Data: 02/08/2013 11:00:00 - Autore: Avv. Luisa Camboni
La Legge n. 69 del 18 giugno 2009 ha introdotto sostanziali modifiche al Codice di Procedura Civile. La ratio di tale legge è quella di semplificare i meccanismi del processo civile, di renderlo più snello al fine di raggiungere più velocemente la sua conclusione. Il Legislatore, in particolare, ha inteso ridurre sensibilmente i termini per proseguire o riassumere il processo, sì da abbreviarne la durata.
Concentriamo la nostra attenzione sull'istituto della riassunzione nel processo civile esaminando in che modo questo istituto è stato modificato e in che modo sono disciplinati i termini per riassumere il giudizio.
Norma di riferimento è l'art. 50 c.p.c. che, così, dispone: “Se la riassunzione della causa davanti al giudice dichiarato competente avviene nel termine fissato nella ordinanza dal giudice e, in mancanza, in quello di tre mesi dalla comunicazione della ordinanza di regolamento o della ordinanza che dichiara l'incompetenza del giudice adito, il processo continua davanti al nuovo giudice. Se la riassunzione non avviene nei termini su indicati, il processo si estingue”.

Da tale norma si desume che con la riassunzione della causa il processo continua davanti al nuovo giudice. E' bene evidenziare che l'atto di riassunzione non dà vita ad un nuovo procedimento . Ciò è stato confermato dalla Suprema Corte “L'atto di riassunzione del processo non introduce un nuovo procedimento, ma esplica esclusivamente la funzione di consentire la prosecuzione di quello già pendente, con la conseguenza che tale atto non deve necessariamente riproporre tutte le pretese in precedenza avanzate dalla parte, dovendosi presumere, in difetto di elementi contrari, che le stesse siano mantenute ferme, ancorché non trascritte”(Cass. Civ., 27 ottobre 2011, n. 22436).

La riassunzione determina la cosiddetta translatio iudicii, id est consente al processo iniziato, erroneamente, davanti ad un giudice che non ha la giurisdizione indicata, di poter continuare davanti al giudice effettivamente dotato di giurisdizione al fine di ottenere una pronuncia di merito che ponga fine alla controversia. La riassunzione della causa davanti al giudice dichiarato competente, deve farsi ai sensi dell'art. 170 c.p.c. e art. 125 disp. att. mediante notificazione dell'atto di riassunzione al procuratore costituito.

L'atto di riassunzione può contenere una nuova domanda?
La risposta all'interrogativo la fornisce la Corte di Cassazione stabilendo che “ L'atto di riassunzione conseguente a declaratoria di incompetenza può contenere una nuova domanda in aggiunta quella originaria, valendo esso, in tal caso, come atto introduttivo di un giudizio ex novo. Se tale facoltà è concessa all'attore, a maggior ragione essa può essere esercitata dal convenuto, alla stregua del principio della parità di diritti che deve essere riconosciuta alle parti” ( Cass. , 18 gennaio 2006, n. 821; conforme Cass., 5 gennaio 2010, n. 223).

Che cosa determina la mancata costituzione del convenuto in riassunzione, che si sia già costituito nella fase iniziale?
Non si ha contumacia, questo perché il processo riassunto nei termini continua e le parti mantengono la posizione assunta nella fase iniziale.
Termini.
Quanto ai termini, il Legislatore, con la novella n. 69/2009, ha ridotto alla metà (da sei a tre mesi) il termine per la riassunzione della causa davanti al giudice competente. Se, infatti, il processo non viene riassunto entro detto termine si estingue.

E, ancora, sono stati ridotti da sei a tre mesi i termini richiesti sia per la fissazione dell'udienza di prosecuzione dopo la cessazione della causa di sospensione o dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce la controversia civile od amministrativa, ai sensi dell'art.295 c.p.c. e art.297 c.p.c., sia per la prosecuzione o riassunzione del processo interrotto, art.305 c.p.c..

E, ancora, è stato ridotto da un anno a tre mesi, che decorrono “[…] dalla scadenza del termine per la costituzione del convenuto a norma dell'art 166 c.p.c. o dalla data del provvedimento di cancellazione[…]” della causa, l'arco di tempo decorso il quale si ha l'estinzione del processo per inattività delle parti, ex art. 307, comma 1 c.p.c., così pure quello che il Giudice è autorizzato a fissare ai sensi del comma 3, dell'art. 307 c.p.c..
Tre mesi è il termine massimo che il giudice può concedere per la sospensione del giudizio su istanza delle parti ai sensi dell'art.296 c.p.c..

