Data: 18/10/2013 16:00:00 - Autore: Gabriella Filippone
Avv. Gabriella Filippone -  Il nostro Paese si appresta a sanare una delle tante inadempienze rispetto al diritto internazionale e alla tutela di diritti umani e civili fondamentali.
Fonte immagine: Human Rights International.
 Lo stato dei Lavori in Commissione Giustizia del Senato: in Italia il delitto di tortura si va configurando  come un delitto generico (comune) che potrebbe essere commesso da chiunque e non specificatamente da un pubblico ufficiale. Se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale viene configurato solo come un'aggravante.  Se a torturare è un privato cittadino la pena può andare dai 3 ai 10 anni. Se a commetterlo è un pubblico ufficiale, la reclusione può arrivare fino a 12 anni. In caso di lesioni gravissime, il primo rischia 15 anni, l'agente 18.
Questa la norma che ha passato il vaglio della commissione: «Chiunque, con più atti di violenza o di minaccia, ovvero mediante trattamenti disumani o degradanti la dignità umana, ovvero mediante omissioni, cagiona acute sofferenze fisiche o psichiche ad una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia o autorità o potestà o cura o assistenza ovvero che si trovi in una condizione di minorata difesa, è punito con la reclusione da 3 a 10 anni.
Se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale nell'esercizio delle funzioni ovvero da un incaricato di un pubblico servizio nell'esercizio del servizio, la pena è della reclusione da 4 a 12 anni. Se dal fatto deriva una lesione personale le pene di cui ai commi precedenti sono aumentate. Se dal fatto deriva una lesione personale grave le pene sono aumentate di un terzo e della metà in caso di lesione personale gravissima», cioè per il privato fino a 15 anni di pena, per il pubblico ufficiale sino a 18 anni. «Se dal fatto deriva la morte quale conseguenza non voluta la pena è della reclusione di anni 30. Se il colpevole cagiona volontariamente la morte la pena è dell'ergastolo».

Si introduce poi il reato di «Istigazione del pubblico ufficiale alla tortura». Rischia  dai 6 mesi ai 3 anni di carcere «il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio il quale, nell'esercizio delle funzioni o del servizio, istiga altro pubblico ufficiale o altro incaricato di un pubblico servizio a commettere il delitto di tortura, se l'istigazione non è accolta ovvero se l'istigazione è accolta ma il delitto non è commesso».
Questo è quanto prevede in sintesi il testo in commissione Giustizia del Senato.
Dopo varie legislature in cui si è tentato di introdurre invano il reato di tortura nell'ordinamento italiano, sembra che questa volta il testo stia ricevendo un ampio consenso. [1]
La sistematica e diffusa pratica della tortura è considerato un crimine contro l'umanità. L'Italia è uno dei pochi Paesi in cui ancora non esiste il reato di tortura.

La proibizione legale della tortura qualifica un sistema politico come democratico. Introdurre il reato di tortura è un obbligo internazionale, è anche una garanzia. La tortura è sempre stata considerata uno strumento volto ad annullare la personalità della vittima ed a negare la sua dignità come essere umano. Le Nazioni Unite hanno condannato simili azioni, considerati anche gli avvenimenti storici mondiali che l'hanno preceduta. La sistematica e diffusa pratica della tortura costituisce oggi un crimine contro l'umanità, che non può essere giustificato da nessuna circostanza.

L'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato, con la risoluzione 39/46, la Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani e degradanti. Entrata in vigore il 26 giugno 1987, la Convenzione sancisce la proibizione generale della tortura, e obbliga gli Stati contraenti ad adottare una serie di provvedimenti adeguati, per assicurare la prevenzione e la lotta contro le torture e per proteggere l'integrità fisica e spirituale delle persone private della loro libertà. La legislazione italiana, non è stata ancora adeguata agli standard internazionali: la tortura è stata vietata esplicitamente in tempo di guerra, con una legge del gennaio 2002, ma il codice penale ancora non prevede il reato di tortura! Nessuno, dal 1988, anno di entrata in vigore della Convenzione per l'Italia, è stato incriminato per tortura, anche se gli episodi non sono mancati. (vedi Valeria Centorame, "Perchè il reato di tortura non entra nel codice penale italiano?")
E' stato inoltre adottato un Protocollo facoltativo della Convenzione, 'l'Optional protocol to the convention against torture entrato in vigore il 22 giugno 2006, per rafforzare la protezione delle persone private della loro libertà contro la tortura e altri trattamenti crudeli, trattamenti inumani o degradanti, In base a questo ulteriore protocollo gli Stati contraenti devono, rendere conto ogni quattro anni alla Commissione dell'ONU contro la tortura (CAT) delle misure da loro adottate per adempire gli obblighi che la Convenzione impone loro. L'Opcat prevede che gli Stati istituiscano un proprio "national preventative mechanism 2" (Npm), un meccanismo preventivo nazionale per tutelare gli individui deprivati della libertà. Su 81 paesi aderenti, solo 21 non lo hanno ratificato, tra questi paesi c'e' l'italia.


