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Data: 16/10/2013 11:00:00 - Autore: Dott. Aldo Di Virgilio
Dott. Aldo Di Virgilio - Funzionario Amministrativo presso AUSL Lanciano/Vasto/Chieti - In merito all'argomento che forma l'oggetto di questo breve articolo, ha dato la più ampia ed esaustiva panoramica una sentenza del TAR di Bari, Sez. I, n° 1478 del 12.06.2008, che di seguito verrà riepilogata negli aspetti che sono stati giudicati rilevanti. I rapporti tra l'Amministrazione e le strutture private sono oggi governati dall'istituto dell'accreditamento, che sostituisce quello del convenzionamento. Tali rapporti continuano ad essere qualificati come concessori, salvo il fatto che trattasi di concessioni di attività di servizio pubblico, venendo in rilievo lo svolgimento, da parte dell'apparato pubblico, di uno dei suoi compiti fondamentali (la salvaguardia della salute). Il momento genetico della concessione di servizio pubblico è individuabile nella stipula della convenzione, con la quale per ogni singola struttura privata sono quantificati i corrispettivi e le prestazioni sanitarie da erogare e ne sono determinate le modalità. L'art. 8, 7° comma, del d.lgs. 30 dicembre 1992 n° 502 dispone che i rapporti fa il Servizio sanitario ed i soggetti privati, ad eccezione che per i medici di medicina generale ed i pediatri di libera scelta, siano fondati sul criterio dell'accreditamento delle istituzioni (accreditamento subordinato al possesso dei requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi minimi richiesti per l'esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private), sulla modalità di pagamento "a prestazione" e sull'adozione del sistema di verifica e revisione della qualità delle attività svolte e delle prestazioni erogate. L'art. 6, co° 6 della legge 23.12.1994 n° 724, ha poi contemplato l'accreditamento dei soggetti in possesso dei requisiti previsti e, comunque, dei soggetti convenzionati, subordinandolo al sistema di pagamento "a prestazione" sulla base di tariffe predeterminate. Da ultimo, con l'art. 8 quater del d.lgs. 19 giugno 1999 n° 229, il rapporto instaurato attraverso l'accreditamento fra il soggetto privato ed il Servizio sanitario nazionale è stato reso ancor più funzionale al soddisfacimento delle esigenze pubbliche, in particolare di quelle coinvolte nel fenomeno dell'assistenza sanitaria ma di rilievo non strettamente sanitario. In risposta all'obiettivo di evitare duplicazioni, eccesso di concorrenza ed altre situazioni ritenute incompatibili, è stato previsto l'accreditamento non di tutte le strutture in possesso dei requisiti richiesti, ma solo delle strutture autorizzate, pubbliche e private, e dei professionisti, ove fosse stata acclarata la loro rispondenza ai requisiti ulteriori di qualificazione, la loro funzionalità rispetto agli indirizzi di programmazione regionale, e la verifica positiva dell'attività svolta e dei risultati raggiunti. Il rispetto degli indirizzi di programmazione regionale, ovvero la rispondenza delle strutture al fabbisogno ivi stabilito, implicava la determinazione dei limiti entro i quali era possibile accreditare quantità di prestazioni in eccesso rispetto al fabbisogno programmato, in modo da assicurare un'efficace competizione tra le strutture accreditate. Nell'ambito del sistema così delineato, l'assistito aveva facoltà di scegliere liberamente fra le strutture pubbliche e quelle private le quali, d'altronde, ricevevano un compenso predeterminato a fronte della prestazione resa sulla base di tariffe, a monte fissate. L'art. 8, co 6°, del d.lgs. 30 dicembre 1992 n° 502 prevedeva che il Ministro della Sanità stabilisse i criteri generali in base ai quali dovevano essere fissate le tariffe delle prestazioni che le unità sanitarie locali erogano in forma diretta, nonché delle prestazioni erogate in forma indiretta. A tanto è stato adempiuto con D.M. 14.04.1994. Successivamente, il Ministero ha fissato le tariffe delle prestazioni ospedaliere con D.M. 14.12.1994, aggiornando poi le stesse con D.M. 30.06.1997. Con D.M. 22.07.1996, aggiornato con D.M. 13.05.1997, sono