Data: 18/09/2013 11:00:00 - Autore: Filippo Lombardi

di Filippo Lombardi - SOMMARIO: Introduzione; 1. Trattamento sanzionatorio; 2. Accertamento dello stato di ebbrezza; 2.1. Il rifiuto di sottoporsi all'accertamento del tasso alcolemico; 2.2. Natura dell'accertamento e diritto all'avvocato; 2.3. Controllo del risultato fornito dall'apparecchio: rilevanza dei centesimi e del buon funzionamento dello strumento; 2.4. Influenza delle patologie e dei farmaci sullo svolgimento dell'accertamento con etilometro.

 

Introduzione.

L'articolo 186 del Codice della Strada vieta la guida in stato di ebbrezza, cioè quella conseguente all'uso di bevande alcoliche (il successivo art. 187 C.d.S. si occupa del simile caso di guida in stato di alterazione dovuto all'assunzione di sostanze stupefacenti).

In primo luogo, è bene chiarire in cosa consista specificamente la fattispecie illecita (che potrà avere risvolti penali o amministrativi). Si parla, infatti, di “guida” in stato di ebbrezza, legandosi il concetto alla vicenda circolatoria di veicoli, escludendosi dunque il caso in cui il conducente in stato di ebbrezza si trovi presso un'area di sosta a veicolo fermo e ivi venga controllato il suo stato dalle forze dell'ordine.

Infatti, l'eventuale rilevazione dello stato di ebbrezza relativo ad un soggetto fermo, benché in stato di alterazione da assunzione di alcol, non varrà a sanzionarlo senza elementi probatori che attestino che il soggetto abbia guidato fino a tale luogo già in stato di ebbrezza (Cass. pen., sez. V, 30209/2013).

La volontà del Legislatore di sanzionare la guida in stato di alterazione dei processi cognitivi e reattivi ha palesemente una funzione preventiva, intendendosi evitare, con lo strumento repressivo di comportamenti antecedenti, che si verifichino consequenziali sinistri stradali con eventi potenzialmente nefasti.

E' infatti principio scientifico oramai accreditato che l'assunzione di sostanze alcoliche comporti un peggioramento delle facoltà mentali e un rallentamento dei riflessi, a ciò conseguendo generalmente una instabilità nella guida e dunque un pericolo per se stessi e per i terzi coinvolti nella circolazione stradale. Sussistono, d'altronde, ancora diatribe in corso rispetto alla necessità o meno di differenziare la disciplina applicabile in base ad età, sesso, ed altri parametri che mirano ad individualizzare maggiormente la condizione psico-fisica del soggetto coinvolto e gli effetti su di essa di un dato quantitativo di alcool.  

 

1. Trattamento sanzionatorio.

Come si anticipava, il trattamento sanzionatorio varia a seconda dei casi, o meglio, a seconda del tasso alcolemico (grammi per litro):

A) se il tasso è inferiore o equivalente a 0.5 g/l, la fattispecie non presenta alcun profilo di illiceità;

B) se il tasso è superiore a 0.5 g/l e inferiore o equivalente a 0.8 g/l, si applicheranno: una sanzione pecuniaria (rilevanza amministrativa) che oscilla dai 527 ai 2108 euro e la sospensione della patente da 3 a 6 mesi. La sanzione è raddoppiata nel caso in cui il conducente in stato di ebbrezza produca un incidente stradale e si applica il fermo amministrativo fino a 180 giorni (art. 186 comma 2bis) salvo che il veicolo appartenga ad un soggetto estraneo alla fattispecie illecita.

C) se il tasso supera gli 0.8 g/l ma non 1.5 g/l, si ha una fattispecie penalmente rilevante (competenza del Tribunale in composizione monocratica), che comporta la pena dell'ammenda da euro 800 ad euro 3200 (sanzione aumentata da un terzo alla metà se l'infrazione è commessa dopo le ore 22 e prima delle ore 7) nonché l'arresto fino a 6 mesi e la sospensione della patente da 6 mesi ad un anno. La sanzione è raddoppiata nel caso in cui il conducente in stato di ebbrezza produca un incidente stradale e si applica il fermo amministrativo fino a 180 giorni (art. 186 comma 2bis) salvo che il veicolo appartenga ad un soggetto estraneo alla fattispecie illecita.

