Data: 01/08/2013 10:06:00 - Autore: Avv. Nicola Traverso

Avv. Nicola Traverso - Con la sentenza n. 186 del 3/7/2013 (depositata il 12/7/2013), la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, co. 51 della l. 220/2010 (così come modificato dall'art. 17, co. 4, lett. e) del d.l. 98/2011, conv. l. 111/2011).
La norma censurata prevedeva che nelle Regioni già commissariate, in quanto sottoposte a piano di rientro dai disavanzi sanitari (sottoscritto ai sensi della l. 311/2004): a) non potessero essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali o ospedaliere sino al 31/12/2012; b) i pignoramenti e le prenotazioni a debito sulle rimesse finanziarie trasferite dalle Regioni alle aziende sanitarie, effettuati prima della data di entrata in vigore del d.l. 78/2010 (conv. L. 122/2010), non producessero effetti sino al 31/12/2012 e non vincolassero gli enti del servizio sanitario regionale (entrambi i termini sono stati successivamente prorogati fino al 31/12/2013).
Le norme suindicate si collocano nel quadro della normativa sulla formazione del bilancio statale, la quale prevede che lo Stato concorra al ripiano dei disavanzi del servizio sanitario nazionale mediante un finanziamento integrativo, condizionato all'adozione da parte delle Regioni di provvedimenti di riequilibrio finanziario, e la nomina, in caso di inadempimento, di un commissario ad acta.
Le Regioni sottoposte a piano di rientro si dividono tra quelle dov'è in carica un commissario ad acta (generalmente il Presidente della regione) e quelle dove, in assenza di un commissario appositamente nominato, il compito di attuare il piano di rientro concordato con lo Stato è affidato all'assessore regionale alla sanità. Il blocco alle esecuzioni si riferisce solo alle prime: Lazio, Campania, Calabria, Abruzzo e Molise.
Gli obiettivi dell'attuazione dei piani di rientro dai disavanzi sanitari predisposti dalle Regioni commissariate e del contemporaneo mantenimento dei livelli di assistenza, a tutela del fondamentale diritto alla salute, presuppongono che l'Amministrazione conservi integri e nel loro complesso i beni strumentali e funzionali all'erogazione delle prestazioni sanitarie, nonostante sia gravata da una situazione debitoria tale da pregiudicarne l'equilibrio economico e finanziario.
Il blocco delle azioni esecutive sottoposto al vaglio della Corte Costituzionale avrebbe dovuto quindi permettere il raggiungimento di entrambi gli obiettivi. D'altra parte, la disciplina in questione incideva fortemente sui diritti dei creditori, in quanto, non solo impediva loro di intraprendere o proseguire azioni esecutive, ma rendeva inefficaci (in via retroattiva) anche i pignoramenti già eseguiti in data antecedente rispetto all'entrata in vigore della norma (su questo e su altri casi di blocco alle esecuzioni, nonché sulle interferenze con i giudizi amministrativi di ottemperanza, si permetta il rinvio a questo precedente scritto).

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1. Le ordinanze di rimessione e i profili di illegittimità costituzionale
Il giudizio di legittimità costituzionale è stato promosso con sette ordinanze di contenuto sostanzialmente sovrapponibile del TAR Campania (sede di Salerno e di Napoli) e del Tribunale ordinario di Napoli (sede metropolitana e sede distaccata di Pozzuoli), le quali evidenziano i seguenti profili di contrasto con la Carta.
Artt. 2 e 24 Cost. – Considerato che: a) il blocco alle esecuzioni si è protratto per più anni; b) la sanzione processuale dell'inammissibilità o improcedibilità provoca la chiusura definitiva della procedura esecutiva, e non la semplice sospensione; c) la dispensa dall'azione esecutiva non riguarda beni specifici e determinati, bensì l'intero patrimonio dell'ente; d) l'estinzione delle procedure esecutive già intraprese comporta la definitiva e inutile perdita da parte del creditore procedente delle spese processuali sostenute.
Tutto ciò considerato, la negazione del diritto ad agire in giudizio si identificherebbe con la negazione del diritto sostanziale sottostante e, in ultima analisi, comporterebbe la lesione del diritto fondamentale a una tutela giurisdizionale concreta ed effettiva.
