Data: 20/10/2013 11:00:00 - Autore: C.G.

di Marco Massavelli - Corte di Cassazione Civile, sezione I, sentenza n. 23236 del 14 ottobre 2013. 

È luogo comune affermare che quando una coppia scoppia le colpe non sono mai da una parte sola. Ma quando il giudice deve addebitare una separazione deve pur sempre compiere una valutazione comparativa del comportamento dei due coniugi.

Cosa accade quindi se l'ex marito ha tenuto un comportamento violento ed ha tradito la moglie e se poi quest'ultima, a sua volta, abbia adottato comportamento vendicativo denigrando il marito nei confronti dei figli per provocare in loro un odio nei confronti del padre?

Secondo la cassazione (sentenza 14 ottobre 2013, n. 23236) è legittimo l'addebito della separazione al marito violento e fedifrago e non alla moglie che con un atteggiamento rigido e vendicativo lo denigra agli occhi del figlio per provocare odio nei suoi confronti. 

Sebbene l'atteggiamento squalificante dell'altro coniuge venga ascritto ad entrambi i coniugi, la separazione è da addebitarsi al solo marito, perché questi, a differenza della moglie, cui non era scrivibile alcuna volontaria violazione degli obblighi nascenti dal matrimonio, aveva tenuto un comportamento aggressivo e violento nei confronti sia della moglie sia dei figli e aveva coltivato da dieci anni prima della separazione una relazione extraconiugale con un'altra donna, il che aveva determinato la rottura del rapporto coniugale. 

La comparazione dei comportamenti dell'uno e dell'altra ha portato ad una motivata valutazione di merito sfavorevole al marito. In particolare un atteggiamento unilaterale ed eccessivamente rigido di un coniuge tesa a squalificare l'altro coniuge agli occhi dei figli e a provocare negli stessi odio nei confronti del genitore, se protratto per lungo tempo nel corso del rapporto matrimoniale, deve tradursi in una violazione degli obblighi del genitore nei confronti dei figli (cfr. articolo 147, codice civile), oltre che nella violazione dell'obbligo nei confronti dell'altro coniuge. Per censurare un vizio di motivazione della sentenza emessa dalla Giudice di Appello è necessaria la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contradditoria, ovvero l'indicazione delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione, necessaria, a pena di inammissibilità, ai sensi dell'articolo 366 bis, comma 2, codice procedura civile.


Tutte le notizie