In caso di rimessione della causa al giudice di prime cure per ragioni di giurisdizione, l'art. 353 c.p.c. prevede che le parti debbono riassumere il processo nel termine perentorio di tre mesi dalla notificazione della sentenza nel caso in cui il giudice d'appello, riformando la sentenza di primo grado, afferma che il giudice ordinario ha sulla causa la giurisdizione negata dal primo giudice. Il termine perentorio di tre mesi è, conseguentemente, applicabile anche per rinvio ex artt. 354 e 383 c.p.c..

E, ancora, è stato ridotto a tre mesi (e non più di un anno) dalla pubblicazione della sentenza della Corte di Cassazione, il termine entro cui, ex art.392 c.p.c., deve riassumersi la causa davanti al giudice di rinvio.
Viene, altresì, dimezzato (da un anno a sei mesi) il termine di decadenza per la proposizione delle impugnazioni di cui all'art.327 c.p.c. (appello, ricorso per cassazione e revocazione per motivi indicati nei numeri 4 e 5 dell'art.395 c.p.c.): il termine de quo decorre dalla pubblicazione – in assenza di notifica della stessa – ed è soggetto alla sospensione feriale, secondo le regole generali.

Chi scrive ritiene che la volontà del Legislatore di ridurre i tempi del processo debba essere letta in senso positivo anche se corre il rischio di non trovare alcuna rilevanza sul lato pratico!!! Noi professionisti siamo ben consapevoli che ridurre i lunghi tempi della giustizia italiana, accelerando l'attività delle parti è assai utile. Esse, difatti, sono chiamate ad attivarsi in maniera tempestiva, ciò al fine di evitare che il giudice possa, anche d'ufficio, dichiarare l'estinzione del processo. Le parti devono provvedere a notificare l'atto di riassunzione al destinatario non appena siano venute a conoscenza della causa che ha determinato la sospensione e o l'interruzione.
Forma e validità dell'atto di riassunzione.

L'atto di riassunzione della causa deve avvenire tramite una comparsa o ricorso o un atto di citazione. Tale atto deve contenere tutte le prescrizioni di cui all'art.125 disp. att. trans. cod. proc. civ. e, quindi, in particolare:
1) l'indicazione del giudice davanti al quale si deve comparire;
2) il nome delle parti e dei loro difensori con procura;
3) il richiamo dell'atto introduttivo del giudizio;
4) l'indicazione dell'udienza in cui le parti debbono comparire, osservati i termini stabiliti dall'articolo 163-bis del codice;
5) l'invito a costituirsi nei termini stabiliti dall'articolo 166 del codice;
6) l'indicazione del provvedimento del giudice in base al quale è fatta la riassunzione, e, nel caso dell'articolo 307, comma 1 c.p.c., l'indicazione della data della notificazione della citazione non seguita dalla costituzione delle parti, ovvero del provvedimento che ha ordinato la cancellazione della causa dal ruolo.

Quanto al contenuto, la Suprema Corte ha stabilito che ” L'atto di riassunzione del processo interrotto, pur potendo, per il principio di equivalenza delle forme, consistere in una comparsa o ricorso o in un atto di citazione, deve contenere, in ogni caso, gli elementi soggettivi ed oggettivi necessari per riattivare il rapporto processuale quiescente” (Cass., 24 febbraio 2004, n. 3623)
Costituiscono, dunque, elementi essenziali il riferimento esplicito alla precedente fase processuale e la manifesta volontà di riattivare il giudizio attraverso il ricongiungimento delle due fasi in un unico processo ( si veda Cass., Civ. 14.03.2001, n. 3695).

Nei casi previsti dagli artt. 299 - 301 c.p.c. (morte o perdita della capacità prima della costituzione, morte o perdita della capacità della parte costituita o del contumace, morte od impedimento del procuratore), la costituzione per proseguire, ex art.305 c.p.c., il processo può avvenire all'udienza o a norma dell'art.166 c.p.c.. Se non è fissata alcuna udienza, la parte può chiedere, con ricorso, al giudice istruttore o, in mancanza, al presidente del Tribunale, la fissazione dell'udienza.