Art. 3 Cost. – L'applicazione del blocco alle esecuzioni alle sole Regioni commissariate e sottoposte ai piani di rientro dal disavanzo sanitario costituirebbe un'ingiustificata discriminazione tra coloro che vantano crediti verso aziende sanitarie ubicate in tali Regioni e chi, invece, vanta crediti verso aziende sanitarie situate altrove. Inoltre, la norma censurata sarebbe irragionevole, nella misura in cui sacrifica in modo sostanzialmente irreparabile i diritti dei creditori, senza però garantire il risanamento del dissesto finanziario del sistema sanitario regionale (i debiti in questione, infatti, continuano a far parte della massa passiva del bilancio). Infine, viene evidenziato che le aziende sanitarie godono già del più favorevole regime di pignorabilità limitata dei loro beni, stabilito dall'art. 1, co. 5, d.l. 9/1993 (conv. l. 67/1993).
Art. 41 Cost. – Il blocco alle esecuzioni comporterebbe un grave ostacolo alla libera iniziativa economica dei creditori delle aziende sanitarie, i quali sono prevalentemente imprenditori commerciali. L'impossibilità di riscuotere i pagamenti infatti costituirebbe un limite all'attività di impresa all'interno di un sistema concorrenziale. Rileva a questo proposito la normativa comunitaria sui ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali (Direttiva 2000/35 CE, oggi n. 2011/7/UE).
Art. 111 Cost. - I principi del “giusto processo” verrebbero violati da un duplice punto di vista. Innanzitutto, verrebbe meno la “parità delle armi”, a causa del privilegio concesso alla parte pubblica. In secondo luogo, il blocco alle esecuzioni (anche in considerazione delle proroghe intervenute) inciderebbe negativamente sulla ragionevole durata del processo, la quale va valutata con riferimento anche alla fase esecutiva.
In tema di giusto processo, alcune ordinanze richiamano infine i principi dell'ordinamento europeo consacrati nel Trattato di Lisbona e nella Carta di Nizza.
Art. 117 Cost. – Il giudice rimettente evidenzia il contrasto della norma censurata con l'art. 117, co. 1 Cost., per mezzo della violazione dei principi sanciti dall'art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) in tema di giusto processo, in ogni sua accezione.
2. La difesa erariale
L'Avvocatura generale dello Stato, intervenuta nel giudizio a difesa della parte pubblica, ha sottolineato invece la ragionevolezza ex art. 3 Cost. della norma censurata, perché essa garantirebbe la deviazione della soddisfazione del credito vantato nei confronti delle aziende sanitarie dalla procedura esecutiva individuale alla speciale procedura di risanamento, il cui carattere sostanzialmente concorsuale sarebbe incompatibile con l'esperimento di azioni esecutive individuali. Quanto agli artt. 24 e 111 Cost., gli stessi non sarebbero violati perché, da un lato, il perfezionamento dei piani di rientro consentirebbe la soddisfazione di tutti i creditori, mentre, dall'altro lato, la sospensione delle esecuzioni avrebbe durata limitata nel tempo (ciò escluderebbe altresì la violazione dell'art. 2 Cost., perché la tutela giurisdizionale non verrebbe preclusa tout court, ma solo differita nel tempo). La libera iniziativa economica dei creditori della P.A., infine, non sarebbe lesa, in quanto la normativa in esame si limiterebbe a regolare l'ipotesi della insolvenza del debitore, riconducibile al normale rischio d'impresa.
3. Ius superveniens ed effettività della tutela giurisdizionale
Nella motivazione, la Consulta concede particolare spazio a uno specifico aspetto della disciplina in esame. La norma censurata, infatti, è stata oggetto - già nel corso dei giudizi a quibus - di sostanziali modifiche ad opera dell'art. 6-bis d.l. 158/2012 (conv. l. 189/2012), che ne ha rimodellato sia il primo sia il secondo periodo.
3.1. I giudizi di ottemperanza e il blocco alle esecuzioni
I cambiamenti apportati al primo periodo dell'art. 1, co. 51, l. 220/2010, da un lato, comportano la proroga fino al 31/12/2013 del medesimo contenuto normativo e, dall'altro lato, precisano claris verbis che il divieto di intraprendere o proseguire azioni esecutive va riferito anche ai giudizi di ottemperanza esperiti ai sensi dell'art. 112 Codice del Processo Amministrativo.