 
Introdurre il reato di tortura è non solo un obbligo internazionale è anche una garanzia per i cittadini e per tutti coloro che per qualsivoglia motivo, si trovano sotto custodia dello Stato e dei suoi apparati; si ricordino i tanti casi di cortocircuiti giudiziari, a tutti noti, comportamenti specifici delle Forze dell'ordine, i casi della scuola Diaz durante il G8 di Genova, della caserma di Bolzaneto, la morte in carcere di Stefano Cucchi e la vicenda del diciottenne Marco Aldovrandi nel 2005 a Ferrara hanno suscitato molte reazioni in Italia.

IL REATO DI TORTURA E L'ORDINAMENTO ITALIANO  L'art. 13 della Costituzione italiana stabilisce il principio secondo cui "E' punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà.
Le Organizzazioni non governative, fra le quali Amnesty International, così come gli Organismi internazionali chiedono che l'Italia si adegui e che colmi quel vuoto normativo che ad oggi ha prodotto ingiustizie diffuse e segnato il destino di tante famiglie. La normativa internazionale che dovrebbe guidare il legislatore italiano appare chiara e direttamente applicabile, anche per dare un senso effettivo al disposto dell'art. 13 della Costituzione.
Fabrizio Vitigliano nel suo articolato e complesso lavoro “Il Reato di tortura e l'ordinamento italiano”, pubblicato su altrodiritto.unifi.it, analizza la tematica in modo completo. Riporto i punti e i contenuti da lui trattati.
Il divieto di tortura è previsto da numerose convenzioni generali sui diritti umani, e da specifici trattati ai quali l'Italia ha aderito:
-la Convenzione dell'ONU contro la tortura del 27 giugno 1987;
-la Convenzione Europea per la Prevenzione della Tortura e della pene o trattamenti crudeli, inumani e degradanti del 26 novembre 1987.

