a un'altra situazione materiale, la detenzione.
La norma, infatti, specifica la possibilità di possedere anche in via indiretta, ossia “per mezzo di altra persona, che ha la detenzione della cosa”.

Differenza tra possesso e detenzione

Caratteristica differenziale della detenzione rispetto al possesso è la mancanza nel titolare, dell'elemento psicologico tipico del possesso, ossia “l'animus possidendi”. Nel caso della detenzione si parla infatti di “animus detinendi”.

Il detentore non ha infatti per nulla la volontà di esercitare poteri sulla res a nome proprio. La relazione del detentore con la cosa si fonda sempre sulla titolarità di un diritto personale di godimento (es.contratto di locazione) o su un'obbligazione (es.contratto di deposito):
Questo non significa che la situazione non possa mutare, affinché tuttavia si tramuti in possesso, è necessario che muti l'”animus” e subentri la c.d. “interversio possessionis”, che si realizza attraverso l'opposizione manifestata dal detentore al possessore e la dichiarazione dello stesso di iniziare a possedere la cosa a nome proprio con un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o altro diritto reale.

Si comprende facilmente il tenore delle difficoltà probatorie circa l'accertamento in concreto dell'animus, “possidendi” piuttosto che “detinendi. Per questo l'ordinamento ha introdotto una presunzione relativa generale di “possesso”. Vediamo di cosa si tratta.

Il possesso in buona fede

L'art. 1147 c.c., dopo aver definito il “possessore di buona fede” come chiunque abbia il possesso della cosa, ignorando di ledere l'altrui diritto, precisa che:

  • la buona fede si presume (non occorre cioè dimostrarla);
  • che la stessa deve esistere “ab origine”, ossia al tempo dell'acquisto;
  • che non giova ai fini del possesso se l'ignoranza di violare la sfera giuridica di un terzo, dipende da colpa grave del possessore.

Il dato si evince dal tenore dell' art. 1141 del codice civile, che attribuisce “de plano”, a chi esercita il potere di fatto sulla cosa la qualifica di “possessore”, a meno che non si provi che costui abbia iniziato ad esercitare il potere stesso sulla cosa quale mero detentore (ad es per l'esistenza di un contratto di locazione).

Conseguenza importante di tale presunzione di possesso è il riconoscimento, anche al detentore, salvo che rivesta siffatta qualifica solo per ragioni di ospitalità o di servizio, della legittimazione a esercitare l'azione di reintegrazione nel possesso.

Effetti del possesso

Il possesso esercitato in buona fede, e come vedremo in realtà anche in mala fede, è produttivo di diversi effetti giuridici.

L'acquisizione dei frutti

Il primo vantaggio lo si ricava dall'art. 1148 c.c. dedicato all'acquisto dei frutti. Al possessore in buona fede infatti spettano "i frutti naturali separati fino al giorno della domanda giudiziale e i frutti civili maturati fino allo stesso giorno." Lo stesso "fino alla restituzione della cosa, risponde verso il rivendicante dei frutti percepiti dopo la domanda giudiziale e di quelli che avrebbe potuto percepire dopo tale data, usando la diligenza di un buon padre di famiglia."

Il possessore di buona fede, quindi, a prescindere dall'origine del suo possesso, acquista la proprietà dei frutti naturali separati dalla res principale e dei frutti civili maturati fino al giorno dell'instaurazione del processo da parte del proprietario. A seguito della proposizione della domanda giudiziale, il possessore risponderà al proprietario rivendicante per i frutti percepiti e percepibili, calcolati sulla base di parametri medi e normali di produzione.

Al contrario ovviamente, il possessore in mala fede, anche se la norma nulla dispone al riguardo, sarà tenuto a restituire tutti i frutti, ossia quelli percetti (raccolti) e quelli percipiendi, che avrebbe cioè potuto acquisire se la cosa fosse stata sfruttata meglio fin dall'impossessamento.

Il rimborso delle spese

Rispetto alle spese affrontate dal possessore, durante il possesso, lo stesso ha diritto a vedersi riconosciuti alcuni rimborsi, per spese effettuate a vantaggio della “res possessionis”, con la precisazione che le spese necessarie occorse per la produzione e il raccolto dei frutti sono sempre rimborsabili al possessore tenuto alla restituzione degli stessi frutti.

Riparazioni miglioramenti e addizioni

Il possessore in buona fede, in quanto tale, si adopererà non solo a raccogliere i frutti ma anche a conservare al meglio la cosa, realizzando riparazioni, miglioramenti e addizioni. In questo caso, nel momento in cui il proprietario agisce per la restituzione della cosa, non potrà non tenere conto delle attività che il possessore ha realizzato per conservare e migliorare l'oggetto del possesso. L'art. 1150 c.c dispone infatti che:

"1. Il possessore, anche se di mala fede, ha diritto al rimborso delle spese fatte per le riparazioni straordinarie .

