Data: 21/09/2013 10:00:00 - Autore: Gerolamo Taras

di Gerolamo Taras - La recente sentenza del Consiglio di Stato (Terza Sezione -sentenza N. 04536/2013 del13/09/2013-) ci ha fornito l' occasione per parlare di silenzio assenso. Tema sempre interessante di fronte alla lentezza (al limite del temporeggiamento tattico) dell' attività decisionale della Pubblica Amministrazione.

“Nel nostro ordinamento giuridico dal 2005 è stato introdotto l' istituto del c.d. silenzio-assenso generalizzato, in virtù del quale “nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi, il silenzio dell'amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all'interessato, nel termine di cui all'articolo 2, commi 2 o 3, il provvedimento di diniego, ovvero non procede ai sensi del comma 2” (così, testualmente, l'attuale formulazione dell'art. 20, comma 1, della legge n. 241 del 1990), tenuto conto che il citato comma 2 si riferisce all'ipotesi in cui l'Autorità procedente abbia indetto una conferenza di servizi.

Più analiticamente, dal 29 maggio 2005, data di entrata in vigore della legge 14 maggio 2005 n. 80, che ha introdotto nella legge 7 agosto 1990 n. 241 la nuova versione dell'art. 20 di tale legge, il legislatore ha ritenuto di dover modificare la natura, la portata e le modalità di realizzazione del c.d. silenzio assenso, inteso quale fatto giuridico equivalente in tutto e per tutto ad un provvedimento amministrativo di accoglimento di una istanza volta ad ottenere l'ampliamento della sfera giuridica del richiedente. In particolare:

A) nel passato (rispetto al 2005) il legislatore aveva disciplinato l'istituto del silenzio-assenso limitandolo ai soli casi in cui una norma (anche di fonte secondaria) avesse indicato espressamente le ipotesi in cui tale istituto potesse ritenersi operativo (e ciò in virtù della disciplina generale recata dal D.P.R. 26 aprile 1992 n. 300, recante il regolamento concernente le attività private sottoposte alla disciplina degli articoli 19 e 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241);

B) nel 2005, mutando diametralmente l'approccio con detto istituto, il legislatore non ne ha più ancorato l'operatività alla previa individuazione normativamente tipizzata delle ipotesi in cui l'inerzia dell'Amministrazione avrebbe realizzato la stessa conseguenza dell'adozione di un provvedimento espresso favorevole a colui che aveva presentato l'istanza, ma ha ritenuto che detto effetto sia riferibile a qualsivoglia domanda proposta all'Amministrazione alla quale è attribuito l'esercizio di un potere discrezionale;

C) nello stesso tempo, a conferma di come l'approccio con detto istituto sia stato ribaltato, il legislatore ha tipizzato i casi in cui il silenzio-assenso non può operare, indicando - nel comma 4 del più volte citato art. 20 – i settori rispetto ai quali è sempre necessario un provvedimento espresso dell'Autorità competente, indipendentemente dal rispetto del termine procedimentale previsto in materia. Solo nelle ipotesi indicate al comma 4 del citato art. 20, vale a dire per l'attività amministrativa relativa “agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l'ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, l'immigrazione, l'asilo e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità, ai casi in cui la normativa comunitaria impone l'adozione di provvedimenti amministrativi formali, ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell'amministrazione come rigetto dell'istanza, nonché agli atti e procedimenti individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i Ministri competenti”, l'istituto del silenzio assenso in c.d. generalizzato non trova applicazione”(TAR Lazio, Sez II sentenza 5 marzo 2013, n. 2326).

Pertanto, secondo la giurisprudenza prevalente, fino al 29 maggio 2005, data di entrata in vigore della legge 14 maggio 2005 n. 80, l' istituto del silenzio-assenso viene limitato alla previa individuazione, normativamente tipizzata ed espressamente disciplinata, delle ipotesi in cui l'inerzia dell'Amministrazione realizza la stessa conseguenza dell'adozione di un provvedimento espresso favorevole a colui che aveva presentato l'istanza.

