Data: 04/10/2013 14:00:00 - Autore: Gerolamo Taras

di Gerolamo Taras - Il giudizio di ottemperanza, disciplinato dagli art. 112 e ss. c.p.a. di cui al d.lgs. n. 104/2010, accorpa azioni di diversa natura, concernenti sia un'attività di vera e propria esecuzione, sia un'attività di conformazione della successiva azione amministrativa, sia profili propriamente risarcitori. Il risarcimento, sia in forma specifica che per equivalente, è una forma ordinaria di "ottemperanza al giudicato di annullamento”, a prescindere dall'esistenza, o meno, di un margine di azione conformativo.

Inoltre, quando il danno lamentato derivi dall'originaria lesione di una posizione giuridica sostanziale che è già stata accertata in sede cognitoria, il termine di prescrizione dell'azione di ottemperanza proposta ai sensi dell'art. 112, comma 3, c. proc. amm. è lo stesso di quello dell'"actio iudicati", ossia dieci anni decorrenti dal passaggio in giudicato della sentenza (cfr. Consiglio di Stato n. 258/2013 cit.).

Così Il Consiglio di Stato, con la sentenza N. 04623/2013 del 17/09/2013, nel definire la complessa vicenda dell' esproprio di un area da destinare ad un nuovo stabilimento industriale, ha ribadito che, in base all'art.114 sesto comma del c.p.a. il giudice dell'esecuzione “conosce di tutte le questioni relative all'ottemperanza. Sommariamente lo svolgimento del procedimento giudiziario.

Con diverse sentenze, il TAR Sardegna aveva annullato, prima la dichiarazione di pubblica utilità ed il decreto di occupazione d'urgenza e quindi il successivo decreto di esproprio di alcuni terreni, di proprietà di Sabesa spa, adottati in esecuzione del Piano di zona da destinarsi ad un nuovo stabilimento industriale ubicato in Comune di Olbia nell'ambito del Consorzio Industriale Nord Est Sardegna; la Sabesa, vittoriosa in tutti i giudizi, aveva richiesto la reintegrazione in forma specifica dei suoi diritti, con la restituzione del terreno che le era stato illegittimamente sottratto.

Il TAR Sardegna, a seguito di ulteriori gravami della Società espropriata S.p.A. con la sentenza n. 94/2013: -aveva ordinato al Consorzio Industriale Nord Est Sardegna di dare integrale esecuzione alle sentenze e di provvedere alla restituzione dei terreni alla Sabesa e, per il caso di ulteriore inadempimento, ha nominato commissario ad acta; -aveva condannato, altresì, il Consorzio a risarcire la SABESA dei danni per l'occupazione illegittima dei suoi terreni, connessi al mancato godimento del compendio durante il periodo di occupazione illegittima, nella misura del cinque per cento annuo del valore dei terreni nei singoli anni di riferimento; - faceva presente inoltre che il Consorzio in alternativa poteva avviare il procedimento di cui all'art. 42 bis del D.P.R. n. 327/2001, finalizzato all'adozione di un provvedimento motivato di acquisizione dei terreni in oggetto;con il riconoscimento in questa ipotesi del danno derivante dal mancato possesso del bene, e di quello derivante dalla perdita definitiva della proprietà, da liquidarsi nel rispetto dei criteri indicati dal citato articolo.

Il successivo ricorso presentato dal Consorzio contro la sentenza, e riguardante sia la competenza del TAR di incidere su un rapporto contrattuale di diritto privato già consolidato (quale la successiva vendita del terreno espropriato ad un' altra società) sia i diversi rimedi – fra cui quello previsto dall'art. 63 della legge n.448/1998- contemplati dall' ordinamento per il riacquisto della titolarità del bene (arbitrariamente negati dal Giudice di primo grado) è stato respinto dal Consiglio di Stato. Per questi motivi.

L'ordinamento giuridico nazionale e comunitario non concede alcun “diritto di resistere all'ottemperanza” come preteso dal Consorzio, la cui introduzione in via interpretativa, si risolverebbe in una regolamentazione della materia che sarebbe in radicale contrasto proprio con i ricordati principi posti dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo.

La sentenza di annullamento di provvedimenti amministrativi produce, con l'effetto caducatorio dell'eliminazione degli atti impugnati, anche quello conformativo, che vincola la successiva attività dell'Amministrazione ad un eventuale riesercizio del potere (cfr. Consiglio di Stato sez. VI, 05 aprile 2012 n. 2032).

Pertanto, una volta annullata la procedura espropriativa con sentenze passate in giudicato, l'intervenuta indebita cessione a terzi dei terreni non fa affatto venire meno l'obbligo dell'Amministrazione procedente di restituire al privato il bene illegittimamente appreso. Il privato illegittimamente espropriato può dunque legittimamente domandare sia il risarcimento e sia la restituzione del fondo con la riduzione in pristino. Oggi infatti è stata del tutto superata - alla stregua della Convenzione Europea e, in particolare, del Protocollo addizionale n. 1 - l'interpretazione che, dall'irreversibile trasformazione dei beni espropriati, faceva derivare effetti preclusivi o limitativi della tutela in forma specifica.

La giurisprudenza ha sempre affermato il potere-dovere di far luogo alla riapprensione del bene ed alla materiale rimozione delle opere che risultano senza titolo (cfr. Consiglio di Stato sez. IV 02 settembre 2011 n. 4970; Consiglio di Stato sez. VI 01 dicembre 2011 n. 6351). Pertanto, in base ai principi comunitari, una volta intervenute le sentenze che statuivano l'illegittimità della procedura espropriativa del Consorzio, la richiesta di restituzione della Sabesa dei propri terreni era legittima in quanto concerneva un'attività comunque dovuta, avendo il Consorzio l'obbligo giuridico di far venir meno - in ogni caso - l'apprensione "sine titulo" e di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto.

Per cui Esattamente il TAR ha ordinato al Consorzio Industriale Nord Est Sardegna di dare integrale esecuzione alle sentenze “adottando gli atti necessari ad assolvere l'obbligo restitutorio all'esito del procedimento già avviato per il recupero dei beni ceduti alla Sirio S.r.l. e, previo ripristino dello stato dei luoghi a cura e spese dello stesso, di provvedere successivamente alla restituzione in favore della Sabesa”.

Il Consorzio è tenuto, pertanto, ad assicurare il pieno ripristino, sul piano restitutorio e risarcitorio, della legalità violata. Ai sensi dell'art. 112 “I provvedimenti del giudice amministrativo devono essere eseguiti dalla amministrazione e dalle altre parti” e la successiva attività amministrativa trova il suo limite nelle fattispecie così come si è consolidata nel giudicato.

Con l'annullamento della proceduta residuano al Consorzio due sole possibilità: -o recupera comunque dalla Sirio i terreni e li restituisce senz'altro alla proprietaria illegittimamente spogliata; -o si appropria definitivamente del bene ex 42-bis, sana l'illegittimità dell'incauta cessione alla Sirio che, in questo, resta proprietaria, liquidando il dovuto alla Sabesa. I giudici hanno poi bacchettato l' Ente per il comportamento tenuto in tutta la vicenda. Il Consorzio, “ancora oggi, dopo dieci anni dalla prima sentenza - in luogo di definire finalmente la situazione di incertezza giuridica e porre rimedio al proprio persistente comportamento illecito - utilizza (ed abusa) in tutte le sedi degli strumenti giurisdizionali per tentare di posporre indefinitamente nel tempo l'adempimento dei suoi obblighi, incurante di generare per tale via ulteriori oneri a suo carico”.

L'appello viene respinto e la decisione impugnata integralmente confermata.


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