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Data: 06/11/2013 10:00:00 - Autore: Carmelo Cataldi Uno dei più contestati istituti della così detta Legge Fallimentare (Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267) è certamente quello della revocatoria prevista ai sensi dell'art. 67 ed i cui presupposti sostanziali risultano essere, l'insolvibilità, la conoscibilità dello stato di decozione, l'indebito acquisito e il termine temporale. Poiché l'interesse del presente intervento è limitato solo agli aspetti prettamente soggettivi, si provvederà ad un'analisi approfondita dei primi due elementi necessari alla configurazione giuridica della revocazione fallimentare, ritenendo che, il terzo e il quarto elemento abbiamo una natura di carattere oggettivo rispetto a quella dell'insolvibilità e della conoscibilità. L'art. 5 della Legge Fallimentare definisce lo stato di insolvenza quella condizione in cui l'imprenditore manifesta inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrano che non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni e quindi a ritenere che lo stato d‘insolvenza consiste nella oggettiva situazione di impossibilità del debitore ad adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni, poiché la sua difficoltà, ovvero impotenza, ad adempiere non risulta transitoria e riguarda l‘intera sua situazione patrimoniale. Presupposto fondante per l‘accertamento giuridico di tale stato è la sua manifestazione pubblica attraverso inadempimenti o altri fatti esteriori che rappresentano elementi indiziari gravi, precisi e concordanti su cui si deve basare un giudizio tipicamente presuntivo e ciò nel dubbio o in assenza di prove oggettive e documentali. Proprio la legge fallimentare ha esplicitamente previsto specifiche
ipotesi sintomatiche nell'ambito dell'istituto della revocatoria, quali ad
esempio la fuga, la latitanza dell‘imprenditore, la chiusura dei locali
dell‘impresa, il trafugamento, la sostituzione o la diminuzione fraudolenta
dell‘attivo (cfr. art. 7 Legge fallimentare), mentre nella medesima non è fatto
cenno ad alcuna indicazione circa gli inadempimenti e/o fatti esteriori
che permettano oggettivamente di ritenere lo stato di insolvenza. La Suprema Corte sull‘applicazione dell‘articolo 5 L.F., ha affermato autorevolmente, più volte, che: “l'insolvenza si identifica con uno stato di impotenza funzionale e non transitoria a soddisfare le obbligazioni contratte dall'impresa e si esprime, secondo una tipicità desumibile dai dati dell'esperienza economica, nell'incapacità di produrre beni con margini di redditività tali da essere sufficienti per la copertura delle esigenze dell'impresa e fra queste, in primo luogo, l'estinzione dei debiti; nonché nell'impossibilità di ricorrere al credito a condizioni normali e senza essere costretti a decurtazioni del patrimonio.” (Cass. Civ., sez. I, 28 giugno 1985 n. 3877), da cui si deduce peraltro che lo stato d'insolvenza, presupposto della dichiarazione di fallimento, ricorre quando l'imprenditore, per il venir meno delle condizioni di liquidità e di credito occorrenti alla propria attività, si trovi in una situazione d'impotenza funzionale e non transitoria, non essendo in grado di osservare regolarmente, tempestivamente e con mezzi normali gli impegni assunti e, pertanto, non postula necessariamente il riscontro di un passivo superiore all'attivo, né l'accertamento di pregresse conclamate inadempienze. Il principio che dunque se ne ricava e quello secondo cui, lo stato d'insolvenza è da ricercare nella impossibilità dell‘impresa di continuare ad operare sul mercato adempiendo alle obbligazioni nascenti con mezzi ordinari e per cui: “Ai fini della dichiarazione di fallimento, lo stato di insolvenza va desunto, più che dal rapporto tra attività e passività, dalla possibilità dell'impresa di continuare ad operare proficuamente sul mercato, fronteggiando con mezzi ordinari le obbligazioni.”, (Cass. Civile 27 febbraio 2001, n. 2830).
