Data: 24/10/2013 11:00:00 - Autore: Filippo Lombardi
di Filippo Lombardi
PREMESSA
Il presente articolo si pone come fine
quello di enucleare le questioni problematiche relative alla fattispecie
particolare di “furto al supermercato”,
in quanto oggetto di dispute dottrinali ed interventi giurisprudenziali recenti,
e di fornire delle indicazioni in merito alla risoluzione delle stesse.
La tematica è tristemente attuale, in
particolar modo se si considera il crescendo dei casi di furto nei supermercati
e nei centri commerciali derivanti dallo stato di indigenza conseguente alla
crisi economica.
L'articolo tralascerà volutamente
l'analisi dello stato di necessità (art. 54 c.p.) e del furto in stato di
bisogno grave ed urgente (art. 626 co. 1, n. 2, cod. pen.) - improntandosi
piuttosto su questioni di tipo strutturale, strettamente attinenti alla
configurazione dogmatica della fattispecie di reato.
1.
Il momento consumativo del furto al supermercato.
Il caso concerne il soggetto agente che,
all'interno del supermercato o dell'esercizio commerciale lato sensu, prelevando la merce dall'apposito scaffale self-service, la occulti su di sé.
Ci si chiede, rispetto alla fattispecie
così delineata, se la condotta dell'agente (rectius:
l'occultamento della res)
configuri l'ipotesi di furto consumato o arretri allo stadio di tentativo;
altresì, nel caso in cui prevalga la seconda soluzione, ci si interroga circa
l'idoneità del tentativo stesso.
Per quanto qui di interesse, devono
essere preliminarmente ribaditi alcuni punti fermi in tema di furto.
Il bene
giuridico protetto dal reato de quo
è ogni situazione giuridica soggettiva o posizione di fatto a contenuto patrimoniale
che consenta al relativo titolare di instaurare una relazione funzionale con la
res sulla quale essa si innesta. Lo
stesso concetto di “detenzione”, nel
furto, assume tale significato: potere, derivante dalla titolarità di un
diritto formalmente riconosciuto o da una situazione di fatto comunque
tutelata, che consente al detentore di costituire un legame funzionale ad libitum con la cosa detenuta.
Il momento
consumativo del furto è dato dalla fase successiva alla sottrazione, vale a
dire l'impossessamento. Mentre la prima fase può essere tradotta come “fuoriuscita del bene” dalla sfera di
signoria del legittimo detentore, la seconda fase consiste nell'entrata del bene stesso nella sfera di dominio
del reo.
Si assiste dunque ad una sequela di
questo tipo: detenzione della cosa da parte della vittima, sottrazione della
cosa da parte del reo, impossessamento della cosa da parte del reo.
Ci si deve chiedere se un soggetto, il
quale prelevi la merce dallo scaffale del supermercato e la occulti su di sé,
stia consumando il delitto di furto; e ciò, a sua volta, comporta la necessità
di interrogarsi se (più a monte) la condotta di occultamento configuri
automaticamente l'impossessamento.
Chi scrive si allinea con l'orientamento
incline a conferire risposta negativa, sulla base di una lettura restrittiva
del concetto di “impossessamento”. Pur
volendo considerare che la condotta riesca ad azzerare o quantomeno limitare il
controllo visivo della cosa da parte del detentore della stessa, non può
asserirsi che tale fatto sia immediatamente traducibile nei termini dell'impossessamento,
posto che lo stesso viene inteso, secondo quanto anticipato, come momento
costitutivo di un “dominio” sulla cosa
da parte del reo.
Non è possibile definire una particolare
situazione fattuale “dominio” o “signoria”, laddove il soggetto che abbia
occultato il bene non possa in concreto esercitare altri poteri sulla cosa,
diversi dal mero mantenimento dello stato di occultamento.
Ciò che si sta implicitamente cercando
di dire è che un furto può dirsi consumato qualora si verifichi la
concretizzazione del fenomeno circolare “detenzione
- sottrazione - impossessamento - detenzione”.
Lo stadio finale di tipo detentivo, a
ben vedere, non è un quid pluris rispetto
all'impossessamento (altrimenti verrebbe snaturata la struttura del reato),
rappresentando invece la “chiave di lettura” dello stesso. Se la detenzione è
il potere di stabilire un rapporto funzionale ad libitum con la cosa, l'impossessamento non è tale finché non
raggiunga l'estensione e i significati della detenzione stessa.
E' azzardato ritenere che l'occultamento
consenta l'emersione, in capo all'agente, dei poteri del detentore,
configurandosi tali facoltà solo quando il reo sia “a debita distanza” dal luogo del furto, dove quest'ultima locuzione
vuol significare che il soggetto sia passato attraverso tutti i luoghi di
possibile controllo ed abbia guadagnato un'autonomia che lo abiliti a
comportarsi uti dominus nei confronti
del bene.
Per i motivi suddetti, si ritiene che la condotta dell'agente il quale prelevi la
merce dallo scaffale del supermercato e la occulti su di sé dia origine ad un
impossessamento in fieri, cioè
destinato a completarsi solo con l'uscita dal supermercato. Tesi giurisprudenziali
e dottrinali anche molto recenti (si veda
Cass. pen. 8445/2013 e Cass. pen. 23020/2008) militano in tal senso, pur
residuando parte degli interpreti inclini a riconoscere il momento consumativo
nell'occultamento (come, ad esempio, Cass.
pen. 30283/2012).
Risulta chiaro quindi che, non potendosi
porre questioni problematiche in tema di consumazione del furto laddove il
soggetto sia fuoriuscito dai confini dell'esercizio commerciale, resta invece
da analizzare la questione del tentativo punibile (evidentemente, qualora si
aderisca alla tesi ora sostenuta).