La Convenzione dell'ONU Contro la Tortura prevede l'obbligo per gli Stati di legiferare affinché qualsiasi atto di tortura, come pure il tentativo di praticare la tortura o qualunque complicità o partecipazione a tale atto, sia espressamente e immediatamente contemplato come reato nel diritto penale interno.
La Giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo: l'ampia giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo costituisce una base concettuale importante per la distinzione tra tortura, pene, trattamenti inumani o degradanti. La Corte è intervenuta condannando gli Stati per la violazione dell'art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell'Uomo, che richiama letteral,mente l'art. 5 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
L'art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell'Uomo contempla tre tipi di condotte: tortura, trattamenti o pene inumane. La definizione e puntuale specificazione di ciascuna condotta è stata curata dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo in numerose sentenze.
La prima storica sentenza è relativa al caso Ireland v. United Kingdom del 1978, nella quale la Corte si soffermò in particolare sull'identificazione di elementi che possono portare alla configurazione di una tortura. Per la Corte rientrano nella previsione dell'articolo 3 quei "maltrattamenti", di natura fisica e/o mentale, che raggiungono un minimo livello di gravità e il "livello minimo di gravità", come ribadito in tutta la giurisprudenza, deve essere valutato in base a un insieme di circostanze quali: sesso, età e stato di salute della vittima, durata del trattamento e conseguenze fisiche e mentali.
Nel caso Ireland v. United Kingdom Unito, davanti alle confessioni estorte ai presunti componenti dell'IRA (Irish Republican Army) attraverso le c.d. “Cinque tecniche di privazione sensoriale”, consistenti in: incappucciamento, assoggettamento continuo a forti rumori, privazione del sonno, negazione di cibo e bevande, obbligo di rimanere in piedi per lunghi periodi di tempo, simulazione della sensazione di annegamento attraverso ripetute immersioni del capo in recipienti contenenti acqua, la Corte, ritenne che: "degradante" è quel trattamento in grado di causare nella vittima paura, angoscia e umiliazione e di portarla ad agire contro la propria volontà e coscienza.
"Stabilito che un determinato trattamento supera la soglia minima di sofferenza, il grado di intensità costituirà il criterio per distinguere un trattamento inumano o degradante da un atto di tortura. La tortura è un trattamento disumano o degradante che causa sofferenze più intense". A prescindere da qualsiasi offesa a livello fisico o mentale, quando si è in presenza di un trattamento che degrada e umilia l'individuo, che dimostra mancanza di rispetto per la dignità umana e infonde nella vittima un sentimento di inferiorità che possa distruggere in qualsiasi modo la resistenza fisica e morale dell'individuo, in tale condizione si ha una violazione.
 La Corte già in passato, nella sentenza Labita c. Italia, nella valutazione di un trattamento disumano ha tenuto in forte considerazione la rilevanza delle sofferenze fisiche, mentre nella valutazione di un trattamento degradante ha posto attenzione alle sofferenza psichiche e morali dell'individuo che le subiva.
Fonte immagine: Leccesette.it
Molte sentenze della Corte hanno portato all'assoluzione degli Stati non per infondatezza della pretesa dell'attore, ma perché non si è riusciti a dimostrare "beyond reasonable doubt" i fatti allegati, non essendo possibile dimostrare l'evidenza di atti che per loro natura lasciano segni solo ed esclusivamente nella psiche della vittima.
 La Corte, con la sua giurisprudenza, ha affermato che la pena dell'ergastolo è eccessiva quando comminata per reati senza conseguenze gravi o efferate o che, avendo riguardo delle condizioni di salute dei detenuti, l'esecuzione della pena deve "evitare di accentuare il senso di umiliazione che è insito nella sanzione penale inflitta al condannato".
Elementi costitutivi e caratteristiche delle fattispecie criminose:   la giurisprudenza dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, ha identificato le tre possibili condotte che possono essere distinte tra loro in base al grado di sofferenza inflitta: "molto gravi e crudeli nella tortura; mentali e fisiche di particolare intensità nel trattamento inumano; atte a provocare umiliazione e angoscia nel trattamento degradante" . Occorre adesso entrare nello specifico del reato di tortura così come potrebbe essere codificato nell'ordinamento penale italiano, individuandone gli elementi costitutivi e tracciando le caratteristiche dei comportamenti vietati.
 L'elemento oggettivo del reato consiste: 1. in qualsiasi azione atta, anche solo potenzialmente, a provocare un'acuta sofferenza, fisica o mentale; 2. nella causazione di pena e nella sofferenza non appropriate o accidentali all'esecuzione di sanzioni legittime; 3. nella sofferenza fisica o mentale inflitta da un pubblico ufficiale o da ogni altra persona che agisce in qualità di organo (rapporto di immedesimazione organica), oppure su sua istigazione, oppure con il suo consenso o con la sua acquiescenza.
Per l'elemento soggettivo del reato, secondo quanto affermato dagli organi giudiziari e paragiudiziari internazionali, sono richiesti due elementi: 1. il perseguimento di un particolare scopo, ossia di ottenere dalla persona sottoposta a tortura o da una terza persona informazioni o una confessione, oppure la volontà di infliggere una punizione per comportamenti che egli o una terza persona ha commesso o è sospettato di aver commesso, o intimidirlo o fare pressioni su di lui o su una terza persona, o infine per qualunque altro motivo fondato su di una discriminazione di qualunque tipo, o anche per umiliare la vittima; 2. l'infliggere dolore e sofferenze deve essere intenzionale.
Tornando all'analisi di Vitigliano, la punibilità della tortura, in quanto crimine internazionale, non dovrebbe prevedere termini di prescrizione e la perseguibilità dei sui autori dovrebbe essere d'ufficio, vista la gravità dell'atto che si contesta.
Un elemento al quale il legislatore italiano dovrà dare attenzione è lo scopo dell'atto posto in essere. La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo non ha voluto attribuire rilevanza allo scopo dell'autore nel praticare l'atto di tortura perché la Corte si è sempre professata per l'assolutezza del divieto di tortura e trattamenti inumani o degradanti e quindi per la sua «non bilanciabilità» con altre esigenze.
L'ultima caratteristica da analizzare, che è fra i cardini della nostra civiltà giuridica, è la decisione" al di là di ogni ragionevole dubbio". Tale principio deve essere però considerare lo squilibrio in cui si vengono a trovare chi è stato vittima di tortura e il suo presunto torturatore. E' difficile per un individuo privato della propria libertà riuscire a denunciare nell'immediatezza gli atti subiti, anche a causa di complicità esterne, e quindi poter avere elementi di prova a futura memoria per un processo. Sarebbe in proposito opportuno per Vitigliano che il legislatore prevedesse per tale reato l'inversione della prova o quanto meno un onere di prova molto più blando di quello generalmente richiesto per la parte lesa e un onere rafforzato per il pubblico ufficiale chiamato in giudizio.