state poi stabiliti i costi delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale erogabili dal Servizio sanitario nazionale e le relative tariffe. Si stabilì inoltre che, in sede di prima applicazione del sistema di remunerazione delle prestazioni in base a tariffe predeterminate, le Regioni stabilissero le proprie tariffe in relazione a quelle ministeriali; queste avrebbero potuto subire una riduzione, fatto salvo il potere delle Regioni di fissare autonomamente livelli retributivi inferiori in base ai criteri di cui al D.M. 14.04.1994, cioè a seguito di specifica istruttoria. Secondo l'art. 35, co° 3, della legge 27.12.1997 n° 449, a decorrere dal 1.1.1998, le regioni e le province autonome che, alla data del 31.12.1997, non avessero determinato proprie tariffe per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale erogabili nell'ambito del Servizio sanitario nazionale, come definite dal citato D.M. 22.07.1996, avrebbero dovuto applicare tale decreto secondo i criteri definiti dall'articolo 2, co° 9, della legge 28.12.1995 n° 549, ossia con una riduzione delle stesse tariffe non superiore al 20%. Il sistema è stato poi parzialmente modificato dall'art. 8 sexies del d.lgs. 19.06.1999 n° 229, che ha previsto per le singole strutture la remunerazione delle funzioni assistenziali. Quanto descritto trova il suo logico completamento nella determinazione preventiva della quantità e tipologia delle prestazioni sanitarie che devono essere rese e della relativa spesa, nonché delle connesse modalità di finanziamento dei soggetti erogatori. A tal fine, l'art. 2 co° 8, della legge 28.12.1995 n° 549 ha previsto che "analogamente a quanto già previsto per le aziende ed i presìdi ospedalieri dall'articolo 4, commi 7, 7-bis e 7-ter, del d.lgs. 30.12.1994 n° 724, come modificato dall'articolo 6, co° 5 della legge 23.12.1994 n° 724, nell'ambito dei nuovi rapporti instaurati ai sensi dell'articolo 8, co° 5 del d.lgs. 30.12.1992 n° 502, e successive modificazioni ed integrazioni, ferma restando la facoltà di libera scelta, le regioni e le unità sanitarie locali, sulla base di indicazioni regionali, contrattano, sentite le organizzazioni di categoria maggiormente rappresentative, con le strutture pubbliche e private ed i professionisti eroganti prestazioni sanitarie, un piano annuale preventivo che ne stabilisca quantità presunte e tipologia, anche ai fini degli oneri da sostenere. Detta norma prevedeva quindi che le regioni e le unità sanitarie locali definissero convenzionalmente con le strutture pubbliche, con quelle private e con i professionisti che erogano prestazioni sanitarie, il piano annuale preventivo delle prestazioni, così determinando la spesa da affrontare. L'art. 1, co° 32 della legge 23.12.1996 n° 662 ha poi previsto che "Le regioni, per l'esercizio 1997, nell'ambito delle funzioni previste dall'articolo 2, co° 2 del d.lgs. 30.12.1992 n° 502, e successive modificazioni, individuano, nel rispetto dei livelli di spesa stabiliti per l'anno 1996, le quantità e le tipologie di prestazioni sanitarie che possono essere erogate nelle strutture pubbliche e in quelle private. La contrattazione dei piani annuali preventivi, di cui all'articolo 6, co° 5 della legge 23.12.1994 n° 724, ed all'articolo 2, co° 8 della legge 28.12.1995 n° 549, deve essere realizzata in conformità alle predette indicazioni, con la fissazione del limite massimo di spesa sostenibile", così ribadendo che la contrattazione investe il piano delle prestazioni da rendere e quindi la spesa da affrontare. Successivamente, l'art. 32, co° 8 della legge 27.12.1997 n° 449 ha invece stabilito che "le regioni, in attuazione della programmazione sanitaria ed in coerenza con gli indici di cui all'articolo 2, comma 5, della legge 28.12.1995 n° 549, e successive modificazioni, individuano preventivamente per ciascuna istituzione sanitaria pubblica e privata, ivi compresi i presìdi ospedalieri di cui al comma 7, o per gruppi di istituzioni sanitarie, i limiti massimi annuali di spesa sostenibile con il Fondo sanitario e i preventivi annuali delle prestazioni, nonché gli indirizzi e le