D) se il tasso alcolemico supera 1.5 g/l, si ha ancora rilevanza penale (competenza del Tribunale in composizione monocratica) e la fattispecie comporta l'irrogazione dell'ammenda da euro 1500 a euro 6000 (sanzione aumentata da un terzo alla metà se l'infrazione è commessa dopo le ore 22 e prima delle ore 7), ed altresì l'arresto da 6 mesi ad un anno e la sospensione della patente di guida da 1 a 2 anni (durata della sospensione da raddoppiare se il veicolo utilizzato dal conducente appartiene ad altro soggetto estraneo al reato).

Si applica, con la sentenza di condanna (anche conseguente a patteggiamento ed anche in caso di sospensione condizionale della pena), il provvedimento ablatorio della confisca del veicolo, salvo che esso appartenga ad un soggetto terzo rispetto al reato. Il concetto di “appartenenza” è stato approfondito dalla Giurisprudenza di Legittimità (Cass. 26 febbraio 2010), atteggiandosi come nozione sostanziale e non tecnico-formale: appartenenza vuol dire concreto dominio fattuale sulla cosa, slegato da una formale intestazione.

La patente è revocata nel caso di recidiva infrabiennale.

La sanzione è raddoppiata nel caso in cui il conducente in stato di ebbrezza produca un incidente stradale, e si applica il fermo amministrativo fino a 180 giorni (art. 186 comma 2bis), salvo che il veicolo appartenga ad un soggetto estraneo alla fattispecie illecita.

Nel caso specifico in parola (valore alcolemico superiore a 1.5 g/l), il soggetto che cagiona un sinistro in stato di alterazione psico-fisica derivante da alcol è assoggettato alla revoca della patente, salvi in ogni caso i provvedimenti di confisca e di sequestro di cui alla lettera c) del comma 2, art. 186 C.d.S.  

L'aggravante che interessa le fattispecie dai risvolti penali (lettere C e D) è prevalente rispetto alle eventuali attenuanti. Essa dovrà essere applicata per prima e, solo successivamente, sulla pena così ottenuta, andranno applicate le attenuanti.

 

2. Accertamento dello stato di ebbrezza e focus sull'etilometro.

Per l'accertamento dello stato di ebbrezza rilevano tre commi dell'articolo 186 c.d.s., vale a dire i commi 3, 4 e 5. Per una comprensione più organica, è utile partire dal comma quinto ed effettuare una lettura “a ritroso”.

Il comma quinto si applica se il conducente ha cagionato un incidente e deve usufruire di cure mediche, consentendo alle forze dell'ordine di chiedere alla struttura sanitaria il responso in merito al tasso alcolemico e alle condizioni fisiche conseguenti al sinistro stradale. Se possibile (si tratta dei casi di sinistri che non producano la necessità di ricevere assistenza sanitaria), gli agenti di polizia, contrariamente a quanto asserito pocanzi, possono rilevare lo stato di ebbrezza mediante alcooltest, anche accompagnando il soggetto presso il più vicino ufficio o comando.

Negli altri casi non correlati a incidenti stradali, gli organi accertatori (es. Polizia Stradale, Carabinieri, Vigili Urbani) sottopongono gli utenti della strada ad alcooltest mediante l'etilometro, secondo quanto sancito dall'art. 186 co. 4 C.d.S., letto in combinato disposto con l'art. 379 commi 1 e 4 del D.P.R. 495/1992 (Regolamento attuativo del Codice della Strada).

L'etilometro è uno strumento che può rilevare la presenza di etanolo nell'aria espirata (c.d. “B.R.A.C.”: Breath Ratio Alcohol Concentration), il quale viene espulso tramite l'apparato respiratorio sempre in quantità proporzionale a quella contenuta nel sangue nel preciso istante in cui si espira.

Ecco perché, attraverso un sistema di calcolo e conversione, l'etilometro segnala la quantità di alcool presente nel sistema circolatorio (grammi per litro).

L'Allegato al Decreto Ministeriale 196/1990 considera il rapporto fra la concentrazione alcolemica nell'espirato e quella presente nel sangue nella misura di 2300:1.