In altri termini, nel caso in cui
l'agente, occultando la merce e avanzando fino alla soglia della “guadagnata
libertà”, venga bloccato da un fattore indipendente dalla propria volontà
(normalmente: i controlli di sicurezza), e non riesca perciò a completare la
fase stessa dell'impossessamento ai fini di profitto, si configura il tentativo, non essendo possibile identificare il
fatto come reato consumato, per i motivi prima delineati.
2.
Tentativo idoneo, inidoneo e (reato) impossibile. La rilevanza dei sistemi di
controllo.
La seconda fase del nostro ragionamento è
volta a comprendere se tale tentativo possa essere indicato come idoneo o non
idoneo e, nel caso in cui ci si assesti sulla inidoneità, ad affrontare la
possibilità di etichettare quest'ultima come fonte di un reato impossibile.
In realtà, non è possibile una risposta
univoca.
L'idoneità
del tentativo è misurata attraverso
un giudizio di prognosi postuma a base parziale: il giudice, ponendosi con la
mente nel momento della condotta del reo, deve comprendere se, alla luce delle
conoscenze effettive o possibili di quest'ultimo, il raggiungimento
dell'obiettivo (lesione del bene giuridico di riferimento) fosse altamente
probabile (e non meramente “non
impossibile”).
Qualora si possa dire che il grado
probabilistico di riuscita degradi alla mera possibilità, il tentativo verrà
definito non idoneo.
La inidoneità del tentativo, onde
evitare di cadere in antiche tesi superate, non vuol dire automaticamente “reato impossibile”. L'impossibilità si verifica, secondo Giurisprudenza oramai
costante, nel caso in cui l'inidoneità della condotta a perseguire l'evento si
palesi in maniera assoluta, intrinseca, originaria, nel senso che l'evento non
possa scaturire nemmeno fortuitamente o “rocambolescamente”
dall'azione dell'agente (si può dire, in altri termini, che la probabilità di
cagionare l'evento vietato dalla norma si attesti sullo 0%).
Può quindi tentarsi un'esemplificazione delle situazioni possibili, cercando al
contempo di “incasellare” ogni
situazione negli anzidetti significati giuridici in tema di tentativo e di
reato impossibile. I casi di seguito enucleati offrono soluzioni “tendenziali” e devono concretamente
essere valutati dal giudice, il quale deve comprendere se la sussistenza di altre
circostanze fattuali e/o conoscenze dell'agente conduca dal punto di vista
ermeneutico ad abbracciare lidi interpretativi divergenti.
Il primo
caso è quello dell'occultamento in un supermercato in cui sia assente ogni
possibile tipologia di sistema anti-taccheggio. In questa ipotesi,
l'occultamento darà origine al tentativo altamente idoneo e quindi punibile,
poiché può dirsi che il soggetto agente avrebbe con altissima probabilità
consumato il reato senza l'intervento del fattore indipendente dalla sua volontà,
il quale ha, per contro, bloccato la condotta.
Il secondo
caso è quello dell'esercizio commerciale provvisto di un solo sistema di
controllo (es. sistema elettronico anti-taccheggio). La fattispecie si pone al
confine tra alta probabilità di riuscita e mera possibilità - dunque tra
tentativo punibile e tentativo inidoneo - ma difficilmente rientrante
nell'ipotesi di reato impossibile.
Il terzo
caso è quello dell'esercizio commerciale provvisto di più sistemi protettivi
(es. sistemi elettronici anti-taccheggio e personale di sicurezza). In questo
caso, in linea di massima, la fattispecie trova una propria collocazione al
confine tra tentativo inidoneo e reato impossibile.
Il quarto
caso è quello dell'occultamento “grossolano”,
in cui, cioè, è la stessa condotta volta ad occultare che si palesa come
malriuscita. In questi casi, quindi, la fattispecie dovrebbe poter essere
annoverata tra i casi non problematici di reato impossibile. Più precisamente,
il mal riuscito occultamento risulta essere atto dotato di inidoneità
intrinseca che lascia operare l'art. 49 cit.; ciò non toglie che l'agente possa
commettere successivi atti capaci di “rigenerare”
l'idoneità del tentativo.
Volendo
sintetizzare, possono
ammettersi due casi “estremi” e altri casi mediani. I due casi non
problematici sono quelli dell'occultamento nell'esercizio commerciale
sprovvisto in assoluto di controlli, che darà origine al tentativo certamente
punibile, e quello dell'occultamento grossolano, cioè rilevabile ictu oculi, nel quale caso, evitando di
“scomodare” ragionamenti già a monte sulla univocità degli atti (la quale,
mancando, potrebbe essere la chiave di lettura della “grossolanità”), si propenderà per il reato impossibile.
Tra i due casi estremi si colloca un “limbo casistico” che deve essere
valutato in base al quantum e
all'efficienza del controllo: minori siano questi caratteri e più si approderà
nel terreno del tentativo, maggiori essi siano e, più credibilmente, ci
ritroveremo nell'alveo operativo dell'articolo 49 c.p.
Si rammenti, infine, che le Sezioni
Unite (sentenza n. 40354/2013) hanno
recentemente escluso l'applicabilità dell'aggravante del mezzo
fraudolento al mero occultamento della cosa sulla propria persona, in
quanto la condotta indicata non riesce a porsi come astuto accorgimento dotato
di insidiosità e capacità di superare le barriere protettive poste in essere
dal legittimo detentore del bene, atteggiandosi più come modo “routinario”,
banale, non sofisticato di commettere il reato (per approfondimenti, si rinvia alla più completa ed autorevole
esposizione di G. ROMEO, “Le Sezioni Unite sull'aggravante del mezzo
fraudolento nel furto in supermercato”, in Dir. Pen. Cont., 3 ottobre 2013).
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