Data: 04/06/2013 12:00:00 - Autore: L.S.

"Nella disciplina del rapporto di lavoro, ove numerose disposizioni assicurano una tutela rafforzata alla persona del lavoratore con il riconoscimento di diritti oggetto di tutela costituzionale, il datore di lavoro non solo č contrattualmente obbligato a prestare una particolare protezione rivolta ad assicurare l'integritą fisica e psichica del lavoratore dipendente (ai sensi dell'art. 2087 cod. civ.), ma deve altresģ rispettare il generale obbligo di neminem laedere e non deve tenere comportamenti che possano cagionare danni di natura non patrimoniale, configurabili ogni qual volta la condotta illecita del datore di lavoro abbia violato, in modo grave, i suddetti diritti.".

Ribadendo tale principio la Suprema Corte, con sentenza n. 12725/2013, decidendo sul ricorso proposto da un lavoratore volto ad ottenere dalla datrice di lavoro il pagamento di: 1) una giusta remunerazione per i maggiori incarichi svolti con mansioni superiori rispetto a quelle dell'assunzione; 2) l'indennitą/incentivo comunque dovutagli "per gli eccellenti risultati conseguiti dall'azienda" in costanza di rapporto di lavoro; 3) l'indennitą di trasferimento di proprietą dell'azienda e l'indennitą sostitutiva di preavviso, rispettivamente previste dagli artt. 13 e 16 CCNL di categoria (dirigenti); 4) i danni patiti a causa del demansionamento e/o del mobbing; 5) il danno biologico riconducibile all'attivitą lavorativa svolta; 6) i danni per invaliditą da attivitą lavorativa specifica, ha affermato che "Tali comportamenti, anche ove non siano determinati ex ante da norme di legge, sono suscettibili di tutela risarcitoria previa individuazione, caso per caso, da parte del giudice del merito, il quale, senza duplicare le voci del risarcimento (con l'attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici), č chiamato a discriminare i meri pregiudizi - concretizzatisi in disagi o lesioni di interessi privi di qualsiasi consistenza e gravitą, come tali non risarcibili - dai danni che vanno invece risarciti".

In particolare i Giudici di piazza Cavour hanno precisato che "Ai fini della configurabilitą del mobbing lavorativo devono quindi ricorrere molteplici elementi: a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio - illeciti o anche leciti se considerati singolarmente - che, con intento vessatorio, siano stati posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi; b) l'evento lesivo della salute, della personalitą o della dignitą del dipendente; c) il nesso eziologico tra la descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integritą psico-fisica e/o nella propria dignitą; d) il suindicato elemento soggettivo, cioč l'intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi.
Quel che č certo - si legge nella sentenza - č che per la configurabilitą della responsabilitą per mobbing lavorativo, in senso proprio, č necessario che siano provati tutti i suddetti elementi e dunque č immune da vizi la decisione del giudice di merito di escludere la configurabilitą del mobbing, giustificata - sulla base dģ un giudizio di fatto incensurabile in cassazione ove adeguatamente motivato - dalla mancanza di significative allegazioni e prove al riguardo.


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