La giurisprudenza più recente, sulla scorta di quanto espresso dall'art. 1 co. 2 del Decreto Ministeriale 196/1990 e dal comma 2 dell'art. 379 cit. Reg. Cod. Strada, ha rammentato l'obbligatorietà, per gli agenti di polizia, di effettuare almeno due verifiche ad intervallo di cinque minuti e, tra i risultati ottenuti, di considerare rilevante quello col valore inferiore (Cassazione, 23 aprile 2013, n. 18375; Cassazione 3346/2009; Cassazione 16478/2008); i due accertamenti non possono essere sostituiti dalla combinazione di un accertamento tecnico con un controllo sintomatico.

Nel verbale redatto dall'organo accertatore, sia nei casi di controllo avvenuto, sia nei casi in cui deve essere comunicato il rifiuto di sottoporvisi, devono in ogni caso essere indicate le circostanze sintomatiche dello stato di instabilità derivante da assunzione di alcool (“stato del soggetto e condotta di guida”, ex art. 379 cit. comma 3).

Nei casi in cui il controllo con etilometro sia impossibile o invalido, il giudice ha la facoltà, da cristallizzare in una congrua motivazione, di basarsi sul riscontro di elementi sintomatici ricollegabili secondo massime empiriche allo stato di ebbrezza (Cass. pen., sez. IV, 39057/2004).

Se la rilevanza penale non emerge in maniera significativa da tali sintomi, deve propendersi per quella meramente amministrativa (Cassazione, 7 giugno 2012, n. 27940, richiamata da Cass. 35303/2013; Cass. pen., sez. IV, 27 giugno 2012, n. 25399).

 

 

2.1. Il rifiuto di sottoporsi all'accertamento del tasso alcolemico.

L'articolo 186 comma 7 c.d.s. sanziona, con le pene previste per l'ipotesi di cui alla lettera D) del paragrafo 1 del presente scritto (vale a dire l'ipotesi penalmente rilevante più grave), il conducente che rifiuti di sottoporsi all'accertamento del tasso alcolemico su richiesta delle Forze di Polizia, in virtù dei commi 3, 4 e 5 del citato articolo.

La Cassazione ha chiarito i contorni della fattispecie penale in parola con due recenti sentenze: Cass. pen., sez. IV, 31 maggio 2012, n. 21192 e Cass. pen., sez. IV, 6 febbraio 2013, n. 5909.

Con la prima, ha escluso il reato nel caso in cui al conducente fermato venga richiesto, dagli agenti di polizia, di seguirli sino ad un comando di polizia stradale molto distante dal luogo ove il primo veniva fermato (nel caso di specie, si trattava di circa 30 km) al fine di sottoporsi all'accertamento di cui al comma 3 dell'art. 186 c.d.s.

La Corte, per concludere nel senso della liceità della condotta del soggetto agente fa innanzitutto riferimento all'impossibilità di accompagnamento coattivo da parte degli agenti, poiché, se esso fosse possibile, emergerebbe dal tessuto letterale del comma 3 cit. secondo il principio di legalità; in secondo luogo si pone l'accento sulla violazione della “porzione” della norma (comma 4) che recita “accompagnandolo presso il più vicino ufficio o comando”. Il luogo ove gli agenti avrebbero condotto il soggetto fermato non sarebbe stato “il più vicino” e dunque sarebbe risultata lesa la libertà personale del soggetto, costretto a spostarsi fino a coprire una distanza intollerabile.  

La decisione della Corte, pur risolvendo la controversia con assoluta ragionevolezza e applicazione di principi fondamentali dell'ordinamento, consente un'osservazione.

La Corte, infatti, decide sul caso escludendo che la fattispecie penale si specchi nei commi da 3 a 5 dell'art. 186 cds: non si applica il comma 5 poiché non si è verificato un incidente stradale; non si applica il comma 4 perché esso presuppone un controllo/accertamento preventivo (di cui al comma 3); non si applica il comma 3 poiché esso non conferisce la possibilità di accompagnamento coattivo del conducente.

Pur escludendo che il reato di cui al comma 7 del citato articolo si colleghi ad alcuno dei commi da 3 a 5, la Corte risolve il caso asserendo (in via aggiuntiva) che il comma 4 non sia applicabile poiché non si concretizzava l'accompagnamento presso il “più vicino” ufficio o comando.

