|
Data: 07/07/2013 15:20:00 - Autore: Avv. Luisa Camboni Con questo articolo, la scrivente ritiene utile analizzare l'atto di precetto disciplinato nel codice di rito agli artt. 480-482 c.p.c.. In un periodo di crisi come quello che stiamo attraversando, molto spesso noi Avvocati ci troviamo a dover tutelare clienti che vantano pretese creditorie verso società o soggetti privati e, per fare questo, siamo costretti spesso ad attivare una procedura esecutiva che trova nell'atto di precetto il punto di partenza.
Il precetto è l'atto per mezzo del quale il creditore manifesta la volontà di procedere ad esecuzione forzata nei confronti del debitore. Esso è, dunque, atto prodromico all'avvio del procedimento di espropriazione.
Vediamo in cosa consiste e qual è il suo contenuto. Innanzitutto il precetto è l'intimazione rivolta al debitore di adempiere l'obbligo risultante dal titolo esecutivo e nel contestuale avvertimento che, in mancanza di adempimento, si procederà ad esecuzione forzata.
Quanto al contenuto il precetto, ai sensi dell'art. 480 c.p.c., “[…] deve contenere a pena di nullità l'indicazione delle parti, della data di notificazione del titolo esecutivo, se questa è fatta separatamente, o la trascrizione integrale del titolo stesso, quando è richiesta dalla legge. In quest'ultimo caso l'ufficiale giudiziario, prima della relazione di notificazione, deve certificare di avere riscontrato che la trascrizione corrisponde esattamente al titolo originale. Il precetto deve inoltre contenere la dichiarazione di residenza o l'elezione di domicilio della parte istante nel comune in cui ha sede il giudice competente per l'esecuzione. In mancanza le opposizioni al precetto si propongono davanti al giudice del luogo in cui è stato notificato, e le notificazioni alla parte istante si fanno presso la cancelleria del giudice stesso. Il precetto deve essere sottoscritto a norma dell'art. 125 e notificato alla parte personalmente a norma degli art. 137 e seguenti.”
Il precetto è atto recettizio, vale a dire produce effetto solo se è portato a conoscenza del destinatario a mezzo della notificazione. Va osservato che la notificazione dell'atto di precetto non costituisce atto introduttivo di alcun giudizio. Ciò è confermato dalla Suprema Corte che ha stabilito che “ la notificazione del precetto non costituisce atto introduttivo di alcun giudizio in quanto si risolve in una intimazione al debitore di adempiere all'obbligo nascente dal titolo esecutivo e nel contemporaneo preavviso che, in caso di inadempienza, il creditore intende procedere coattivamente in forza del titolo esecutivo. L'opposizione al precetto costituisce, invece, atto introduttivo del giudizio giacché con essa viene sollecitata la pronuncia giurisdizionale in ordine alla eseguibilità, in concreto, del titolo di cui è munito il creditore che il debitore ritenga che esistono motivi ostativi dell'esecuzione” (Cass. 29.11.1954 n.4343; Cass. 13.08.1960 n. 2387).
Ciò che rileva è, senza alcun dubbio, individuare il momento iniziale dell'espropriazione forzata, momento che assume notevole importanza pratica determinando da un lato il limite di validità, efficacia del precetto, dall'altro la competenza in caso di opposizione preesecutiva o dal pignoramento.
Di regola l'espropriazione forzata inizia con il pignoramento. Le uniche eccezioni a tale regola sono rappresentate:
– dall'esecuzione su mobili soggetti a pegno o ipoteca, in quanto in questo caso il bene risulta già sottoposto a vincolo;
– dall'esecuzione in forma specifica in cui bisogna necessariamente fare riferimento al precetto.
A queste due ipotesi deve aggiungersi, con l'entrata in vigore della L. 14 maggio 2005 n. 80, l'esecuzione per consegna o rilascio. Infatti, il comma 1 dell'art. 608 c.p.c. è stato così sostituito: “ l'esecuzione inizia con la notifica dell'avviso con il quale l'ufficiale giudiziario comunica almeno 10 giorni prima alla parte, che è tenuta a rilasciare l'immobile, il giorno e l'ora in cui si procederà”.
Quando l'atto di precetto diventa inefficace? E' soggetto al periodo di sospensione feriale?
Vediamo di dare risposta a questi due interrogativi.
Quanto al primo la risposta viene fornita dall'articolo 481 c.p.c. dove si legge: “ il precetto diventa inefficace, se nel termine di novanta giorni dalla sua notificazione non è iniziata l'esecuzione. Se contro il precetto è proposta opposizione, il termine rimane sospeso e riprende a decorrere a norma dell'articolo 627”.
E' bene precisare che il termine di novanta giorni entro cui l'esecuzione deve essere iniziata è un termine di decadenza e non di prescrizione in quanto attinente all'inerzia della parte per tutto il periodo di tempo considerato. E, ancora, nell'ipotesi in cui venga proposta opposizione, questa non impedisce in alcun modo al creditore di dare inizio all'esecuzione. Difatti, l'art. 481 c.p.c. ricollega all'opposizione soltanto “[…] l'effetto di sospendere il termine di efficacia del precetto stesso, non già quello della sospensione dell'esecuzione , che è istituto diverso […]” ( Cass. 13.04.2011 n. 8465).