In applicazione di tale principio, la Suprema Corte ha confermato la sentenza del giudice di merito che aveva escluso la sussistenza di detto stato, da un lato considerando non eccessivo lo scarto tra partite passive ed attive e desumendo dall'altro la capacità dell'impresa di risanarsi sia dalla estinzione di numerose passività durante la istruzione pre-fallimentare, sia dalle potenzialità produttive dell'azienda e dalla sua vitalità
E' dunque sulla condotta del debitore, più che sulla consistenza del suo patrimonio, che la giurisprudenza colloca l‘asse dell‘accertamento della insolvibilità dell'impresa, permettendo così di pacificamente affermare che i punti caratterizzanti dell'insolvenza vanno individuati: a) nell‘irrilevanza, ai fini di escludere lo stato di insolvenza, dell'ammontare del patrimonio attivo sul passivo; b) nella necessità di accertare la presenza delle esteriorizzazioni negative che incidono sulle ragioni creditizie, determinandone la lesione e non le cause del dissesto; c) la dimensione fenomenica dell‘insolvenza, rilevabile dell‘avverbio regolarmente, che, ai sensi dell‘art. 5 L.F., descrive le modalità di esecuzione degli adempimenti, la cui regolarità (in relazione ai mezzi ed ai tempi) è segno di insolvenza o meno.
La giurisprudenza si è nel tempo uniformata riguardo all‘accertamento dello stato d'insolvenza, stigmatizzando nelle varie pronunce la condotta (nel non pagare) del debitore associata alla mancanza di liquidità corrente, considerando non sufficiente, ai fini della valutazione di tale stato, la mera analisi della situazione patrimoniale dell‘impresa, indice sicuramente di insolvibilità, ma non di insolvenza e delineando l‘insolvenza come uno stato generale dell‘intero patrimonio del debitore, caratterizzato da un‘incapacità patrimoniale ad adempiere, immutabile e definitiva.
Dunque l'art. 5 L.F. induce a ritenere che l‘incapacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni sia strettamente connessa, non alla condotta del debitore consistente nel non pagare, ma al suo stato patrimoniale e che il presupposto all‘apertura del fallimento consiste in una situazione economica patrimoniale dell‘impresa e non già in meri fatti, eventi, comportamenti dai quali risulti che il debitore non ha pagato o non paga i propri debiti.
L‘insolvenza quale prodromo giuridico della revocatoria fallimentare sarebbe dunque l‘incapacità patrimoniale ad adempiere che, in quanto coinvolgente l‘intero patrimonio del debitore, si rifletterebbe sulla massa dei creditori in termini di conflittualità plurisoggettiva.
Da questo breve excursus appare chiaro come sia difficile cogliere gli esatti confini economici, finanziari e temporali della nozione d'insolvenza in funzione della sua correlazione all'elemento soggettivo della piena conoscibilità anche attraverso non prove, ovvero presunzioni, la cui inconsistenza, sotto il profilo della concordanza, precisione e gravità potrebbe minare ogni possibilità di decisione in merito.
In buona sostanza occorrono fatti e presunzioni dirette perché, laddove si tenterebbe di far passare alcuni indizi, peraltro non direttamente e generalmente conosciuti, se non eventualmente a imprese collocate geograficamente in un territorio vicino a quella sottoposta a curatela e direttamente afferenti ad attività parallele, ci si potrebbe trovare nell'ambito del principio della “praesumptio de praesumpto” secondo cui non sarebbe possibile valorizzare una presunzione come fatto noto per derivare da essa un'altra presunzione (Cass. civ. n. 1044/95).
Delineato il profilo giuridico e giurisprudenziale dello stato di insolvenza è naturale passare all'analisi dell‘elemento soggettivo principe, ovvero alla conoscenza dello stato di insolvenza medesimo e degli elementi costitutivi la scientia decoctionis, il cui onere della prova, come desumibile dall'art. 67 L.F. grava esclusivamente sulla parte che reclama la revocatoria, nella fattispecie il curatore fallimentare.