 La controversia sottoposta al giudizio del Consiglio di Stato. Secondo il Collegio, le caratteristiche che il silenzio assenso doveva certamente possedere fino al 2005, non si riscontrano nel dettato normativo di cui all'art. 5, comma 3, della legge n. 78/2000: “ Entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, è consentito, a domanda e previa intesa tra le amministrazioni interessate, il trasferimento dei dipendenti appartenenti alle qualifiche dirigenziali e direttive della Polizia di Stato nelle altre amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, nei limiti dei posti disponibili per le medesime qualifiche possedute nelle rispettive piante organiche, nel rispetto delle disposizioni di cui all'art. 20 della legge 23 dicembre 1999, n. 488 (...). Per un periodo non superiore a novanta giorni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1 il trasferimento può essere effettuato, con le medesime modalità, ad istanza dei dipendenti interessati, salvo rifiuto dell'amministrazione destinataria dell'istanza, da esprimere entro trenta giorni dal ricevimento dell'istanza medesima”.

Una parte della giurisprudenza, citata dal ricorrente, aveva individuato, nell'applicazione dell'art. 5, comma 3, della legge n. 78/2000, come riconosciuto dallo stesso TAR, un'ipotesi di silenzio assenso, nel caso di mancata adozione di un provvedimento espresso di rifiuto da parte dell'Amministrazione entro trenta giorni dal ricevimento dell'istanza di trasferimento. Secondo tale interpretazione l' assenso dell'Amministrazione avrebbe carattere vincolato, condizionato solamente dalla verifica dei requisiti formali, per cui con la disposizione concernente il “rifiuto da esprimere entro trenta giorni” si sarebbe istituito un vero e proprio meccanismo di silenzio-accoglimento con l'inerente perentorietà del termine.

Il Consiglio di Stato respinge tale impostazione. Nelle ipotesi di trasferimento contemplate dalla norma, sia previa intesa fra le Amministrazioni interessate, sia su istanza del dipendente, deve essere necessariamente espresso il consenso dell' Amministrazione, trattandosi di un atto del tutto discrezionale e non vincolato. “Il rigore e la brevità del termine serviranno dunque ove necessario solo a costringere l'Amministrazione a pronunziarsi con la dovuta sollecitudine sulla richiesta di un singolo dipendente. Se non lo farà potrà certamente essere obbligata a farlo attraverso la ordinaria procedura del silenzio, ma non certo con il meccanismo automatico e significativo del silenzio assenso per il quale manca il supporto normativo e anche quello della ragionevolezza, dato che, in via sostanziale, sbilancerebbe tutto l'equilibrio della procedura a vantaggio solo dell'interesse del dipendente e non considerando affatto quello pubblico della appropriatezza, convenienza e opportunità amministrativa del trasferimento, contro la logica che ispira la procedura di intesa definita dalla prima parte comma e che dunque deve ispirare anche la seconda parte del più volte citato art. 5, comma 3”.

Il Consiglio di Stato ha così giudicato infondato l'appello presentato da M.D.A. contro la sentenza n. 4719/2010 del Tribunale Regionale per il Lazio. Il TAR aveva respinto il ricorso presentato da M.D.A. per l'annullamento del provvedimento del Ministero dell'Interno ( 2001) di reiezione dell'istanza del ricorrente di trasferimento, ai sensi dell'art. 5, comma 3, della legge n. 78/2000, nei ruoli della carriera prefettizia con la qualifica di vice prefetto od altra equiparata e per la declaratoria del diritto del ricorrente al trasferimento nei ruoli della carriera prefettizia con la qualifica di vice-prefetto od altra equiparata.

"Infatti fra le regole che non si possono ritenere derogate dall'art. 5, comma 3, vi è anche quella, propria della carriera prefettizia, secondo la quale non è consentito l'accesso “dall'esterno”, escludendo così l'applicabilità delle norme concernenti, in generale, la mobilità fra amministrazioni. Anche volendo ammettere la perentorietà del termine, sussistendo nel caso in esame una preclusione legale, questa poteva e doveva essere opposta dall'amministrazione ad quam, prescindendo dal termine di trenta giorni stabilito per esprimere il “rifiuto”.


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