modalità per la contrattazione di cui all'articolo 1, co° 32, della legge 23.12.1996 n° 662". La determinazione, per ogni istituzione sanitaria o per gruppi di istituzioni, della spesa che deve essere sopportata e delle prestazioni che devono essere rese spetta, a questo punto, esclusivamente alla regione, senza spazio alcuno per una determinazione convenzionale. La modalità di amministrazione concordata, introdotta dalla precedente legislazione, è stata abbandonata dalla disposizione in esame, che (evidentemente per la difficoltà di procedere secondo un modulo che subordini l'operare all'accordo degli interessati, in un settore nel quale la divergenza degli interessi è notevole, e così pure la conflittualità) attribuisce il relativo potere in esclusiva alla regione, prevedendo che questa determini per ogni istituzione o gruppo di istituzioni il preventivo delle prestazioni e quindi il limite massimo di spesa sostenibile. Il disposto dell'art. 1, comma 32 della legge 2l dicembre 1996 n° 662, ribadisce i contenuti dell'art. 32 comma 8 della legge 27.1997 n° 449, laddove stabilisce che la regione indica, ancora, "gli indirizzi e le modalità per la contrattazione”. Tale norma, attribuendo alla regione il potere di fissare gli indirizzi e le modalità della contrattazione, evidenzia che altri devono applicare tali indirizzi e modalità, cioè che alla contrattazione devono procedere le Aziende sanitarie locali. L'ambito della contrattazione è circoscritto all'applicazione degli indirizzi, sul presupposto della determinazione unilaterale da parte della regione sia dell'ammontare della spesa per ciascuna istituzione sanitaria o gruppo di istituzioni, sia della quantità di prestazioni da rendere; tali indirizzi possono ragionevolmente ricondursi alla determinazione delle più varie modalità della spesa nell'ambito della unità sanitaria locale, ad esempio al frazionamento del tetto in limiti di spesa mensili, alla assenza di un tetto di spesa o alla fissazione di tetti più elevati per le strutture che accettino di rendere le prestazioni con una remunerazione ridotta rispetto alle tariffe, alle modalità della regressione tariffaria (cioè delle riduzioni dei corrispettivi tariffari una volta che si siano superati determinati scaglioni) che la unità sanitaria locale e la singola istituzione determinano convenzionalmente in applicazione degli indirizzi regionali. Al quadro normativo fin qui delineato nulla aggiunge il d.lgs. 19.06.1999, n° 229, quanto alla centralità della determinazione regionale attinente al volume delle prestazioni che il Servizio sanitario regionale si impegna ad acquistare nell'anno, e quindi al volume della spesa da sostenere nello stesso periodo. E' invece oggetto di diversa disciplina il ruolo della regione e delle Aziende sanitarie locali nel procedimento che si conclude con la stipula degli accordi individuali. L'art. 8 quinquies, al primo comma, prevede che le regioni individuino le responsabilità ad esse riservate e quelle attribuite alle Aziende sanitarie locali nella scrittura degli accordi contrattuali e definiscono, inoltre, gli indirizzi per la formulazione dei programmi di attività delle strutture interessate, con l'indicazione delle funzioni e delle attività da potenziare e da depotenziare, ed i criteri per la determinazione della remunerazione delle strutture ove queste abbiano erogato volumi di prestazioni eccedenti il programma preventivo concordato. Lo stesso articolo, al secondo comma, prevede poi che la regione e le Aziende sanitarie locali definiscano accordi con le strutture pubbliche ed equiparate e stipulano contratti con quelle private e con i professionisti accreditati, anche mediante intese con le loro organizzazioni rappresentative a livello regionale, che fissano (fra l'altro) il volume massimo di prestazioni che le strutture presenti nell'ambito territoriale della medesima unità sanitaria locale si impegnano ad assicurare e il corrispettivo preventivato a fronte delle attività concordate. La nuova disciplina conferma, dunque, la natura programmatoria dei compiti attribuiti alla regione, investendo sia la