Il ricorso ed il decreto sono notificati alle altre parti a cura dell'istante (art.302 c.p.c.).
Casi che determinano la sospensione del processo e la necessità di riassunzione.
I casi che possono portare alla sospensione del processo, oltre quello per incompetenza territoriale, e, quindi, alla necessità della sua riassunzione sono diversi. Tra i più importanti possiamo citare: la morte della parte o del suo rappresentante legale, la perdita della capacità di stare in giudizio di una delle parti o del rappresentante legale o la cessazione di tale rappresentanza, la morte, radiazione o sospensione del difensore. Tutte queste ipotesi rappresentano eventi che incidono in modo assai decisivo sull'effettività del contraddittorio; difatti, al verificarsi di una di queste ipotesi la parte non si trova più nella possibilità di difendersi adeguatamente e, dunque, l'interruzione del processo è inevitabile.

Verifichiamo ora che cosa accade nell'ipotesi in cui non avvenisse la prosecuzione del processo ex art. 302 c.p.c..
La risposta è fornita dal Legislatore nell'art. 303 c.p.c. dove si legge “ Se non avviene la prosecuzione del processo a norma dell'articolo precedente, l'altra parte può chiedere la fissazione dell'udienza, notificando quindi il ricorso e il decreto a coloro che debbono costituirsi per proseguirlo. In caso di morte della parte il ricorso deve contenere gli estremi della domanda, e la notificazione entro un anno dalla morte può essere fatta collettivamente e impersonalmente agli eredi nell'ultimo domicilio del defunto. Se vi sono altre parti in causa, il decreto è notificato anche ad esse. Se la parte che ha ricevuto la notificazione non comparisce all'udienza fissata, si procede in sua contumacia”.

Il processo deve essere proseguito o riassunto nel termine di tre mesi dall'interruzione, altrimenti si estingue.
Se dopo la notificazione della citazione nessuna delle parti si sia costituita entro il termine stabilito dall'articolo 166 c.p.c., ovvero, se, dopo la costituzione delle stesse, il giudice, nei casi previsti dalla legge, abbia ordinata la cancellazione della causa dal ruolo, il processo, salvo il disposto del secondo comma dell'articolo 181 c.p.c. e dell'articolo 290 c.p.c., deve essere riassunto davanti allo stesso giudice nel termine perentorio di tre mesi, che decorre rispettivamente dalla scadenza del termine per la costituzione del convenuto a norma dell'articolo 166, o dalla data del provvedimento di cancellazione; altrimenti il processo si estingue (art.307 c.p.c.).
Il processo, una volta così riassunto, si estingue se nessuna delle parti si sia costituita, ovvero se, nei casi previsti dalla legge, il giudice ordini la cancellazione della causa dal ruolo.

Il processo si estingue altresì - salvo diverse disposizioni di legge - qualora le parti alle quali spetta di rinnovare la citazione, o di proseguire, riassumere o integrare il giudizio, non vi abbiano provveduto entro il termine perentorio stabilito dalla legge, o dal giudice che dalla legge sia autorizzato a fissarlo.
Va osservato, alla luce di quanto sopra, che, prima delle novità introdotte dalla legge summenzionata, l'estinzione del processo per inattività delle parti poteva essere eccepita dalla parte “prima di ogni sua difesa”. Con la riforma il Legislatore ha previsto che l'estinzione opera di diritto e può essere dichiarata anche d'ufficio, con ordinanza del giudice istruttore oppure con sentenza da parte del Collegio (art. 307 c.p.c.). Ciò sta a significare che le parti non subiranno più i lapsus avversari, ma rimarranno sempre esposte al rischio di un rilievo officioso dell'estinzione del processo.

Così statuendo, il Legislatore ha ampliato i poteri processuali del giudice collegando un duplice effetto e cioè quello di evitare, da un lato, il rischio di prassi lassiste e dall'altro, nel caso le parti non abbiano interesse a mantenere in vita la causa, riconoscendo un vantaggio alle Cancellerie dei Tribunali, potendo le stesse, utilizzando le parole di Demarchi “svuotare rapidamente gli armadi dalle cause in limbica attesa di un formale atto di rinuncia che, di solito, non arriva mai”.

Sull'argomento è intervenuta la dottrina sollevando dei dubbi circa l'ambito di operatività del potere d'ufficio del giudice. Nulla questio quando la causa è quiescente non vi sono limiti al potere d'ufficio del giudice e, conseguentemente, alla dichiarazione del provvedimento di estinzione. Il problema si presenta nel caso di riassunzione fuori termine, vale a dire quando il giudice non ha rilevato subito la tardività ed il processo è proseguito.