2. Ha anche diritto a indennità per i miglioramenti recati alla cosa, purché sussistano al tempo della restituzione.

3. L' indennità si deve corrispondere nella misura dell'aumento di valore conseguito dalla cosa per effetto dei miglioramenti, se il possessore è di buona fede; se il possessore è di mala fede, nella minor somma tra l'importo della spesa e l'aumento di valore.

4. Se il possessore è tenuto alla restituzione dei frutti, gli spetta anche il rimborso delle spese fatte per le riparazioni ordinarie, limitatamente al tempo per il quale la restituzione è dovuta.

5. Per le addizioni fatte dal possessore sulla cosa si applica il disposto dell'articolo 936. Tuttavia, se le addizioni costituiscono miglioramento e il possessore è di buona fede, è dovuta un'indennità nella misura dell'aumento di valore conseguito dalla cosa."

In relazione a dette indennità, il giudice, in base a quanto sancito dal successivo art. 1151 c.c. "avuto riguardo alle circostanze, può disporre che il pagamento (...) sia fatto ratealmente, ordinando, in questo caso, le opportune garanzie."

Il diritto di ritenzione

Tutte le precisazioni fatte fino a questo momento sono necessarie per comprendere al meglio l'istituto delle ritenzione di cui all'art. 1152 c.c. Trattasi di una particolare forma di tutela introdotta dal legislatore in favore del possessore di buona fede, a garanzia dell'adempimento dell'obbligo di indennizzo, gravante sul proprietario vittorioso dopo l'azione di rivendica, per le spese effettuate.

La norma dispone infatti che: "Il possessore di buona fede può ritenere la cosa finché non gli siano corrisposte le indennità dovute, purché queste siano state domandate nel corso del giudizio di rivendicazione e sia stata fornita una prova generica della sussistenza delle riparazioni e dei miglioramenti. Egli ha lo stesso diritto finché non siano prestate le garanzie ordinate dall'autorità giudiziaria nel caso previsto dall'articolo precedente."

Il “diritto di ritenzione” della res quindi permane sino alla completa restituzione di quanto avanzato a titolo di indennizzo.

Trattasi indubbiamente di una forma di autotutela, che deroga al principio per cui nessuno può farsi giustizia da solo. Essa ha pertanto ha carattere eccezionale e praticamente si concretizza nella facoltà di trattenere presso di se un bene altrui.

Caratteristiche del diritto di ritenzione

Alle luce di dette considerazioni, i tratti caratteristici ed essenziali del diritto di ritenzione sono così sintetizzabili:

  • l'accessorietà: in quanto non è una garanzia autonoma ed esclusiva, ma è connessa sempre ad un diritto di credito da tutelare;
  • l'indivisibilità: perché solo il soddisfacimento integrale del credito estingue l'accessorio “diritto di ritenzione”.

Presupposti del diritto di ritenzione

Presupposti invece indefettibili dello stesso diritto sono:
  • il possesso della res;
  • l'esistenza del credito;
  • il collegamento tra il credito e il bene posseduto.

Secondo una certa opinione dottrinale, che si ritiene in effetti di dover condividere, la “ratio” dell'istituto si rinviene in un riequilibrio di posizioni giuridiche, che altrimenti risulterebbero impari. Se il possessore di buona fede, creditore di somme, fosse tenuto comunque ed in ogni caso alla restituzione del bene, senza poter eccepire alcunché, si realizzerebbe un ingiusto vantaggio a favore del proprietario.

Secondo altra dottrina invece il possessore di buona fede che ritiene va incontro in realtà allo svantaggio di non poter soddisfare direttamente il suo diritto di credito, utilizzando, vendendo o sottoponendo la “res” ad azione esecutiva, ma solo trattenendo il bene fino al momento in cui il proprietario non provvederà a rimborsarlo completamente.

Interessante infine la definizione del diritto di ritenzione contenuta nella Cassazione n. 27990/2019: "Il diritto di ritenzione, che è riconosciuto in via generale nell'art. 1152 cod. civ. e si configura come situazione non autonoma ma strumentale all'autotutela di altra situazione attiva generalmente costituita da un diritto di credito, è contemplato in favore dell'affittuario di fondo rustico nell'art. 20 della legge 3 maggio 1982, n. 203 [così come lo era, già, nell'art. 15 della precedente legge n. 11 del 1971] in stretta correlazione al diritto di credito per le indennità spettanti al coltivatore diretto per i miglioramenti, le addizioni e le trasformazioni da lui apportati al fondo condotto, sicché, presupponendo l'esistenza di un credito derivante dalle opere indicate e realizzate dal coltivatore diretto, non è scindibile dall'esistenza di detto credito o dall'accertamento di questo. Pertanto, eccepito dall'affittuario che si opponga all'esecuzione del rilascio di un fondo rustico il diritto di ritenzione a garanzia del proprio credito per i miglioramenti apportati al fondo, il giudice non può limitarsi ad accertare l'esistenza delle opere realizzate dall'affittuario, ma deve verificarne anche l'indennizzabilità, rigettando l'eccezione ave tale verifica dia esito negativo."

Tutte le notizie