Esso naturalmente si po' avvalere anche di presunzioni, come da conclamata giurisprudenza, secondo cui per prova può essere intesa la sommatoria di presunzioni gravi, precise e concordanti, ma non disgiunti da altri elementi e il cui contenuto - la conoscenza dello stato di insolvenza - deve essere rapportata al momento in cui fu compiuto l‘atto che si vuole revocare. L‘elemento fondante è dunque la conoscenza che deve essere collegabile al terzo, il quale materialmente e giuridicamente ha compiuto l‘atto.
Proprio in forza dell'art. 67, e relativamente alle quattro ipotesi del primo comma, vi è presunzione di conoscenza dello stato di insolvenza dell'imprenditore, poi dichiarato fallito, nel momento del compimento dell‘atto o del pagamento a carico del convenuto in revocatoria, mentre con riguardo alle previsioni del secondo comma dello stesso articolo, conformemente ai principi generali, è all‘attore (dunque al curatore) che agisce in revocatoria, che incombe provare la conoscenza di controparte dello stato di insolvenza, sempre al momento del compimento dell‘atto o del ricevimento del pagamento.
Rispetto alle previsioni del primo comma (Sono revocati, salvo che l'altra parte provi che non conosceva lo stato d'insolvenza del debitore…) vi è un inversione dell‘onere della prova a carico del curatore fallimentare, poiché lo stato di insolvenza, così come considerato dalla legge fallimentare, riguarda solo l‘imprenditore commerciale, quando la legge subordina l‘inefficacia della revocatoria alla conoscenza dello stato di insolvenza del debitore.
Occorre tener presente che essa si riferisce alla conoscenza o alla mancata prova dell‘ignoranza del fatto che la controparte, al momento del compimento dell‘atto impugnato, si trovava in condizioni tali da poter essere immediatamente assoggettata a fallimento.
E' di fondamentale importanza quanto la Suprema Corte afferma nella sentenza 07 febbraio 2001 n. 1719: “ La scientia decoctionis può essere desunta con il mezzo delle presunzioni soltanto in presenza di concreti collegamenti ("veicoli di conoscenza" secondo Cass., 24 marzo 2000, n. 3524) tra il terzo ed i sintomi conoscibili dello stato di insolvenza: in tal senso, deve darsi rilievo, "tra l'altro, alla contiguità territoriale con il luogo in cui si manifestano i segni dell'insolvenza (Cass., 6 novembre 1993, n. 11013, in relazione alla diffusione della stampa che pubblica la notizia del dissesto; Cass., 21 aprile 1998, n. 4277, in relazione al luogo di pubblicazione del protesto ed al luogo di residenza o domicilio dell'accipiens), alla occasionalità o al contrario alla continuità dei rapporti, all'importanza degli stessi. In questo stesso ambito si deve dare rilievo anche all'attività professionale esercitata dall'accipiens (Cass., 6 dicembre 1996, n. 10886 e decisioni infra citate) ed alle regole di prudenza ed avvedutezza che caratterizzano concretamente, indipendentemente da ogni doverosità, l'operare della categoria di appartenenza.”.
Una questione ancora di fondante rilievo interpretativo insta nello stabilire se, per la conoscenza dello stato di insolvenza, sia bastante la c.d. conoscibilità di tale stato giuridico oppure se non occorra la conoscenza effettiva e non quella sufficiente ed aleatoria; è rilevante cioè se il terzo debba avere una conoscenza piena o una mera conoscibilità dello stato di insolvenza del debitore.
Per la legge il concetto di conoscenza si propone come quello diametralmente opposto alla semplice conoscibilità, elemento che potrebbe determinare una eccessiva oggettivazione dell‘azione, mentre come si avrà modo di dimostrare, secondo la consolidata giurisprudenza, la scientia o l‘inscientia decoctionis non può che raggiungersi anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti, sulla base dell‘art. 2727 c.c., attraverso le quali il giudice risale al fatto ignoto e cioè alla soggettiva conoscenza che il terzo aveva dello stato di insolvenza del debitore.
