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Data: 08/09/2013 09:00:00 - Autore: Gerolamo Taras di Gerolamo Taras - Il Consiglio di Stato (Sezione Quarta) richiamando e facendo propria, quanto alle motivazioni, la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza n. 26972/2008) si è nuovamente pronunciato -SENTENZA N. 04464/2013 del 05/09/2013- in materia di limiti alla configurabilità del danno non patrimoniale causato da provvedimento illegittimo della Pubblica Amministrazione. Queste le considerazioni svolte dal Consiglio di Stato, che ha rigettato, giudicandolo infondato, l' appello presentato da M. M. contro la sentenza n. 49700/2009, con la quale il TAR Campania, aveva respinto il suo ricorso proposto per l'accertamento della responsabilità del Ministero della Giustizia, ai fini del risarcimento del danno non patrimoniale. In precedenza, l'amministrazione penitenziaria aveva collocato a riposo, per inidoneità al servizio, la signora M.M. salvo poi reintegrarla nel servizio, a seguito di sentenza del Consiglio di Stato. Contestualmente aveva provveduto a corrispondere all' agente le competenze dovute per il periodo intercorrente tra il suo collocamento a riposo e la reintegrazione in servizio. Nella domanda di risarcimento il danno non patrimoniale, veniva distinto nelle due voci del cd. danno esistenziale (da intendersi “come pregiudizio reddituale, non patrimoniale, direttamente conseguente alla lesione di un interesse tutelato dall'ordinamento giuridico”) e del danno morale (da intendersi come “transeunte turbamento dello stato d'animo della vittima”). Secondo il Consiglio di Stato “nel nostro ordinamento, il danno non patrimoniale è risarcibile nei soli casi "previsti dalla legge", e cioè, secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c.: a) quando il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato; in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di qualsiasi interesse della persona tutelato dall'ordinamento, ancorché privo di rilevanza costituzionale; b) quando ricorra una delle fattispecie in cui la legge espressamente consente il ristoro del danno non patrimoniale anche al di fuori di una ipotesi di reato (ad es., nel caso di illecito trattamento dei dati personali o di violazione delle norme che vietano la discriminazione razziale); in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione dei soli interessi della persona che il legislatore ha inteso tutelare attraverso la norma attributiva del diritto al risarcimento (quali, rispettivamente, quello alla riservatezza od a non subire discriminazioni); c) quando il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale; in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di tali interessi, che, al contrario delle prime due ipotesi, non sono individuati "ex ante" dalla legge, ma dovranno essere selezionati caso per caso dal giudice. Non è invece ammissibile nel nostro ordinamento, secondo la Suprema Corte, l'autonoma categoria di "danno esistenziale", inteso quale pregiudizio alle attività non remunerative della persona, atteso che: ove in essa si ricomprendano i pregiudizi scaturenti dalla lesione di interessi della persona di rango costituzionale, ovvero derivanti da fatti-reato, essi sono già risarcibili ai sensi dell'art. 2059 c.c., interpretato in modo conforme a Costituzione. Pertanto, la liquidazione di una ulteriore posta di danno comporterebbe una duplicazione risarcitoria; ove nel "danno esistenziale" si intendesse includere pregiudizi non lesivi di diritti inviolabili della persona, tale categoria sarebbe del tutto illegittima, posto che simili pregiudizi sono irrisarcibili, in virtù del divieto di cui all'art. 2059 c.c. Di conseguenza, secondo la giurisprudenza citata dal Consiglio di Stato “il danno non patrimoniale derivante dalla lesione di diritti inviolabili della persona, come tali costituzionalmente garantiti, è risarcibile - sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c. - anche quando, come si è detto, non sussiste un fatto-reato, né ricorre alcuna delle altre ipotesi in cui la legge consente espressamente il ristoro dei pregiudizi non patrimoniali, a tre condizioni: a) che l'interesse leso - e non il pregiudizio sofferto - abbia rilevanza costituzionale (altrimenti si perverrebbe ad una abrogazione per via interpretativa dell'art. 2059 c.c., giacché qualsiasi danno non patrimoniale, per il fatto stesso di essere tale, e cioè di toccare interessi della persona, sarebbe sempre risarcibile); b) che la lesione dell'interesse sia grave, nel senso che l'offesa superi una soglia minima di tollerabilità (in quanto il dovere di solidarietà, di cui all'art. 2 Cost., impone a ciascuno di tollerare le minime intrusioni nella propria sfera personale inevitabilmente scaturenti dalla convivenza); c) che il danno non sia futile, vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti del tutto immaginari, come quello alla qualità della vita od alla felicità. Valutando i fatti oggetto della controversia, alla luce dei principi sopra espressi i Giudici dell' Appello hanno ritenuto che nel caso di specie non ricorressero ipotesi di danno risarcibile; e ciò in quanto “non è possibile ritenere che la mera evocazione di “pregiudizi economici” o di “gravi turbamenti dello stato d'animo” senza alcuna ulteriore e specifica allegazione concreta possa integrare quelle minime circostanze di fatto che consentono e sollecitano un giudizio probabilistico del giudice e, dunque, una considerazione in via equitativa non solo della entità del danno, ma anche della prova della sua esistenza. |
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