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Data: 13/09/2013 12:00:00 - Autore: C.G. di Marco Massavelli - Corte di Cassazione Civile, Sezione Lavoro,
sentenza n. 19814 del 28 agosto 2013. Per mobbing si intende comunemente una condotta
del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel
tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si
risolve in reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione
psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e
l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico
e del complesso della sua personalità. Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono,
pertanto, rilevanti: a) la molteplicità di comportamenti di carattere
persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano
stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il
dipendente con intento vessatorio; b) l'evento lesivo della salute o della
personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datare o
del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del
lavoratore; d) la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento
persecutorio.
Nel caso specifico, trattato nella sentenza in commento, i fatti denunciati (irrilevanti o rimasti indimostrati), hanno assunto solo nella percezione soggettiva della ricorrente una valenza lesiva della sua personalità: le risultanze della prova testimoniale, unitamente a quelle medico-legali espresse nella c.t.u. hanno tratteggiato un atteggiamento tendente a personalizzare come ostile ogni avvenimento e tale da creare tensione nei rapporti di lavoro. In tema di valutazione delle risultanze probatorie, in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli articoli 115 e 116, cod. proc. civ. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all'articolo 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità. |
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