Data: 20/06/2013 16:00:00 - Autore: Avv. Luisa Camboni
L'argomento che la scrivente va ad esaminare è quello relativo alla custodia cautelare focalizzando, poi, l'attenzione sulla problematica della durata massima dei termini di custodia cautelare, problematica che mette in forse la tanto auspicata certezza del diritto.

Si tratta di una materia assai delicata in quanto entrano in gioco i principi fondamentali di civiltà giuridica tante volte proclamati et dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale et da quella della Corte Europea dei diritti dell'uomo, a tutela del diritto fondamentale alla libertà personale.

Secondo il nostro ordinamento penale l'indagato in attesa di giudizio si presume non colpevole sino alla condanna definitiva. La nostra Carta Costituzionale all'art. 27 cost., difatti, sancisce il principio della personalità della responsabilità penale: “ La responsabilità penale è personale. L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte”. Si possono, infatti, adottare nei confronti dell'imputato misure restrittive personali non solo se sussistano gravi indizi di colpevolezza ( gravi indizi di colpevolezza intesi come tutti quegli elementi che pur contenendo in nuce elementi strutturali della corrispondente prova non sono sufficienti a provare oltre ogni dubbio la responsabilità dell'indagato, ma consentono con l'acquisizione di ulteriori elementi di dimostrare tale responsabilità (vedasi Cass. Sez. I 08.07.2011- 12.09.2011 n. 33803, GD 11,46,91)), ma anche se sussistano specifiche esigenze cautelari:

pericolo di reiterazione del reato;
pericolo di fuga;
pericolo di inquinamento delle prove.
Le condizioni che giustificano o meglio legittimano l'adozione di una misura restrittiva deve di norma essere accertata in concreto e, ancora, tale misura deve essere proporzionata e ristretta al minimo indispensabile per contrastare in concreto le riscontrate esigenze cautelari.

Che cosa è la custodia cautelare?

E' una misura cautelare personale coercitiva in quanto con essa si tende a privare l'indagato o l'imputato della libertà di locomozione allo scopo di difendere esigenze socialmente e processualmente rilevanti.

La custodia cautelare è detta, anche, carcerazione preventiva, indica la detenzione in un istituto di custodia dell'imputato, disposta dal Giudice con mandato di cattura, su istanza del Pubblico Ministero, quando sussistano particolari esigenze. In primo luogo, a carico dell'imputato devono sussistere gravi indizi di colpevolezza. Inoltre, devono esistere esigenze relative alle indagini (per l'acquisizione e il non inquinamento delle prove), timori fondati di fuga, pericolo di uso di armi o altri mezzi di violenza personale e devono risultare inadeguate tutte le altre misure (come il divieto di espatrio, l'obbligo di presentarsi negli uffici di polizia giudiziaria, il divieto di dimorare in un determinato luogo o, invece, l'obbligo di dimorarvi). Difatti, il Legislatore non afferma che la custodia cautelare va applicata come extrema ratio, ma solo che essa, tra le diverse misure che parimenti soddisfino le concrete esigenze cautelari, deve cedere il passo alle altre. Nel caso in cui, però, risulta essere la sola a soddisfare quella esigenza allora, in tal caso, non si pone alcun problema.

Va precisato che la misura cautelare da applicare va scelta tenendo conto o meglio nel rispetto di due principi:

il principio di adeguatezza: cioè la misura deve essere adeguata alla esigenza cautelare da soddisfare in concreto;
il principio di proporzionalità: cioè la misura deve essere proporzionata all'entità del fatto e alla sanzione che sia già stata inflitta, irrogata o che si ritiene irrogabile.
Sotto il profilo processuale sede di operatività delle misure cautelari è la fase delle indagini preliminari. Il Pubblico Ministero, pur essendo il dominus di tale fase, non può mai applicare una misura cautelare, ma la deve sempre chiedere al Giudice. Insomma, il potere decisionale in materia di misure cautelari spetta unicamente al Giudice: solo il Giudice può disporre la misura, revocarla in peius o in melius, sostituirla con altra.