In particolare, la Corte Costituzionale - forse con un obiter dictum (peraltro contenuto in un inciso tra parentesi) – afferma che l'inclusione dei giudizi amministrativi di ottemperanza nel novero delle azioni esecutive inibite sarebbe generalmente riconosciuta, con ciò conferendo carattere meramente interpretativo alla novella.
Ci si permette, tuttavia, di osservare che l'assimilazione dell'ottemperanza all'esecuzione civilistica non è un dato così scontato. Anche sorvolando il dibattito dottrinale sulla natura di cognizione e/o di esecuzione del giudizio di ottemperanza, pare doveroso dare conto di numerose sentenze che negano la riconducibilità sic et simpliciter dell'ottemperanza all'espropriazione forzata: si vedano in tal senso, ex multis, TAR Lombardia, Milano, sez. I, 27 aprile 2012 n. 1243; TAR Lombardia, Milano, 17 giugno 2011, n. 1573; TAR Veneto, Venezia, sez. I, 6 novembre 2012, n. 1345.
Ad ogni modo, si ritiene che, a seguito della pronuncia in commento, la portata pratica di tali distinzioni sarà notevolmente ridotta.
3.2. L'estendibilità del giudizio di legittimità anche alla nuova versione della norma
Il secondo periodo della norma in esame, invece, è stato integralmente sostituito. Nella versione oggetto del quesito di costituzionalità, si stabiliva che “I pignoramenti e le prenotazioni a debito sulle rimesse finanziarie trasferite dalle regioni […] alle aziende sanitarie […], effettuati prima della entrata in vigore del decreto-legge n. 78 del 2010 […], non producono effetti dalla suddetta data fino al 31 dicembre 2012 e non vincolano gli enti del servizio sanitario regionale e i tesorieri, i quali possono disporre […]”.
A seguito della modifica introdotta, invece, si prevede che gli stessi pignoramenti e prenotazioni a debito “sono estinti di diritto dalla data di entrata in vigore della presente disposizione. Dalla medesima data cessano i doveri di custodia sulle predette somme, con obbligo per i tesorieri di renderle immediatamente disponibili, senza previa pronuncia giurisdizionale, per garantire l'espletamento delle finalità indicate nel primo periodo”.
La Consulta, al fine di confermare l'estendibilità del giudizio di legittimità della norma censurata anche nella sua nuova versione, precisa che la novella mantiene intatto il contenuto precettivo e, anzi, rende ancor più evidenti i punti di contrasto ipotizzati dai rimettenti.
Infatti, non si prevede più la sola inefficacia di pignoramenti e prenotazioni a debito e l'assenza di vincoli sui beni bloccati, ma viene disposta direttamente la loro estinzione di diritto e l'obbligo dei tesorieri degli enti sanitari di porre a disposizione “senza previa pronuncia giurisdizionale” le somme già oggetto di pignoramento, onde realizzare le finalità del risanamento finanziario.
Sotto altro punto di vista, ricorda la Corte, l'effettività della tutela non può essere disgiunta dalla sua tempestività, la quale verrebbe meno nel caso in cui si restituissero gli atti al giudice rimettente, senza che ciò fosse giustificato dalla reale necessità di valutare la perdurante rilevanza nel giudizio a quo e la non manifesta infondatezza della questione sollevata. Altrimenti, ne verrebbe leso il canone di ragionevole durata del processo sancito dall'art. 111 Cost.
La Consulta dunque dona particolare rilievo al principio di effettività della tutela giurisdizionale anche in sede costituzionale, consentendo il trasferimento della questione di legittimità costituzionale sulla versione ora vigente della disposizione impugnata (fermo restando che il giudizio riguarda anche la precedente versione).

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4. L'illegittimità della norma censurata
Nel motivare la fondatezza della questione sollevata, la Corte costituzionale ricorda che un provvedimento legislativo che privi sostanzialmente di contenuto i titoli esecutivi giudiziali ottenuti nei confronti di un debitore può ritenersi legittimo, in presenza di specifiche esigenze transitorie, solo ove sussistano due condizioni.