La Corte ha stabilito in giudizi pregressi, partendo dalla considerazione che fra la privazione di libertà di un individuo da parte delle autorità e gli evidenti segni di maltrattamenti subiti dall'individuo stesso (ove sufficientemente dimostrati) vi sia un nesso di causalità, che è onere dello Stato dimostrare che tale nesso di causalità non risulta essere sussistente. L'interesse dell'individuo, quale parte debole, dovrebbe essere prevalente anche per il legislatore italiano.
 La necessità della codificazione. Gli ambiti nei quali, l'opinione comune, in prevalenza sente la mancanza del reato di tortura e trattamenti inumani o degradanti sono l'ordine pubblico in generale, sul quale hanno il monopolio le forze di polizia, e l'ordinamento carcerario.
Per quello che riguarda il c.d. ordine pubblico l'esempio primo per porre in rilievo la necessità di una codificazione riguarda gli atti di tortura e trattamenti inumani e degradanti perpetrati durante il G8 di Genova del 19-22 luglio 2001 presso la scuola Diaz e presso la caserma di Bolzaneto. Dalle risultanze processuali sarebbe emerso come all'interno della caserma di Bolzaneto siano stati posti in essere veri e propri atti di tortura, nonché atti inumani e/o degradanti. La condanna in Appello tuttavia è andata incontro a prescrizione e nessuno dei colpevoli ha scontato la pena prevista. Come osservato, tra gli altri, da Amnesty International, se l'Italia non fosse stata inadempiente rispetto agli obblighi internazionali, il procedimento non si sarebbe prescritto e i responsabili sarebbero stati puniti. Come previsto dalle norme internazionali di carattere generale la prescrizione non vale per i crimini internazionali come ad esempio la tortura.
Il problema riguardante l'ordinamento carcerario riguarda principalmente il sovraffollamento carcerario. Tale problema è stato affrontato nel recente Rapporto sullo stato dei diritti umani negli istituti penitenziari e nei centri di accoglienza e trattenimento per migranti in Italia. In tale rapporto, oltre a evidenziare quelli che dovrebbero essere gli standard minimi di vita in una cella, vengono evidenziate le attuali condizioni dei detenuti nei penitenziari della penisola. Il Rapporto analizza lo stato delle carceri evidenziandone in parecchi casi le criticità. Nel rapporto si evidenza anche l'ormai celebre caso Asti, nel quale casi di tortura vera e propria, che erano stati puntualmente documentati, sono stati derubricati a maltrattamenti aggravati e lesioni lievi, proprio a causa della mancanza nel codice penale italiano del reato di tortura.
Il ritardo del Parlamento Italiano nell'adozione della normativa contro la tortura va contro gli impegni presi in sede internazionale, ma anche contro gli stessi cittadini italiani, potenziali vittime di atti riconducibili alla categoria di trattamenti inumani o degradanti. Le legislature che si sono succedute negli anni si sono perse in buone intenzioni e buoni progetti di legge che non hanno raggiunto l'approvazione definitiva.
 In molti casi è forse pesato il pregiudizio che una modifica legislativa come l'introduzione del reato di tortura potesse comunque incidere sui numerosi processi in corso a carico di rappresentanti delle forze dell'ordine, per fatti riconducibili a violenze commesse a vario titolo ai danni di persone comunque sottoposte a limitazioni della libertà personale, spesso in assenza di provvedimenti che ne legittimassero l'arresto o la detenzione.
 Pur apparendo evidente che il legislatore italiano sia seriamente intenzionato ad una legislazione sulla tortura, si prospetta ancora una volta il rischio che tanto lavoro vada sprecato. Il reato di tortura potrebbe svolgere in futuro una qualche funzione dissuasiva rispetto a comportamenti istituzionali che sono indegni di un paese democratico che vuole ancora definirsi come stato di diritto. [2]
L'impegno corrisponde a un obbligo giuridico internazionale e costituisce un forte messaggio simbolico in funzione preventiva. Istituire il reato di tortura significa infatti chiarire con nettezza quali siano i limiti dell'esercizio della forza e dei pubblici poteri rispetto a esigenze investigative o di polizia.
I reati, così anche quello di tortura, sono da sempre già nella coscienza collettiva e vanno combattuti con la cultura e con leggi di prevenzione. Per alcuni giuristi la vera barbarie è proprio l'impossibilità di citare e far condannare lo Stato Italiano del reato di tortura, che criminosamente continua a perseguire, nonostante sia nella completa illegalità. La tortura è severamente proibita dal diritto internazionale ed il divieto di trattamenti inumani e degradanti è oggetto di Convenzioni internazionali alle quali lo stato italiano ha aderito, quali la Convenzione europea per i diritti dell'uomo e la Convenzione contro la tortura sottoscritta dall'Italia nel 1989. La traduzione normativa di questi impegni risulta però insufficiente: l'Italia è infatti tra i 21 stati su 81 priva di un proprio ‘national preventative mechanism', ossia un meccanismo preventivo a tutela dei cittadini privati della libertà.
   IL DIBATTITO IN ITALIA.Perche' nessun governo di sinistra o di destra ha ritenuto fondamentale inserire il reato di tortura nel nostro codice penale?
Secondo alcuni l'introduzione del reato di tortura dovrebbe vedere come primo condannato lo Stato italiano per la situazione delle nostre carceri.
“C'è troppa emotività. Sono norme a salvaguardia dell'individuo rispetto alle prevaricazioni dello Stato – ha affermato Marco Taradash – norme specifiche, da applicarsi a rappresentanti dello Stato che agiscono contro cittadini a loro affidati.” “Ci sono troppe venature ideologiche – ha rilevato Simone Naldoni (Pd) – Si tratta di aumentare le garanzie democratiche di ognuno di noi”.
Si vuole, come ha rilevato Marta Gazzarri (IdV), “che il problema venga affrontato, visto che siamo inadempienti, anche a tutela delle forze dell'ordine”.
La Toscana, che ai tempi del Granducato fu il primo stato al mondo ad abolire la pena di morte nel 1786, è da sempre terra di diritti e testimonia come il nostro territorio italiano ed i suoi abitanti siano storicamente e culturalmente a favore della tutela dei diritti umani fondamentali e contrari ad ogni forma di violenza a danno degli individui.
Tra i pareri dominanti: la mancata previsione del reato di tortura è una lacuna sempre più inaccettabile, è necessaria l'introduzione del reato di tortura nel codice penale italiano. E' un atto di civiltà a tutela del vivere civile di tutti, cittadini e forze dell'ordine stesse. L'opinione pubblica mondiale, in tempi anche recenti, è venuta a conoscenza di trattamenti inumani o degradanti, subiti in casi di fermo di polizia o di detenzione carceraria; si cerca di stabilire dunque il principio di legge che chi commette reati nello svolgimento delle sue funzioni deve essere condannato e non godere d'impunità e omertà istituzionale, troppe volte non si è avuta giustizia e “i familiari delle vittime sono stati lasciati soli nel loro dolore. Si cerca di stabilire un principio di giustizia, il rispetto dei più elementari diritti umani”.