Il Giudice se accoglie la richiesta formulata dal Pubblico Ministero emette ordinanza con cui dispone l'applicazione della misura. Ordinanza che deve avere, a pena di nullità, un contenuto ben preciso ai sensi dell'art. 292c.p.p..

Dopodiché, l'ordinanza viene consegnata ad un Ufficiale di P.G. perché provveda all'esecuzione. Tale esecuzione si estrinseca nella notifica dell'ordinanza al destinatario. Con la notifica l'ufficiale di P.G. avverte il destinatario che ha diritto di nominare un legale di fiducia. Il Legislatore ha, difatti, dato notevole importanza alla posizione o meglio al ruolo che il legale svolge in questa circostanza, ovvero egli è chiamato a tutelare i diritti della persona che si trova in status di restrizione. Noi Avvocati assumiamo, quindi, il ruolo di dominus della condizione della persona che siamo chiamati a tutelare, a difendere. Al riguardo la Suprema Corte ha precisato che:“ l'inosservanza dell'obbligo, imposto dal comma 1 dell'art.293 c.p.p. all'ufficiale o all'agente incaricato dell'esecuzione dell'ordinanza impositiva della custodia cautelare, di avvertire l'indagato della facoltà di nominare un difensore di fiducia, importa una mera irregolarità dell'atto, insuscettiva di produrre conseguenze processuali giuridicamente rilevanti “ ( Cass. Sez. I 29.10.1993 – 03.12.1993 n.4559). In questo modo, la persona arrestata ha il diritto di essere sentita con l'assistenza del difensore ciò al fine di garantire il diritto di difesa che costituisce uno dei principi base del nostro ordinamento (art. 24 cost.: “ Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Sono assicurati ai non abbienti con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari”).

La materia di durata delle misure cautelari ha rilievo costituzionale, infatti, l'art. 13 comma 5 cost. sancisce “la legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva “.

Il problema dei tempi di durata della custodia cautelare è strettamente connesso a quello dei tempi del processo. Difatti, l'adozione di una misura cautelare richiede la sussistenza di esigenze processuali; vieppiù! è richiesto, anche, assicurare un corretto accompagnamento delle misure alle diverse fasi del processo.

Noi Avvocati, per esperienza, ben sappiamo che i processi italiani hanno una durata biblica, ciò è confermato anche dalle innumerevoli condanne inflitte al nostro Paese dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo. Giova, a questo punto, ricordare che nel nostro ordinamento, a differenza di altri ordinamenti dove vige un sistema di tipo flessibile a garanzia delle esigenze processuali dove è possibile, sino a quando il processo non giunge al termine, applicare le misure senza sostanziali limiti di tempo, vige un sistema di tipo rigido, ciò sta a significare che sono previsti termini fissi di durata per le misure cautelari.

A questo punto ci si pone un interrogativo: su chi deve essere fatto ricadere il rischio della lungaggine del processo? sull'ordinamento o sull'imputato?

Senza ombra di dubbio chi risente di ciò è il soggetto ristretto, l'imputato a dover subire la lungaggine irragionevole del processo. Lungaggine che va a ripercuotersi sulla misura applicata e, conseguentemente, su uno dei diritti fondamentali della persona, vale a dire la libertà personale. Questo è il parere anche di chi scrive.

Passiamo ora ad esaminare come il Legislatore ha organizzato il sistema dei termini, della durata della custodia cautelare la cui disciplina è dettata dagli artt. 303 – 304 – 305 c.p.p.. Preliminarmente occorre distinguere i termini in:

termini di fase
termini complessivi
termine finale complessivo.
I termini di fase, come si desume dalla espressione stessa, prevedono un termine per ciascuna fase del processo, mentre i termini complessivi sono termini aggiuntivi che vengono inseriti o meglio calibrati sull'intera durata del processo. Invece, il termine finale complessivo, cioè il cosiddetto massimo del massimo, non può mai essere superato neppure in caso di sospensioni o proroga dei summenzionati termini. Più precisamente, il Legislatore ha previsto termini differenti a seconda del tipo di misura (coercitive custodiali, coercitive non custodiali, interdittive). Termini diversi sono previsti, però, anche in riferimento alle tipologie e alla gravità del reato (si legga quanto previsto all'art. 303 c.p.p. comma 1 sui termini di base e comma 4 sui termini complessivi con riferimento alla custodia cautelare e all'art. 308 c.p.p. per le misure coercitive diverse dalla custodia cautelare).