A questo punto è d'uopo chiedersi: il giudice può dichiarare l'estinzione nel corso del processo oppure occorre attendere la sentenza che definisce il giudizio?
Al riguardo autorevole dottrina ritiene che la mancanza di un termine finale per il rilievo d'ufficio faccia ritenere che “ il giudice sia libero di pronunciare l'estinzione in qualunque momento.”
Una simile interpretazione, a parere di chi scrive, si pone in notevole contrasto con la ratio della legge di riforma, ovvero quella di rendere più snello, più celere il processo.
Inoltre, è bene evidenziare che la mancata notificazione dell'istanza di riassunzione di un processo nel termine perentorio (tre mesi) stabilito dal giudice e, conseguentemente, l'impossibilità di richiedere un nuovo termine per la notificazione del ricorso a causa della scadenza del termine stesso determina l'eccezione di estinzione del processo ( Cass., Civ., Sez. I, 01.09. 1997, n. 8314)

E, ancora, è nullo l'atto di riassunzione che, ancorché eseguito dopo oltre un anno dalla morte della parte, non contenga l'indicazione personale degli eredi di questa, ai quali l'atto stesso è diretto, ma ne faccia menzione collettiva ed impersonale. La nullità, derivante da violazione del combinato disposto degli art. 125, disp. att., c.p.c., e 163, c.p.c. e degli art. 139, e ss., c.p.c., è sanabile solo per effetto della costituzione in giudizio di tutti gli eredi.
Concludo questo mio breve excursus richiamando l'attenzione del lettore su una recente pronuncia della Corte di Cassazione la sentenza n. 4781 del 26.02.2013.

Il caso su cui i Giudici di Piazza Cavour sono stati chiamati a pronunciarsi riguardava: un procedimento per risarcimento danni RCA, nell'ambito del quale l'avvocato (poi deceduto) non aveva né provveduto a riassumere il giudizio anche nei confronti della Compagnia di Assicurazioni oltre che del responsabile civile, né informato il proprio assistito della possibilità di impugnare la sentenza dichiarativa dell'estinzione del giudizio.
In altre parole, il professionista si era reso inadempiente per non aver svolto l'attività dedotta in obbligazione con il dovuto grado di diligenza richiesto ex art. 1176, comma 2 c.c. (cosiddetta diligenza professionale), che è esattamente l'ipotesi in cui si sostanzia l'obbligazione di mezzi. Vieppiù!! Con tale sua condotta aveva violato il Codice Deontologico in particolare l'art. 40 “ Obbligo di informazione”.

Tale norma così dispone:” L'avvocato è tenuto ad informare chiaramente il proprio assistito all'atto dell'incarico delle caratteristiche e dell'importanza della controversia o delle attività da espletare, precisando le iniziative e le ipotesi di soluzione possibili. L'avvocato è tenuto altresì ad informare il proprio assistito sullo svolgimento del mandato affidatogli, quando lo reputi opportuno e ogni qualvolta l'assistito ne faccia richiesta.
I. Se richiesto, è obbligo dell'avvocato informare la parte assistita sulle previsioni di massima inerenti alla durata e ai costi presumibili del processo.

II. E' obbligo dell'avvocato comunicare alla parte assistita la necessità del compimento di determinanti atti al fine di evitare prescrizioni, decadenze o altri effetti pregiudizievoli relativamente agli incarichi in corso di trattazione.

III. Il difensore ha l'obbligo di riferire al proprio assistito il contenuto di quanto appreso nell'esercizio del mandato se utile all'interesse di questi”.
La condotta posta in essere dal professionista andava, pertanto, punita; così la Corte di Cassazione ha fatto ricadere le conseguenze patrimoniali della condotta professionale dell'avvocato deceduto che ha provocato un danno al cliente sugli eredi.
Secondo i principi affermati dalla giurisprudenza in materia di responsabilità professionale dell'avvocato “[…] rientra nell'ordinaria diligenza dell'avvocato il compimento di atti impeditivi della prescrizione del diritto del suo cliente, i quali, di regola, non richiedono speciale capacità tecnica, salvo che, in relazione alla particolare situazione di fatto, si presenti incerto il calcolo del termine”. ( Cass., Civ., n. 10454/2002).
Ancora una volta la Suprema Corte richiama l'attenzione di noi avvocati sulla professione che siamo chiamati a svolgere: professione che va esercita con diligenza professionale, ex. art. 1176 comma 2, c.c. e nel pieno rispetto delle norme deontologiche.


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