Data: 05/07/2013 18:33:00 - Autore: Barbara Luzi

di Barbara Luzi - Nonostante le numerose iniziative per combattere la violenza nei confronti delle donne dall'inizio dell'anno sono state già 65 le vittime dell'"amore criminale" nel nostro paese.
Un dato preoccupante fornito dall'Organizzazione Mondiale della Sanità che ha presentato al Governo un rapporto dal quale l'altro dato altrettanto preoccupante che emerge è che solo il 7% degli abusi viene denunciato.

Purtroppo la mancata denuncia delle violenze subite molto spesso è da rapportare ad un contesto culturale maschilista, all'idea del possesso sulla donna e della gerarchia all'interno del nucleo famigliare che si accompagna alla dipendenza della donna sotto ogni punto di vista. All'interno di questi contesti sociali la violenza nei confronti delle donne non viene vista come un crimine.

Le ragioni di questa cultura sono da ricercare anche nella storia recente.
Solo fino al 1963 era ancora in vigore in Italia lo ius corrigendi che dava al marito il diritto di colpire la moglie accusata, a suo personale giudizio, di aver commesso un errore con lo scopo di “correggerla”.
L'introduzione del nuovo diritto di famiglia nel 1975 ha abolito la potestà maritale dando pari diritti ai coniugi, anche se poi è sopravvissuto ancora fino al 1981 il cd "delitto d'onore" per cui l'uomo che uccideva la moglie, la figlia o la sorella “nello stato d'ira determinato dall'offesa recata all'onore suo e della sua famiglia” aveva diritto ad ogni genere di attenuante.

Gli uomini vengono uccisi di solito durante atti criminali per mano di sconosciuti mentre dal 2002, nel mondo, secondo i dati dell'OMS, la prima causa di omicidio di donne tra i 16 e i 44 anni è da parte di persone conosciute, ed in particolare da parte di partner o ex partner.
In questo range d'età tra le donne la violenza domestica è la maggiore causa di morte o invalidità permanente, più degli incidenti stradali o dei tumori.

A livello territoriale il femminicidio avviene con maggiore incidenza nelle regioni del nord Italia, con la Lombardia in testa seguita da Emilia Romagna, Piemonte e Lazio.
Piuttosto che diminuire il fenomeno ha subito negli ultimi tre anni una recrudescenza e si calcola che dopo la rottura di un rapporto i primi tre mesi sono quelli più critici quelli in cui il tarlo dell'abbandono porta più frequentemente ad episodi di violenza (fonte indagine Eures Ansa).

Di recentissima introduzione in Italia è la legge n°38/2009 "misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori" che aveva lo scopo di fornire una risposta concreta a tutti quegli atti che comportano ossessive invadenze nella propria vita privata che spesso sfociano in veri e propri atti di violenza.
Oltre ad inasprire le pene in caso di violenza sessuale, questa legge introduce nel codice penale l'art. 612 bis rubricato "Atti persecutori" con il quale viene punita la condotta di "chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.".
Purtroppo anche questo strumento rivela i suoi limiti poiché si presenta troppo generico, e carente di un programma di prevenzione o di strumenti atti alla "rieducazione" degli stalker che una volta scontata la propria pena possono tornare liberamente a perseguitare la vittima o ad eseguire la loro "vendetta" ed il delitto è procedibile solo a querela di parte.
I centri antiviolenza stanno chiudendo in molte regioni a causa della mancanza di fondi e denunciare il "persecutore" in assenza di misure protettive nei confronti delle vittime si può rivelare oltremodo pericoloso.

I passi ancora da fare per combattere il fenomeno sono tanti anche se di recente (il 19 giugno il giorno in cui si celebravano i funerali di Fabiana Luzzi, violentata e bruciata viva dal fidanzato n.d.r.) è stata ratificata dal Senato la Convenzione di Istanbul, redatta dal Consiglio d'Europa, primo accordo a livello internazionale e giuridico che crea un pacchetto di norme per proteggere le donne vittime di ogni tipo di violenza, sia fisica che morale, con l'unico obiettivo di combattere la violenza sulle donne e perseguirne legalmente gli autori.
Sono ancora pochi i paesi che l'hanno ratificata, oltre all'Italia ci sono infatti Montenegro, Albania, Turchia e Portogallo e perché il trattato possa diventare realtà è necessaria l'approvazione di altri cinque stati, infatti ne servono dieci di cui almeno otto membri del Consiglio dì Europa.
Gli obiettivi dichiarati all'art. 1 della convenzione sono:
-proteggere le donne da ogni forma di violenza e prevenire, perseguire ed eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica;
-contribuire ad eliminare ogni forma di discriminazione contro le donne e promuovere la concreta parità tra i sessi, ivi compreso rafforzando l'autonomia e l'autodeterminazione delle donne;
-predisporre un quadro globale, politiche e misure di protezione e di assistenza a favore di tutte le vittime di violenza contro le donne e di violenza domestica;
-promuovere la cooperazione internazionale al fine di eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica;
-sostenere e assistere le organizzazioni e autorità incaricate dell'applicazione della legge in modo che possano collaborare efficacemente, al fine di adottare un approccio integrato per l'eliminazione della violenza contro le donne e la violenza domestica.
Auspicando che non sia necessario ancora troppo tempo per l'approvazione di questa convenzione da parte degli altri stati, in fondo è una norma importante di civiltà prima di tutto e di tutela della salute della popolazione.

Barbara Luzi - barbaraluzi@libero.it
Sito web dell'autore: pmedintorni.blogspot.it


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