I Giudici di Legittimità, in altri termini, effettuano una “superfetazione interpretativa” laddove vanno a considerare non operante una norma di cui è stata già asserita l'inapplicabilità per altre vie, costruendo sul secondo motivo, già considerabile “assorbito” nel primo, una seconda ragione di liceità della condotta, ultronea rispetto alla prima.

Quasi a voler dire, in sintesi, che, seppure la fattispecie penale si fosse retta mediante il ricorso all'art. 186 co. 3 cds, il potere di accompagnamento degli agenti sarebbe stato “annullato” dalla improponibile distanza tra il luogo in cui il conducente veniva bloccato e quello in cui lo stesso avrebbe dovuto subire accertamenti.

Con la seconda sentenza citata, del 2013, la Suprema Corte ha ricordato la natura giuridica del reato: si tratta di reato istantaneo che si perfeziona col rifiuto. Nel momento in cui l'interessato ha espresso la propria contrarietà ad essere sottoposto all'accertamento, la fattispecie penale si consuma, non essendo rilevante un eventuale “ritorno sui propri passi”.

Vale la pena sottoporre il “ravvedimento” del soggetto al vaglio ex art. 62 n. 6 cod. pen., relativamente all'ultimo inciso “essersi adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato”.

Per comprendere se vi possano essere conseguenze dannose o pericolose del reato di mancata sottoposizione ad accertamento, bisogna valutare quale sia il bene giuridico protetto dalla norma.

Ad una valutazione accorta, pare atteggiarsi come esigenza di non frustrare l'attività di controllo degli agenti di polizia, attività che proietta la sua funzione verso l'incolumità pubblica.

Dal reato così descritto non sorgono conseguenze dannose: il bene giuridico è leso ma non conseguono altri effetti lesivi di alcun tipo.

E' forse possibile considerare conseguenza pericolosa la possibilità stessa che il conducente si rimetta alla guida, potenzialmente in assenza di lucidità mentale. Verrebbe da dire che, se l'utente richieda spontaneamente di essere sottoposto a nuovo controllo, egli stia cercando di elidere le conseguenze pericolose citate.

Il suo tentativo di eliminare tali potenziali effetti pregiudizievoli non può dirsi però automaticamente “efficace”, in quanto non sussiste in capo agli agenti di polizia un obbligo di assecondare la richiesta del soggetto; si dovrebbe allora ammettere l'operatività dell'attenuante solo nel caso (forse più astratto che concreto) in cui gli agenti soddisfino l'istanza del conducente e, sottoponendolo a nuovo accertamento, rilevino l'assenza di un tasso alcolemico che comporti una fattispecie illecita.

In questo caso, infatti, il reato si consuma col primo rifiuto ma la condotta successiva del guidatore si rivela spontanea ed efficace ai fini di eliminare i pericoli post-reato.

Al di là di questi casi, la condotta dell'automobilista potrebbe essere valutata solo ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche di cui al successivo art. 62-bis c.p.

 

 

2.2. Natura dell'accertamento e diritto all'avvocato.

Molteplici sono le questioni da analizzare, inerenti il controllo mediante etilometro (anche detto “alcooltest”): in primis quella relativa alla natura dell'accertamento.

Si tratta di un accertamento tecnico non ripetibile che, stando ai principi processualpenalistici, richiede che il soggetto da sottoporre a controllo sia avvisato della facoltà di farsi assistere da un difensore. Se l'avviso non viene effettuato, l'utente può far valere la nullità dell'atto prima dell'accertamento, subito dopo che esso sia stato ultimato o entro 5 giorni successivi al deposito dell'apposito verbale presso la Procura.

Nel caso in cui la mancanza di avviso non venga eccepita, il controllo sarà regolare e il conducente subirà le eventuali sanzioni nei termini di legge (di recente, Cass. sent. n. 36009/2013).