Amnesty International Italia commentando la sentenza di Cassazione sui maltrattamenti di Bolzaneto ha rilevato che la mancanza del reato di tortura nel codice penale italiano ha impedito ai giudici di punire i responsabili in modo proporzionato alla gravita' della condotta loro attribuita. In un comunicato l'associazione per la tutela dei diritti umani ha ribadito che la Corte di Cassazione ha emesso il verdetto definitivo sui maltrattamenti subiti nel luglio 2001, durante il G8 di Genova, da “oltre 200 persone trasferite nel carcere provvisorio di Bolzaneto, dove furono costrette a rimanere per ore in posizioni dolorose, picchiate, minacciate di subire violenze e stupri e sottoposte a perquisizioni corporali eseguite in modo volutamente degradante e a ulteriori umiliazioni. La Corte ha ribadito in modo definitivo che a Bolzaneto furono commesse gravi violazioni dei diritti umani. Il verdetto conferma le responsabilita' della maggior parte degli imputati, ma la prescrizione comporta la sostanziale impunita' per molti di loro".
Vi e' stata, in questi anni, una vergognosa mancanza di assunzione di responsabilita' per i fallimenti politici e sistemici che hanno reso possibili le violenze. Non sono mai state fornite scuse alle vittime, ne' risultano a oggi aperti procedimenti disciplinari" sottolinea l'organizzazione. Amnesty ritiene "urgente e necessario che l'Italia si doti di strumenti adeguati a prevenire maltrattamenti e tortura da parte delle forze di polizia e ad investigarli in maniera efficace: tra questi, oltre al gia' ricordato reato di tortura, occorre un meccanismo di prevenzione indipendente come richiesto dai trattati internazionali a cui l'Italia ha aderito ".
Amnesty ha chiesto "il rispetto degli impegni presi da parte dei singoli parlamentari, nonche' di tutti i leader che compongono il governo cosiddetto di larghe intese (Pd, Pdl, Scelta Civica, Partito radicale)”. L'organizzazione per i diritti umani ha sottolineato, in particolare, che “tutti i leader delle forze politiche e dei partiti rappresentati nel governo si sono impegnati per l'introduzione di misure che garantiscano la trasparenza dell'operato delle forze di polizia e per l'introduzione del reato di tortura (punto 1 dell'Agenda) e si aspetta dunque che questo impegno sia mantenuto". (vedi: Redazione MTV News, Amnesty: Italia, manca reato tortura quindi mancano pene adatte, giugno 2013) [3]