Quanto ai termini di fase il Legislatore ha stabilito che la misura cautelare adottata perde efficacia se entro quel termine non viene emesso il provvedimento conclusivo di quella fase; se, invece, il provvedimento viene emesso la custodia cautelare permane e, a questo punto, occorre prendere in considerazione i termini della nuova fase processuale. Chi scrive ritiene importantissimo evidenziare che ciascuna fase processuale è autonoma questo significa che i termini variano da fase a fase e, anche, in relazione della gravità del reato.

Le fasi processuali individuate dall'art. 303 c.p.p. sono quattro:

fase delle indagini preliminari,
fase del giudizio;
fase di appello;
e, infine, la cosiddetta fase ultima.
Partiamo dalla fase delle indagini preliminari e sulla base delle regole dettate dal Legislatore vediamo di comprendere quale ragionamento va fatto per capire quando la misura cautelare nella specie la custodia cautelare viene meno, perde efficacia. La misura de qua perde efficacia nel caso in cui non viene emesso il provvedimento conclusivo di tale fase e cioè il provvedimento che dispone il giudizio. In questo caso allo scadere del termine, che varia a seconda della gravità del reato ( mesi tre per i reati per i quali la pena massima è fino a sei anni di reclusione, mesi sei per i reati con pena superiore ad anni sei e inferiore a venti anni, un anno per i reati per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o la reclusione non inferiore a venti anni), l'indagato deve essere immediatamente scarcerato. Individuato il termine finale è lecito chiedersi: qual è il dies a quo per il computo di tali termini? Nulla quaestio: occorre, semplicemente, verificare il giorno in cui ha avuto esecuzione il provvedimento coercitivo.

Questo ragionamento vale pure per le altre fasi anche se i termini massimi cambiano. Per la seconda fase i termini sono :

sei mesi se la pena prevista per quel reato è sino a sei anni;
un anno se la pena edittale è fino a venti anni;
un anno e sei mesi per i reati di maggiore gravità.
Per la terza fase i termini sono:

nove mesi se la pena che è stata inflitta con la sentenza è inferiore ad anni tre di reclusione;
un anno se vi è stata condanna alla pena della reclusione che non superi gli anni dieci;
un anno e sei mesi se la condanna supera i dieci anni.
Questi ultimi termini valgono anche per la quarta fase.

A questi termini di fase, come già anticipato, il Legislatore ha previsto anche un termine complessivo riferito cioè all'intero processo.

Tenuto conto che è possibile la proroga del termine, ossia che quel termine può essere superato, in ogni caso è previsto un tetto massimo. Infatti, la durata complessiva della custodia cautelare, computate anche le proroghe ex art. 305 c.p.p., non può superare i seguenti termini:

due anni quando si tratta di un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a sei anni;
quattro anni quando si tratta di delitto per il quale la pena non supera i venti anni;
sei anni nei casi di maggiore gravità.
In conclusione, la durata della custodia cautelare non può superare il doppio dei termini previsti per ciascuna fase e quanto al termine finale complessivo questo non può essere superato oltre la metà ex art. 304 comma 6 c.p.p..

I termini di fase possono essere sforati? In quali casi?

La risposta è positiva e le ipotesi in cui ciò si verifica sono:

- nuova decorrenza del termine ( cioè i termini cominciano a decorrere ab initio): si verifica in due casi:

a) quando il processo regredisce (per esempio il giudice si dichiara incompetente;

b)quando la persona sottoposta a custodia cautelare evade. Con questo meccanismo, dunque, i termini di fase possono essere superati, fermo restando, però, il termine complessivo (in tema di custodia cautelare si legga quanto previsto ex art. 303 commi 2 e 3 c.p.p.).