Pertanto la conoscenza è non la conoscibilità dell‘insolvenza (scientia decoctionis) del soggetto, poi fallito, ma effettivamente l'apprensione dell‘incapacità del debitore di adempiere alle proprie obbligazioni regolarmente e con mezzi normali.
Per quanto attiene all‘elemento soggettivo è pacificamente consolidata la giurisprudenza secondo cui la peculiarità della revocatoria fallimentare, nelle presunzioni gravi, precise e concordanti abbia elementi concorrenti con altre prove e pertanto, proprio per la loro caratteristica intrinseca di prove attenuate, che la linea di confine tra conoscenza effettiva e mera conoscibilità finisce per assottigliarsi sensibilmente, una volta che si ammette che il giudice di merito possa avvalersi di elementi presuntivi e che la sua valutazione sfugga al sindacato di legittimità.
In questo caso è ovvio che si verifica un inversione dell‘onere della prova per cui il curatore fallimentare offre al giudice la prova della scientia decoctionis sulla base di fatti indiretti e secondari e non sulla base di una rilevazione diretta dello stato soggettivo, mentre il convenuto dovrà provare la sua inscientia decoctionis.
Detta inscientia decoctionis potrà essere provata, attraverso la dimostrazione della mancata conoscenza o attraverso la dimostrazione della non conoscibilità, ove le presunte “prove” della conoscenza si fondano essenzialmente sulla conoscibilità di presunzioni ed indizi, lievi, imprecisi e non concordanti.
Poiché gli elementi costitutivi di tale tipo di “prova attenuata” sono: il fatto noto, il fatto ignoto e il nesso di causalità, la prova, detta quindi presuntiva, si potrà ammettere solo ove gli indici noti siano valutati nel loro collegamento logico e cronologico e facciano ritenere, senza alcun ragionevole dubbio, che il convenuto non poteva non conoscerli.
Cioè, giuridicamente è irrilevante il fatto di presumere che un terzo avrebbe dovuto conoscere notizie sullo stato di decozione della parte, a maggior ragione se ristrette ad un ambito non nazionale, per presumere che esso sia stato nella possibilità di conoscere lo stato di insolvibilità dell'impresa oggetto della decozione.
Anche le notizie di stampa possono costituire utile indice rilevatore della conoscenza dello stato di insolvenza, ma al riguardo, è appena il caso di rammentare che la Suprema Corte ha riconosciuto la rilevanza, ai fini della prova della “scientia decotionis”, della pubblicazione di notizie concernenti il dissesto della società fallita, pur dovendosi avere riguardo al luogo di pubblicazione ed alla diffusione territoriale delle notizie di stampa, (Cass. 6 novembre 1993 n. 110113).