Regione che le Unità Sanitarie Locali della funzione attuativa, lasciando a queste ultime un ampio margine di manovra, che si traduce nell'adozione di appositi atti amministrativi. Il modello "consensualistico" delineato dal d.lgs. 30 dicembre 1992, n° 502 è stato, quindi, progressivamente superato dalle leggi finanziarie succedutesi nel tempo, che hanno obbligato le regioni a fissare il limite massimo di spesa sostenibile (cfr. sul punto TAR. Puglia, Lecce, sez. II, n° 724/1999). In particolare l'art. 32, co° 8 della legge 27.12.1997 n° 449, ha sancito definitivamente il carattere autoritativo della pianificazione rimessa alla Regione, tenuta a fissare i limiti di spesa ed a determinare le risorse da destinare alle prestazioni sanitarie, avendo presente che non è possibile contare su risorse illimitate (Cons. Stato, sez. V, n° 418/2002). All'esercizio unilaterale del potere da parte dell'autorità regionale si accompagna e segue quello di eguale natura espresso in sede applicativa dalle singole Aziende sanitarie. La fissazione di limiti rigidi di spesa per ciascun operatore sanitario, senza la previsione di qualsivoglia possibilità di negoziazione, discende dal fatto che la A.U.S.L. prima di contrattare è tenuta a fissare il volume delle prestazioni da acquistare, che non può essere superato a contrattazione conclusa (Tar Puglia, Lecce, sez. II, n° 8963/2003). Il modello contrattuale, introdotto con l'art. 8 quinquies del d. lgs. 30 dicembre 1992 n° 502, si innesta in un contesto ordinamentale, nel quale il limite massimo della spesa sostenibile fa parte dell'oggetto della contrattazione. La A.U.S.L. deve perciò contrattare con le varie strutture contemporaneamente, e deve sottoporre a tutte le stesse condizioni; conseguentemente, la prevista contrattazione a livello periferico si riduce alla sottoposizione ai privati di uno schema di convenzione già predisposto, che questi possono accettare o rifiutare (precludendosi così la possibilità di offrire prestazioni sanitarie con onere a carico del servizio pubblico. Neppure può dirsi che tale procedura leda il canone del giusto procedimento per la eccessiva compressione delle forme di partecipazione; detto principio, infatti, non ha rilevanza costituzionale, potendo subire, come in questo caso, deroghe per scelta del legislatore. Dal panorama normativo tracciato emerge, quindi, che il diritto alla salute, di cui all'art. 32 della Costituzione, è tutelato non incondizionatamente ma compatibilmente con altre esigenze, prima fra tutte quella relativa alla disponibilità dei mezzi finanziari, secondo l'art. 81 della Costituzione. Le compressioni derivanti dalla limitatezza delle risorse finanziarie pubbliche disponibili sono state più volte sottoposte al vaglio della Corte costituzionale, che ne ha sempre confermato la legittimità (cfr., tra le altre, Corte Cost. n° 455/1990; Id., n° 247/1992; Id., n° 304/1994; Id., n° 509/2000; Id., n° 257/2007). Per le ulteriori prestazioni erogate possono essere ben previsti criteri per la remunerazione delle stesse (in applicazione dell'art. 8 quinquies, primo comma - lett. d), del d.lgs. 30.12.1992 n° 502); se tuttavia tale remunerabilità è esclusa espressamente o non è contemplata, nulla potrà essere preteso. A ciò consegue la facoltà della struttura privata o del professionista accreditato di rifiutare la prestazione richiesta, in quanto la funzione integrativa del Servizio sanitario nazionale attribuita con l'accreditamento ed il contratto cessa al raggiungimento del tetto di spesa fissato. In questo senso, il diritto di libera scelta riconosciuto all'assistito del Servizio sanitario nazionale non è incondizionato, ma è soggetto all'osservanza del tetto di spesa da parte della struttura sanitaria prescelta, giacché diversamente sarebbe vanificata la disciplina dei tetti di spesa nel settore sanitario (Cons. Stato, sez. V, n° 6806/2007).
Dott. Aldo Di Virgilio - Tel. 340.7252549 - email: aldo.divirgilio@tin.it
(Tratto dalla rivista bimestrale “Gazzettino Abruzzese”, anno XXII - Settembre/Ottobre 2012 - numero 5)
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