Spiega utilmente in tal senso il Tribunale di Cassino, Sez. Penale, con sentenza n. 334/2011: “Quanto all' avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore in occasione dell'accertamento alcoli metrico, di cui la difesa lamenta l'omissione da parte della polizia giudiziaria procedente, osserva il Tribunale che l'accertamento strumentale per l'individuazione dello stato di ebbrezza (cosiddetto alcooltest), costituisce atto urgente sullo stato delle persone disciplinato dall'art. 354 c.p.p. al quale il difensore può assistere in virtù del successivo art. 356, senza diritto a essere previamente avvisato del compimento dell'atto. Di questa facoltà la persona sottoposta alle indagini deve essere avvisata (art. 114 delle disposizioni di attuazione c.p.p.), ma non è a tal fine prevista la nomina di un difensore di ufficio. Se difetta l'avvertimento si verifica non già una nullità assoluta, ma soltanto una nullità a regime intermedio”.

 

2.3. Controllo del risultato fornito dall'apparecchio: rilevanza dei centesimi e del buon funzionamento dello strumento.

La giurisprudenza di legittimità (Cassazione, 30 marzo 2004, n. 45070; Cassazione 24 marzo 2011, n. 17463) segue tragitti interpretativi dai solchi oramai netti. Si legge nella sentenza pocanzi citata: “In tema di guida in stato di ebbrezza, l'esito positivo dell'alcooltest costituisce prova della sussistenza dello stato di ebbrezza ed è onere dell'imputato fornire eventualmente la prova contraria a tale accertamento dimostrando vizi od errori di strumentazione o di metodo nell'esecuzione dell'aspirazione [...]”.

In altri termini, il risultato fornito dall'alcoltest, qualora dimostrativo del superamento dei limiti consentiti dalla normativa del Codice della Strada, può essere confutato dalla prova, da parte del soggetto sottoposto al controllo, di errori, vizi, metodologie di accertamento errate e (può aggiungersi) di influenza di patologie o di farmaci precedentemente assunti.

La questione va però approfondita. 

Innanzitutto, il valore risultante dall'etilometro comporta alcune precisazioni:

1) secondo la giurisprudenza di merito, bisogna tenere in considerazione un margine di errore del 4%, il che già consente di aumentare la soglia consentita di tasso alcolemico (Giudice di Pace Cesena 8 febbraio 2012, che richiama Corte d'Appello Trieste, sez. I penale, n. 507/2008). Tali impostazioni ermeneutiche hanno segnato un distacco rispetto agli insegnamenti di Legittimità, i quali al contrario sostengono che il margine di errore sia già “assorbito” nel valore del tasso normativamente previsto (Cass. pen. 12904/2010).

2) i centesimi non sono rilevanti, a causa del silenzio legislativo, il quale non lascia deporre in senso contrario. Ciò consente dunque di ritenere che il soggetto nei cui confronti l'etilometro segnali un tasso alcolemico di 0.59 g/l si assesti su una fattispecie di liceità, in quanto il reale valore emergente sarebbe 0.5 g/l (in termini, la sentenza già richiamata del Giudice di Pace Cesena); la Giurisprudenza di Legittimità contrasta tale impostazione ermeneutica, sulla scorta di un'osservazione legata in maniera inscindibile al tessuto letterale delle norme. Si statuisce, infatti, che il centesimo non può essere ritenuto tamquam non esset, altrimenti da ciò conseguirebbe la necessità di “spostare in avanti” di un grammo per litro ogni valore segnalato nell'articolo 186 C.d.S. (Cass. pen., sez. IV, 6 aprile 2010, n. 12904). Con maggiore impegno espressivo, la necessità di approssimare produrrebbe una indebita interferenza col testo della norma, da interpretare, al contrario, in modo da avere un riscontro pratico nella realtà dei fatti.

3) di maggiore pregnanza, la quale deve portare l'organo giudicante a decisioni ragionevoli e logicamente rigorose, godono le ipotesi in cui lo strumento utilizzato per il test riveli, prima facie e senza bisogno di delucidazioni ulteriori, una deficienza tecnica che porti a risultati paradossali o contraddittori idonei a far rientrare la fattispecie nell'alveo penalmente rilevante. E' il caso prospettato di recente alla Corte di Legittimità (sentenza 35303/2013), che vedeva un soggetto essere condannato in appello dalla Corte territoriale di Brescia dopo che, sottoposto lo stesso ad alcooltest, l'etilometro aveva segnato il valore alcolemico penalmente rilevante accanto alla dicitura “volume insufficiente”.