Per riassumere, appare opportuno riportare il testo dell'articolo 67: Sono revocati, salvo che l'altra parte provi che non conosceva lo stato d'insolvenza del debitore: 1) gli atti a titolo oneroso compiuti nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, in cui le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal fallito sorpassano di oltre un quarto cio' che a lui e' stato dato o promesso; 2) gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con danaro o con altri mezzi normali di pagamento, se compiuti nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento; 3) i pegni, le anticresi e le ipoteche volontarie costituiti nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento per debiti preesistenti non scaduti; 4) i pegni, le anticresi e le ipoteche giudiziali o volontarie costituiti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento per debiti scaduti. Sono altresi' revocati, se il curatore prova che l'altra parte conosceva lo stato d'insolvenza del debitore, i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, gli atti a titolo oneroso e quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi, contestualmente creati, se compiuti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento. Non sono soggetti all'azione revocatoria: a) i pagamenti di beni e servizi effettuati nell'esercizio dell'attivita' d'impresa nei termini d'uso; b) le rimesse effettuate su un conto corrente bancario, purche' non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l'esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca; c) le vendite ed i preliminari di vendita trascritti ai sensi dell'art. 2645-bis del codice civile, i cui effetti non siano cessati ai sensi del comma terzo della suddetta disposizione, conclusi a giusto prezzo ed aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo, destinati a costituire l'abitazione principale dell'acquirente o di suoi parenti e affini entro il terzo grado; d) gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purche' posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell'impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria e la cui ragionevolezza sia attestata da un professionista iscritto nel registro dei revisori contabili e che abbia i requisiti previsti dall'art. 28, lettere a) e b) ai sensi dell'art. 2501-bis, quarto comma, del codice civile; e) gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata, nonche' dell'accordo omologato ai sensi dell'art. 182-bis; f) i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti ed altri collaboratori, anche non subordinati, del fallito; g) i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili eseguiti alla scadenza per ottenere la prestazione di servizi strumentali all'accesso alle procedure concorsuali di amministrazione controllata e di concordato preventivo. Le disposizioni di questo articolo non si applicano all'istituto di emissione, alle operazioni di credito su pegno e di credito fondiario; sono salve le disposizioni delle leggi speciali.”.
Se ne deduce che per gli atti c.d. anomali è il terzo a dover provare la sua inscientia decoctionis, ovvero che non conosceva lo stato di insolvenza del debitore; nel caso di atti normali, è invece il curatore a dover provare la scientia decoctionis del terzo.
Passiamo ora ad analizzare, quali sono i principali orientamenti giurisprudenziali e precisamente quelli della Suprema Corte.
La conoscenza dello stato di insolvenza del debitore, da parte del creditore, della cui dimostrazione è onerata la curatela (ai sensi dell‘art. 67 L.F.) deve essere effettiva e non potenziale, seppur è possibile provarla attraverso strumenti come le presunzioni: “La conoscenza dello stato di insolvenza del debitore da parte del creditore, della cui dimostrazione è onerata la curatela ai sensi dell'art. 67, comma 2, l. fall., deve essere effettivo, non potenziale, e, tuttavia, può essere provata anche attraverso indizi aventi i requisiti della gravità, precisione e concordanza, quindi fondata su elementi di fatto attinenti alla conoscibilità dello stato d'insolvenza, purché idonei a fornire la prova per presunzioni della conoscenza effettiva. La relativa dimostrazione può dunque essere anche indiretta, e cioè offerta mediante la logica concatenazione di circostanze che, in base al criterio di normalità, assunto a parametro di valutazione, consente appunto la prova presuntiva della "scientia decoctionis". Le banche, in considerazione dell'attività svolta, delle modalità che la connotano, della circostanza che dispongano di operatori professionali qualificati, possono cogliere i sintomi di un dissesto del soggetto finanziato meglio e più tempestivamente di un soggetto non professionale, avendo a disposizione, più facilmente rispetto agli altri creditori, gli strumenti atti a interpretarli e valutarli”, (Cass. Civ., Sez. I^, 9.11.2007 n° 23396).
Proprio in tema di azione revocatoria fallimentare, la conoscenza dello stato di insolvenza del debitore, pur dovendo risultare effettiva e non meramente potenziale, può legittimamente risultare fondata su elementi indiziari (quali i protesti e le procedura esecutive, quando i titoli protestati siano stati rilasciati allo stesso convenuto in revocatoria e quando le procedura esecutive siano state, ancora, dal medesimo promosse) caratterizzati dai requisiti della gravità, precisione e concordanza.
Giustamente, in contrasto con dette presunzioni, sarà, poi, il convenuto in revocatoria a provare, attraverso circostanze concrete e specifiche, la sua mancata conoscenza della condizione patrimoniale del debitore all'epoca dei pagamenti, nonostante l'uso della normale ed ordinaria diligenza posta in essere sia ora come allora sempre in tutte le proprie attività dal terzo convenuto. (Ex multis, Corte di Appello di Roma, Sez. I, 18.02.2008 n° 705, nonché Cass. Civ. 98/4318)
Dunque la prova del requisito soggettivo necessario all‘accoglimento della domanda non è integrata dalla conoscibilità in astratto dello stato di insolvenza, ma dalla conoscenza effettiva.
