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Data: 05/10/2013 10:20:00 - Autore: Emanuele Mascolo Dott. Emanuele Mascolo - Con la sentenza n.04871 del 30/09/2013, il Consiglio di Stato, ha deciso sulla facoltà del Giudice Amministrativo di limitarsi all'individuazione dei criteri per la liquidazione del danno, in luogo della sua diretta quantificazione. L'impugnazione ha riguardato una decisione del T.A.R.Puglia Lecce, per 4 motivi: 1) Sulla quantificazione del danno, contestata perché doveva aversi riguardo al valore venale in comune commercio, ossia all'effettivo valore di mercato e non già al solo dato della qualificazione urbanistica del suolo (tipizzato come verde agricolo). 2) Sull'integrale risarcimento dei relitti, in funzione dell'erroneità dell'applicazione dell'art. 44 comma 1 del d.P.R. n. 327/2001 e del relativo criterio indennitario, che, al pari del suo antecedente normativo (art. 46 della legge n. 2359/1865), riguarda solo il deprezzamento di fondi diversi da quelli espropriati, dovendosi invece riconoscere che i relitti sono pressoché insuscettibili di qualsiasi utilizzazione. 3) Sul mancato riconoscimento del risarcimento per il periodo di occupazione legittima, perché il ristoro, nella misura dell'interesse legale sull'importo dovuto per il risarcimento, è dovuto quando comunque l'occupazione sia divenuta illegittima. 4) Sull'applicazione dell'art. 35 d.lgs. n. 80/1998, perché il Tar avrebbe potuto e dovuto liquidare direttamente i danni o sulla base della perizia di parte esibita in giudizio o di apposita c.t.u. da disporre (e per la quale si insiste in via subordinata in appello). Così è stata motivala la decisione: " la Consulta ha considerato l'illegittimità costituzionale delle suddette disposizioni per contrasto con l'art. 117, comma 1, cost., in relazione all'art. 1 del primo protocollo addizionale della convenzione europea dei diritti dell'uomo, nell'interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo, nonché con l'art. 42, comma 3, cost., perché il c.d. v.a.m. (valore agricolo medio) prescinde dall'area oggetto del procedimento espropriativo ed ignora ogni dato valutativo inerente ai requisiti specifici del bene. Restano così trascurate le caratteristiche di posizione del suolo, il valore intrinseco del terreno (che non si limita alle colture in esso praticate, ma consegue anche alla presenza di elementi come l'acqua, l'energia elettrica, l'esposizione), la maggiore o minore perizia nella conduzione del fondo e quant'altro può incidere sul valore venale di esso. Il criterio, dunque, ha un carattere inevitabilmente astratto che elude il ragionevole legame con il valore di mercato del bene ablato, prescritto dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo e coerente, del resto, con il serio ristoro richiesto dalla consolidata giurisprudenza costituzionale. Fermo restando che il legislatore non ha il dovere di commisurare integralmente l'indennità di espropriazione al valore di mercato e che non sempre é garantita dalla Cedu una riparazione integrale, l'esigenza di effettuare una valutazione di congruità dell'indennizzo espropriativo, determinato applicando eventuali meccanismi di correzione sul valore di mercato, impone che quest'ultimo sia assunto quale termine di riferimento dal legislatore, in guisa da garantire il giusto equilibrio tra l'interesse generale e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali degli individui. Ne consegue che, sempre in tema d'indennità di esproprio, l'inapplicabilità del v.a.m., ovviamente nei rapporti non esauriti, implica il necessario riferimento ... al valore venale pieno, potendo l'interessato anche dimostrare che il fondo è suscettibile di uno sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo , pur senza raggiungere il livello dell'edificatorietà e che, quindi, ha una valutazione di mercato che rispecchia possibilità di utilizzazione intermedie tra l'agricola e l'edificatoria" (Cass. Civ., Sez. I, 17 ottobre 2011, n. 21386). Orbene, è evidente che se ai fini dell'indennità d'esproprio, che deve rappresentare comunque un serio ristoro, non può aversi riguardo al valore agricolo medio, a fortiori non può tenersi conto del medesimo a fini risarcitori, dovendosi invece far riferimento al valore venale in comune commercio, considerate tutte le caratteristiche del suolo, ivi compresa la sua ubicazione più o meno interna o esterna a centri abitati, la presenza di opere urbanizzative e di altre infrastrutture, senza naturalmente poterne considerare potenzialità edificatorie inesistenti e/o precluse dalla sua destinazione urbanistica (tipizzata in gran parte come E1 fascia di rispetto stradale e per piccola porzione come E2 aree per attrezzature esistenti e di progetto). Anche il secondo motivo d'appello è fondato, posto che l'art. 44 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, richiamato nella sentenza impugnata, al pari dell'omologo art. 46 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, riguarda indennità dovute a terzi estranei e diversi rispetto al proprietario espropriato, e quindi è inapplicabile all'ipotesi di occupazione parziale di unitario compendio immobiliare che comporti diminuzione di valore della residua porzione, per il quale deve aversi invece riguardo al valore venale residuo secondo il criterio di cui all'art. 40 della legge n. 2359/1865 (sulla differenza e non sovrapponibilità tra le indennità ex art. 40 e 46 della legge suddetta cfr. per tutte Cass. Civ., Sez. I, 9 settembre 2011, n. 18547). E' invece infondato il terzo motivo d'appello perché per il periodo di occupazione legittima non può competere il risarcimento del danno, trovando la perdita del godimento ristoro nell'indennità di occupazione e dovendosi condividere il rilievo del giudice salentino secondo il quale poiché l'opera pubblica è infatti stata realizzata durante il periodo in cui l'immobile era oggetto di un provvedimento di legittima occupazione d'urgenza...non residuano, quindi, periodi di occupazione illegittima che possano essere risarciti attraverso il consueto criterio della concessione di ulteriori interessi sulla somma dovuta a titolo di obbligazione risarcitoria. In conclusione, e in riforma della sentenza impugnata, l'Autorità commissariale appellata deve essere condannata al risarcimento del danno, da liquidare secondo i criteri enunciati sub 2.3) e 2.4), oltre il riconoscimento sulle relative somme degli interessi legali e della rivalutazione monetaria dalla data del termine per il compimento delle espropriazioni (31 ottobre 2001) e sino al soddisfo. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) così provvede: 1) accoglie l'appello nei limiti di cui in motivazione, e, in riforma della sentenza del T.A.R. per la Puglia, Sezione staccata di Lecce, Sezione I, n. 1148 del 17 aprile 2008, riconosce il diritto al risarcimento del danno, liquidato secondo i criteri di cui in motivazione, con condanna dell'Autorità commissariale appellata al pagamento delle relative somme; 2) condanna l'Autorità commissariale appellata alla rifusione, in favore degli appellanti, delle spese e onorari del giudizio d'appello." |
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