- proroga del termine: (art. 305 c.p.p.), proroga concessa su richiesta del Pubblico Ministero al Giudice. Il Giudice la può concedere o meno, e questo dopo un piccolo contraddittorio durante il quale avrà sentito il difensore dell'imputato. Con ordinanza (si noti bene che l'ordinanza è la forma del provvedimento con cui il Giudice si pronuncia in materia cautelare!), il Giudice stabilirà l'entità di questa proroga, che per legge non può, comunque, essere superiore ad un certo limite imposto dalla legge. Anche in questo caso, inoltre, il termine complessivo resta valido, e non potrà successivamente essere oltrepassato. La proroga è richiesta non solo per esigenze investigative, ma è possibile che sia richiesta, anche, qualora debba essere effettuata una perizia sullo stato di mente dell'imputato. In tal caso, la proroga avrà la durata richiesta dalla perizia stessa.

- congelamento automatico del termine: consente di superare i termini di fase. Il congelamento automatico del termine vale soltanto per le misure custodiali e solo per la fase del dibattimento. In presenza di queste circostanze, dunque, non si contano i giorni che servono per il dibattimento, né quelli necessari per la decisione. Tale eccezione trova espressione all'art. 297 comma 4 c.p.p., ed è oggetto di diatriba.

Dobbiamo, infine, prendere in considerazione l'istituto della sospensione disciplinato dall'art.304 c.p.p..

La sospensione opera nei periodi dei tempi morti del processo, o meglio di certi tempi morti, come quelli dovuti per impedimento dell'imputato e del suo difensore. Altri periodi di sospensione del termine sono quelli seguenti alla sentenza, durante i quali i giudici scrivono le motivazioni della sentenza (rischio, tuttavia, addossato all'imputato). A causa di queste sospensioni, i termini di fase possono essere raddoppiati e può essere superato anche il termine complessivo, in ogni caso questo ultimo termine non può essere superato in misura superiore alla metà. Facciamo un esempio se il termine complessivo è di 6 anni, il termine finale non potrà essere superiore a 9 anni.

Ora, se i termini scadono, l'imputato andrà rimesso in libertà; in particolare, se esso era sottoposto a custodia cautelare, sarà scarcerato (sempre con ordinanza). Ma cosa accade se il soggetto in questione è socialmente pericoloso? In generale verrà applicata un'altra misura, pur se meno restrittiva. Per i reati più gravi, poi, il legislatore consente di cumulare misure diverse. È anche possibile, in certi casi, ripristinare la custodia cautelare e questo si verifica in caso di violazione alle prescrizioni delle altre misure cautelari predisposte. Il ripristino si verifica, inoltre, in caso di sopravvenienza di una sentenza di condanna. In caso di ingiusta detenzione, peraltro, è possibile chiedere un risarcimento pecuniario allo Stato.

Da quale momento cominciano a decorrere i termini della custodia cautelare?

I termini o, come si legge nell'art. 297 comma 1 c.p.p., gli effetti della custodia cautelare decorrono “ dal momento della cattura, dell'arresto o del fermo”, cioè dal momento in cui l'ordinanza ha materiale esecuzione. Può capitare che l'indagato – imputato si trovi già in un istituto di pena per altri motivi: in questo caso gli effetti decorrono dal momento in cui gli viene notificato il provvedimento.

L'art. 297 comma 3 c.p.p. ipotizza il caso in cui nei confronti di un imputato vengono emesse nel medesimo processo più ordinanze per lo stesso fatto o per reati connessi ( il cosiddetto problema delle contestazioni a catena). In questo caso i termini decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima ordinanza.

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 408 c.p.p. del 03.11.2005, ha precisato che l'espressione contestazione a catena “individua, in via generale, il fenomeno dell'adozione , in tempi successivi, di più ordinanze applicative di misure cautelari in rapporto al medesimo fatto ovvero ad una pluralità di fatti già noti ab initio all'autorità giudiziaria”.

La materia esaminata è, dunque, assai delicata ed in particolare la disciplina del computo dei termini dettata dal Legislatore appare articolata e contorta sconvolgendo, senza dubbio alcuno, certezze e calcoli non solo di imputati ma, anche, di noi difensori. Per queste ragioni, la scrivente ritiene che la disciplina debba essere oggetto di revisione in quanto è in gioco un grande valore e diritto della persona: la libertà che la nostra Carta Costituzionale proclama diritto inviolabile!


Tutte le notizie