Come si è ampiamente dimostrato in giurisprudenza si giunge de plano dunque alla conclusione che la conoscenza, da parte del terzo, dello stato di insolvenza del debitore, nel momento in cui viene posto in essere l‘atto del quale si chiede la revoca, è presunta, e quindi, per vincere questa presunzione è necessario fornire la prova con ogni mezzo e quindi anche con presunzioni semplici, della propria inscientia decoctionis che si risolve nella non conoscibilità dell‘insolvenza, secondo il parametro della ragionevolezza di una persona di ordinaria prudenza ed avvedutezza.
Dunque l'elemento soggettivo della scientia decoctionis deve essere integrato dalla conoscenza effettiva e concreta dello stato di insolvenza, salva la possibilità che gli elementi di conoscibilità possano costituire, se valutati nella concretezza del fatto sottoposto ad esame, elementi presuntivi atti a fornire la dimostrazione dell‘esistenza della suddetta componente soggettiva: “Ai fini dell'azione revocatoria ex art. 67, comma 1, l. fall., la conoscenza, da parte del terzo, dello stato di insolvenza del debitore, nel momento in cui fu posto in essere l'atto del quale si chiede la revoca, è presunta, sicché, per vincere questa presunzione, il terzo deve fornire la prova, con ogni mezzo e quindi anche con presunzioni semplici, della propria inscientia decoctionis che potendo essere circoscritta ad un mero stato d'animo, ma ricorrendo solo quando sussistano circostanze esterne, concrete e specifiche, tali da indurre ragionevolmente un soggetto di ordinaria prudenza e avvedutezza in quel convincimento - si risolve nella non conoscibilità dell'insolvenza, secondo il parametro della ragionevolezza di una persona di ordinaria prudenza e avvedutezza, con la conseguenza che alla prova di detta non conoscibilità è in definitiva obbligato il terzo per vincere la presunzione a suo carico. La scelta circa il criterio probatorio applicabile nel caso concreto, se quello della conoscibilità ovvero quello della conoscenza effettiva, è rimessa al giudice del merito e si sottrae al sindacato di legittimità”, (Cass. Civ. 08.02.1983/1043).
Ed ancora: “Ai fini della "revocatoria fallimentare", il presupposto soggettivo della cosiddetta scientia decotionis non è integrato dalla mera conoscibilità, in astratto, dello stato di insolvenza del debitore, al momento dell'atto solutorio impugnato, ma dalla sua conoscenza effettiva e concreta, salva la possibilità che gli elementi di conoscibilità possano costituire, se valutati nella concretezza del fatto sottoposto ad esame, elementi presuntivi atti a fornire la dimostrazione della esistenza della suddetta componente soggettiva; dimostrazione di cui la curatela è onerata. Se è vero, peraltro, che sia i protesti che le procedure esecutive costituiscano elementi presuntivi atti ad ingenerare, nel creditore, la conoscenza effettiva dello stato di insolvenza del debitore ogni qualvolta i titoli protestati siano stati rilasciati allo stesso convenuto in revocatoria o siano conoscibili con l'ordinaria diligenza, ed ogni qual volta le procedure esecutive siano state promosse dallo stesso creditore convenuto, è altrettanto vero, negli altri casi, sia che l'esistenza di procedure esecutive mobiliari non costituisca - di per sè - prova sufficiente dello stato di insolvenza (attesa l'assenza di forme di pubblicità), sia che, dalla considerazione che i protesti e le procedure esecutive rappresentano elementi astrattamente idonei a rivelare la crisi economica dell'imprenditore poi fallito, non si può far discendere la automatica conclusione che, ove il creditore non li abbia percepiti, egli non sia stato sufficientemente prudente ed accorto”, (Cass. Civ. 97/4731 ).