La Corte di Cassazione, ribaltando un verdetto di secondo grado che ometteva di conferire rilevanza al contrasto tra i dati segnalati dallo strumento, statuiva che la prova con etilometro fosse da considerare “inesistente”, potendosi al massimo fondare la sanzione sull'accertamento qualitativo di tipo sintomatico (il quale, nel caso di specie, portava ad escludere la rilevanza penale e ad ammettere quella amministrativa, in forza di elementi quali: l'alito vinoso, gli occhi lucidi, l'instabilità, la parlantina “impastata”).

Non si comprendeva (e tale contraddizione non era oggetto di idonea motivazione del giudice d'appello) come la segnalazione di volume insufficiente a trasmettere dati relativi al tasso alcolemico potesse ben combinarsi con quella relativa al riscontro di tali dati.

 

2.4. Influenza delle patologie e dei farmaci sullo svolgimento dell'accertamento con etilometro.

La rilevanza di patologie di cui il conducente soffre o di farmaci da lui assunti prima del controllo può essere scissa in due tipologie: la rilevanza ai fini della “percorribilità” dell'accertamento con etilometro e la rilevanza ai fini dell'attendibilità dei risultati a cui tale accertamento giunge.

Sul primo versante, si vuole intendere che la condizione morbosa o patologica (non l'assunzione di farmaci) che affligge il soggetto può costringere gli organi accertatori ad escludere alcune modalità di controllo. E' il caso del soggetto asmatico (Cass. sent. n. 25399/2012 già in precedenza richiamata) che, a causa della sua condizione, non riesce ad affrontare l'alcooltest. In tale evenienza, l'unico accertamento possibile è quello qualitativo sintomatico, per il cui svolgimento e per i cui esiti si rinvia al paragrafo 2.

Sul secondo versante, ci si chiede se, nel caso in cui le predette patologie o l'assunzione di farmaci abbiano contribuito a innalzare la soglia del tasso alcolemico oltre i valori consentiti, possa attribuirsi rilevanza a tali fattori, in senso favorevole al conducente, considerando dunque erronei i risultati mostrati dallo strumentario tecnico.

Anche rispetto a questi contenuti, bisogna scindere la questione in due tronconi: da un lato le patologie, dall'altro i farmaci.

Le patologie possono rilevare al fine di giustificare l'utente della strada, in particolar modo considerati il basso tasso alcolemico rilevato (ma che comunque oltrepassi la soglia del consentito) e l'assenza di altri fattori sintomatici dell'ebbrezza; ciò qualora non si intenda fugare ogni dubbio mediante prelievo ed analisi del sangue.

Sull'assunzione di farmaci, la giurisprudenza è più rigorosa.

Nel caso in cui il tasso alcolemico oltre i limiti consentiti sia derivato dalla sola assunzione di farmaci (è onere della parte dimostrarlo), essa si pone come unico fattore eziologicamente rilevante ai fini dell'illecito e dunque il soggetto coinvolto nell'accertamento potrà beneficiare dell'esclusione della sanzione. E' il caso (Tribunale di Milano, sez. VIII penale, 15 marzo 2011) di un soggetto il quale, sofferente di bronchite cronica asmatica, prima del test aveva utilizzato uno sciroppo e un colluttorio antibatterico ed era stato riscontrato positivo all'alcoltest, venendo poi scagionato dalla consulenza tossicologica richiesta dalla difesa.

Se il risultato sfavorevole mostrato dall'etilometro è prodotto dall'influsso combinato di alcol e farmaci, il soggetto incorre in sanzione, per applicazione di un principio generale che vieta l'imprudenza. Si intende con ciò dire che ogni conducente mediamente attento può ben comprendere, già in via anticipata e prima di porsi alla guida, che il mix di più sostanze eterogenee può comportare degli “sbalzi” in termini di effetti normalmente riconducibili all'alcol.

In quest'ultimo caso, in sintesi, viene esclusa la possibilità di ammettere l'errore scusabile del conducente, in quanto egli è ritenuto rimproverabile per la propria condotta poco “lungimirante” (cfr. Corte d'Appello Milano, sez. II, 7 giugno 2007).     


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