Innanzitutto, tale effetto deve essere contenuto entro ristretti limiti temporali (si veda, ad esempio, la sentenza n. 155/2004, sulla questione sollevata sull'art. 1, co. 1, d.l. 122/2002 “Disposizioni concernenti proroghe in materia di sfratti, di edilizia e di espropriazione”). Al contrario, nel caso di specie l'originario provvedimento di sospensione è stato prorogato più volte dal 2010 al 2013, per una durata complessiva superiore a tre anni.
In secondo luogo, è necessario che eventuali norme processuali che incidono sui giudizi pendenti (determinandone l'inammissibilità, l'improcedibilità e/o l'estinzione) siano controbilanciate da norme di carattere sostanziale che consentano, eventualmente con modalità diverse dall'esecuzione giudiziale, la soddisfazione in concreto dei diritti oggetto dei procedimenti estinti (la Consulta cita a proposito la sua decisione n. 367/2007, relativa a un altro caso di inibizione delle esecuzioni contro un ente pubblico). Invece, a fronte dell'inefficacia dei pignoramenti e delle prenotazioni a debito (poi diventata estinzione tout court) e della cessazione del vincolo espropriativo, ai creditori insoddisfatti (e privati de facto dei titoli esecutivi ottenuti) non è stato fornito alcuno strumento per soddisfare diversamente i propri diritti (come, ad esempio, una procedura concorsuale garantita da adeguata e precisa copertura finanziaria, in cui convogliare tutte le singole azioni individuali. E tale non può essere considerato, a detta della Corte, il piano di rientro dai disavanzi sanitari sottoscritto ai sensi della l. 311/2004).
La norma censurata dunque viola l'art. 24 Cost., in quanto vanifica gli effetti della tutela giurisdizionale già conseguita dai creditori delle aziende sanitarie nei giudizi esecutivi promossi. Oltre a non aver potuto iniziare o proseguire azioni esecutive per più di tre anni, i creditori hanno anche dovuto sopportare i costi processuali delle azioni già intraprese, prima divenute inefficaci e poi estinte.
In definitiva, la normativa in esame si pone in contrasto con i principi del giusto processo di cui all'art. 111 Cost., sia sotto il summenzionato profilo della ragionevole durata del processo, sia sotto il profilo della parità delle armi, visto l'ingiustificato privilegio della parte pubblica, alla quale è concesso di sottrarsi agli effetti della condanna giudiziaria, a totale discapito del privato creditore.
Da ultimo, la Consulta nega rilievo alle finalità della norma censurata, così come dichiarate dal legislatore e sostenute dalla difesa erariale. La continuità nell'erogazione delle funzioni essenziali nel settore sanitario è infatti già garantita dall'art. 1, co. 5, d.l. 9/1993 (conv. l. 67/1993), che prevede l'impignorabilità dei fondi a destinazione vincolata essenziali ai fini dell'erogazione dei servizi sanitari.
Gli altri profili di illegittimità prefigurati dai rimettenti (riguardo agli artt. 2, 3, 41 e 117 Cost.), invece, non sono stati presi specificamente in esame dalla Consulta, che li ha ritenuti assorbiti.
5. Conclusioni
La sentenza in commento rende quindi nuovamente pignorabili i fondi delle aziende sanitarie delle Regioni sottoposte ai piani di rientro, eliminando una norma profondamente iniqua nei confronti delle aziende creditrici della sanità pubblica. Pare degno di nota – a parere di chi scrive – l'accento posto dalla Consulta sul diritto a una tutela giurisdizionale effettiva e sui principi del giusto processo, nonchè l'espresso rifiuto di norme dal carattere eccezionale (“ius singulare”) che determinino un ingiustificato squilibrio tra le parti in gioco.
Ciononostante, il concreto soddisfacimento dei creditori dovrà ora scontrarsi con l'effettiva disponibilità economica delle casse regionali. Considerata la gigantesca mole del debito accumulato dallo Stato in questo comparto (più di 800 milioni di euro solo per la Campania; per un'analisi dettagliata della questione, ci si permette di rinviare a questo scritto del Centro Studi di Assobiomedica di marzo 2013), è evidente che la soluzione complessiva del problema non possa risiedere solo nelle aule dei giudici.

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