Quanto al secondo interrogativo il termine di novanta giorni non è soggetto alla sospensione feriale dei termini processuali, in quanto atto autonomo del creditore.
A sostegno di ciò quanto confermato dalla Suprema Corte “ la sospensione di diritto di cui all'articolo 1 della L. 7 ottobre 1969, n. 742 non può essere estesa al termine di efficacia del precetto”(Cass. 21.05.1976 n. 1840; Cass. 27.05.1980 n. 3457).
Da ultimo vorrei richiamare l'attenzione di chi legge su una recente pronuncia della Cassazione Sezione Unite del 01.08.2012 n. 13797 con la quale ha stabilito che costituisce illecito deontologico notificare il precetto senza informare la controparte.
Noi professionisti conosciamo l'iter da seguire per attivare o procedere ad un pignoramento in quanto appreso dalle tante ore passate sui libri e sui codici.
Difatti, occorre per attivare un pignoramento in primis munirsi di un titolo esecutivo ( si pensi ad esempio ad una sentenza su cui è stata apposta la formula esecutiva ex art. 474 c.p.c.; il famoso “Comandiamo a tutti gli ufficiali giudiziari che ne siano richiesti e a chiunque spetti, dimettere a esecuzione il presente titolo, al pubblico ministero di darvi assistenza, e a tutti gli ufficiali della forza pubblica di concorrervi, quando ne siano legalmente richiesti” di cui all'art. 475 comma 3 c.p.c.). L'apposizione della formula esecutiva è indispensabile per poter procedere ad esecuzione forzata.
Una volta in possesso del titolo esecutivo occorre, in secundis, notificare al debitore detto titolo e provvedere a redigere e notificare l'atto di precetto. Questa è la procedura che l'Avvocato, in ottemperanza al codice di rito, deve seguire. Spesso, però, ciò non è sufficiente per porre noi Avvocati al riparo da sanzioni disciplinari. Infatti, la sentenza n. 13797 del 2012, confermando quanto stabilito dalla Cassazione a Sezioni Unite con sentenza del 23.12.2009 n. 27214 ha provveduto ad integrare la procedura del codice di rito con quanto previsto dal Codice deontologico forense, di fatto, imponendo ulteriori adempimenti prima di poter ottenere l'adempimento coattivo del titolo esecutivo.
Analizziamo, quindi, l'iter logico-giuridico seguito dagli ermellini delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
Il punto di partenza è rappresentato dagli articoli 49 e 22 del Codice deontologico forense.
L'art. 49 ( Pluralità di azioni nei confronti della controparte) dispone che “L'avvocato non deve aggravare con onerose o plurime iniziative giudiziali la situazione debitoria della controparte quando ciò non corrisponda ad effettive ragioni di tutela della parte assistita“ mentre l'art. 22 (Rapporto di colleganza) dispone che “L'avvocato deve mantenere sempre nei confronti dei colleghi un comportamento ispirato a correttezza e lealtà “. Alla luce delle summenzionate disposizioni gli ermellini sono giunti alla seguente conclusione non è possibile attivare un'azione esecutiva e, pertanto, non è possibile notificare il titolo esecutivo e il precetto senza prima aver informato il legale della controparte, soprattutto se :
1) il credito per cui si procede è di modesta entità
2) soprattutto quando manca un rifiuto espresso diretto ad escludere la volontaria esecuzione del titolo esecutivo (ad esempio non si è ancora a conoscenza della sentenza).
Quindi, solo dopo aver informato il difensore della parte inadempiente (si presume con raccomandata con ricevuta di ritorno – al fine di avere traccia certa della propria attività – e solo dopo che sia tornata la ricevuta della raccomandata) dell'intenzione di ottenere l'adempimento coattivo del titolo esecutivo, sarà possibile procedere alla notifica del titolo esecutivo e del precetto per poter, poi, iniziare l'esecuzione forzata.
Con la sentenza n. 27214 pubblicata il 23.12.2009 è stato affermato il seguente principio “viola il Codice Deontologico Forense l'avvocato che sulla base di sentenza favorevole al proprio cliente, nonostante la modestia – in relazione alle condizioni economiche del debitore del credito accertato nella pronunzia giurisdizionale e pur in assenza di un rifiuto esplicito di dare spontanea esecuzione alla sentenza, notifichi al debitore atto di precetto (così aggravando la posizione debitoria di questo), senza previamente informare l'avvocato dell'avversario della propria intenzione di dare corso alla procedura esecutiva”.
Al difensore ritenuto responsabile è stata irrogata la sanzione disciplinare dell'avvertimento.
Ancora una volta la Suprema Corte, con l'enunciazione di principi di tale contenuto, richiama l'attenzione di noi Avvocati a riflettere sull'importanza della professione che siamo chiamati a svolgere; professione che richiede che sia tenuto un certo contegno e ciò sia nel rispetto del dovere/diritto di difesa sia nel rispetto del Codice Deontologico Forense che costituisce per noi Avvocati l'a, b, c, cui dobbiamo, quotidianamente, far riferimento.
|
|