Alessandra Naldi: l'Italia introduca il reato di tortura –  Alessandra Naldi, garante dei detenuti di Milano, Garante dei Diritti delle persone private della libertà del Comune di Milano: "l'Italia introduca il reato di tortura" -  La Garante , ha chiesto che l'Italia introduca il reato di tortura .
“Nel Codice penale italiano – ha dichiarato il Garante Naldi – non esiste il reato di tortura. L'Italia è obbligata a correggere questa anomalia per ottemperare a un impegno che ha sottoscritto siglando la Convenzione ONU contro la tortura. Le norme in vigore non bastano come dimostrano alcune recenti sentenze. Punire in modo adeguato i responsabili di violenze subite in luoghi di privazione della libertà è impossibile se non viene istituito il reato di tortura”. [4]

Fonte immagine e notizia: http://milanoartexpo.com/2013/06/24/alessandra-naldi-litalia-introduca-il-reato-di-tortura-mercoledi-26-giugno-giornata-internazionale-contro-la-tortura/

Fonti e riferimenti:
[1] Il Secolo XIX Italia 27 settembre 2013.
[2] Fabrizio Vitigliano, “Il Reato di tortura e l'ordinamento italiano”, pubblicato su L'altro diritto Centro di documentazione su carcere, devianza e marginalità; altrodiritto.unifi.it
[3] Redazione MTV News, Amnesty: Italia, manca reato tortura quindi mancano pene adatte, giugno 2013
[4] Alessandra Naldi: l'Italia introduca il reato di tortura – mercoledì 26 giugno Giornata internazionale contro la tortura, pubblicato da MILANOARTEXPO, 24 giugno2013

Articolo/Rassegna News by avv. Gabriella Filippone - Foro di Pescara
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