Data: 23/05/2013 09:10:00 - Autore: L.S.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 12232 del 20 maggio 2013, ha affermato che "ai fini della legittimit� del licenziamento disciplinare irrogato per un fatto astrattamente costituente reato, non rileva la valutazione penalistica del fatto n� la sua punibilit� in sede penale, n� la mancata attivazione del processo penale per il medesimo fatto addebitato, dovendosi effettuare una valutazione autonoma in ordine alla idoneit� del fatto a integrare gli estremi della giusta causa o giustificato motivo del recesso.". 
Il caso preso in esame dai giudici di Piazza Cavour vede come protagonista un dipendente che aveva avuto un diverbio litigioso con un collega - al quale aveva rivolto la frase "Ti metto in un pilastro"- che, secondo i giudici di merito, avuto riguardo al suo concreto svolgimento, cos� come risultante dalle emergenze istruttorie non integrava, con riferimento anche ai precedenti disciplinari e alle previsioni contrattuali, una giusta causa od un giustificato motivo di licenziamento
Rilevava la Corte territoriale che il diverbio litigioso non era stato seguito da vie di fatto e non aveva arrecato grave perturbamento, sicch� difettavano i due "elementi aggiuntivi" assunti dal CCNL quali presupposti per la configurabilit� di un'ipotesi di licenziamento in tronco. La Societ� datrice di lavoro, ricorrendo in Cassazione, sosteneva, quanto alla valutazione della portata intimidatoria della frase, l'erroneit� della sentenza della Corte territoriale sul rilievo che la minaccia integra un reato formale di pericolo e, quindi, l'idoneit� intimidatrice della condotta dell'agente va valutata ex ante a prescindere dall'effettivo verificarsi in concreto della turbativa e non � necessaria, ai fini della sua configurabilit�, la presenza del soggetto passivo essendo sufficiente che costui ne venga a conoscenza aliunde. 
La Suprema Corte, non condividendo la censura illustrata dalla Societ�, ha precisato che "l'apprezzamento della gravit� del comportamento del dipendente, ai fini del giudizio sulla legittimit� del licenziamento per giusta causa, deve esser compiuta alla stregua della ratio dell'art. 2119 c.c. e cio� tenendo conto dell'incidenza del fatto sul particolare rapporto fiduciario che lega il datore di lavoro al lavoratore, delle esigenze poste dall'organizzazione produttiva e delle finalit� delle regole di disciplina postulate da detta organizzazione. Lo stabilire se nel fatto commesso dal dipendente ricorrano o meno gli estremi di una giusta causa di licenziamento ha pertanto carattere autonomo rispetto al giudizio che del medesimo fatto debba darsi a fini penali.". 
La sentenza impugnata, proseguono i giudici di legittimit�, � sotto il profilo in esame, corretta avendo i giudici di appello proceduto, con riferimento al comportamento addebitato al lavoratore astrattamente costituente reato, ad un autonoma valutazione dello stesso ex art. 2119 c.c. Inoltre la Corte del merito, contrariamente a quanto asserito dalla societ� ricorrente, non ha affatto ignorato, nel procedere all'apprezzamento ex art. 2119 c.c. del fatto addebitato, n� le precedenti mancanze disciplinari, n� gli allegati similari episodi, per un verso escludendo la rilevanza dei precedenti disciplinari non avendo questi nessuna correlazione, per tipologia e gravit�, con l'episodio che ha dato luogo al licenziamento, e dall'altro ritenendo che i cd. episodi similari non integrano, sulla base della espletata istruttoria, circostanza confermativa dell'unica mancanza contestata.

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