Data: 19/10/2013 01:00:00 - Autore: Emanuele Mascolo

Dott. Emanuele Mascolo - Il Consiglio di Stato., Sezione V, con Sentenza dell'11 ottobre 2013, n. 4980, ha deciso circa la violazione del termine per la conclusione del procedimento la quale, non vizia l'atto conclusivo sopravvenuto alla scadenza di questo, ma è fonte di responsabilità patrimoniale.

Oggetto del presente giudizio è il diniego di concessione edilizia opposto dal Comune.

Il diniego veniva motivato sul contrasto del progetto di cui all'istanza con il sopravvenuto P.R.G., che aveva assegnato alla zona su cui l'intervento edilizio avrebbe dovuto essere realizzato la incompatibile destinazione ad attività terziarie.

Avverso tale diniego veniva adito il T.A.R. sostenendo, " che il titolo concessorio si sarebbe formato in virtù del parere favorevole della Commissione edilizia, che il successivo diniego, qualificabile come ritiro in autotutela, è carente di motivazione ed adottato in violazione del termine di conclusione del procedimento ex art. 2 l. n. 241/1990." 

Il T.A.R., riteneva che " il parere favorevole della commissione edilizia non poteva essere equiparato al titolo concessorio, difettando dei necessari elementi strutturali, quali l'indicazione dei termini di inizio e conclusione dei lavori e la quantificazione del contributo di costruzione; l'atto impugnato non si sostanziava in un ritiro in autotutela di una precedente determinazione favorevole, costituendo invece una “sospensione soprassessoria di ogni decisione in merito all'istanza” alla luce del sopravvenuto strumento urbanistico e della conseguente operatività delle misure di salvaguardia; il superamento dei termini di conclusione del procedimento non si traduce nell'illegittimità dell'atto amministrativo."

Appellandosi al Consiglio di Stato, l'appellante " pur dichiarandosi consapevole che il parere della commissione edilizia non equivale a concessione ad edificare, evidenzia innanzitutto che l'abnorme lasso temporale intercorso tra la presentazione dell'istanza ed il provvedimento impugnato avrebbe dovuto condurre il TAR a ritenere quest'ultimo illegittimo, in quanto sintomatico di una preordinazione dell'amministrazione resistente diretta a negare il titolo abilitativo richiesto. In secondo luogo, deduce che il diniego si fonda su un falso presupposto, visto che il P.R.G. adottato nel 1995 non è mai stato approvato, cosicché la situazione di pendenza determinata dalle misure di salvaguardia, della durata di 5 anni, ormai scaduti all'epoca della decisione di primo grado, deve ritenersi superata, cosicché il giudice di primo grado avrebbe potuto accertare “il diritto del ricorrente all'ottenimento della richiesta concessione.

Secondo il Consiglio di Stato adito, non può esserci accoglimento sostenendo che " avverso il suddetto diniego di concessione, deve innanzitutto essere disattesa la prima censura, nella quale si sostiene che la stessa sarebbe inficiata da “un comportamento illegittimo” dell'amministrazione resistente, consistito nell'abnorme durata del procedimento, ed in particolare dell'atteggiamento inerte tenuto da quest'ultima successivamente al rilascio del parere favorevole da parte della Commissione edilizia. Per costante orientamento di questo Consiglio di Stato, infatti, il mancato rispetto del termine per la conclusione del procedimento non vizia l'atto conclusivo sopravvenuto alla scadenza di questo ( Sez. IV, 12 giugno 2012, n. 2264; 10 giugno 2010 n. 3695; Sez. VI, 1 dicembre 2010, n. 8371; 14 gennaio 2009, n. 140; 25 giugno 2008 n. 3215)." 

Secondo il Collegio, " con specifico riguardo ai procedimenti di rilascio della concessione edilizia, l'art. 4, comma 1, l. n. 10/1977 operava un rinvio all'art. 31 della legge urbanistica n. 1150/1942, in particolare per riguardo concerne la “procedura”. La norma richiamata, a sua volta, imponeva all'amministrazione di provvedere entro 60 giorni dal ricevimento della domanda (comma 6), consentendo al privato istante di “ricorrere contro il silenzio rifiuto” (comma 7). La legittimità di un atto amministrativo è data dalla sua oggettiva rispondenza alle norme di legge ed ai principi generali che presiedono all'esercizio della funzione amministrativa, mentre non rilevano a tal fine atteggiamenti meramente soggettivi dei funzionari inseriti nell'organizzazione dell'ente pubblico. Nel caso di specie, peraltro, il TAR ha debitamente dato conto del fatto che il diniego costituisce in realtà una sospensione soprassessoria sulla domanda di concessione edilizia, in attesa della conclusione del procedimento di approvazione dello strumento urbanistico generale."



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