In definitiva, in tema di prova della scientia decoctionis, si chiarisce che la prova della conoscenza, da parte dell‘accipiens, dello stato di insolvenza del debitore, poi fallito, può legittimamente fondarsi su elementi indiziari, purché gravi, precisi e concordanti tali cioè da lasciar ragionevolmente presumere una conoscenza effettiva e non meramente potenziale del predetto stato.
Conseguentemente, agli effetti dell‘azione revocatoria di un atto, con prestazioni sproporzionate, è al curatore che incombe la prova del compimento dell‘atto medesimo, mentre al convenuto quella di aver agito in circostanze tali da far ritenere, ad una persona di ordinaria prudenza ed avvedutezza, che l‘imprenditore si trovasse in una situazione di normale esercizio dell‘impresa, fatto peraltro insussistente sotto il profilo della conoscenza, considerata la effettiva non conoscibilità stessa in capo al terzo anche dei singoli fatti a presupposto delle presunzioni presentate nell'atto di curatela.
La Suprema Corte è ancora coerente in tema di revocatoria fallimentare di pagamenti, quando afferma che : “ per escludere la conoscenza dello stato d'insolvenza non può darsi valore decisivo alla circostanza che alcune forniture siano state eseguite dal creditore, in favore del soggetto poi fallito, dopo il susseguirsi di alcuni "insoluti", posto che la concessione di ulteriore credito o la prosecuzione di rapporti commerciali sono di per sè elementi equivoci, potendo trovare fondamento nella speranza del creditore che il nuovo credito aiuti il convenuto a superare la crisi economica”, (Cass. Civ. 2002 n°4759), che il terzo può vincere la presunzione di conoscenza dello stato di insolvenza, di cui gode il curatore: “ soltanto dimostrando l'esistenza, al momento in cui è stato posto in essere l'atto impugnato, di circostanze tali da far ritenere ad una persona di ordinaria prudenza e avvedutezza che l'imprenditore si trovi in una situazione normale di esercizio dell'impresa”. (Cas. Civ., Sez. I^, 22.05.2007 n° 11844 ) e che l'onere della prova contraria gravante sul convenuto in revocatoria consiste: “ nel dimostrare l'esistenza, al momento in cui è stato posto in essere l'atto revocabile, di circostanze tali da far presumere ad una persona di ordinaria prudenza e avvedutezza (prudenza e avvedutezza da valutarsi con maggior rigore nel caso che convenuto sia un operatore professionale qual è una banca) che l'imprenditore si trovava in una situazione di esercizio normale dell'impresa. Pertanto non possono ritenersi decisivi: la inesistenza di protesti e di azioni esecutive in atto, né l'esistenza di bilanci che, se non rovinosi, non denunciavano una florida situazione dell'impresa poi fallita, né la concessione di ulteriore credito al debitore, non potendosi escludere che questa sia motivata dalla speranza che la medesima consenta all'imprenditore di superare la situazione di insolvenza”, (Cass. Civ., sez. I^, 09.05.2007 n° 10629)
Sebbene il presupposto soggettivo sia quello della effettiva conoscenza e non della semplice conoscibilità, la giurisprudenza conferma l‘ammissibilità delle presunzioni per provare la scientia decoctionis, purché i loro requisiti di gravità, precisione e concordanza siano tali da far effettivamente presumere l‘effettiva conoscenza dello stato di dissesto dell‘imprenditore poi fallito da parte del terzo.
A corollario della presente dissertazione appare utile segnalare che gli elementi sintomatici della scientia decoctionis, di chi è convenuto in revocatoria e sui quali basare la presunzione di conoscenza (fermi i presupposti della gravità, precisione e concordanza ai sensi dell'art. 2729 c.c.), sono diversi e catalogabili in quattro aree: a) fatti e notizie costituenti indicatori oggettivi; b) dati desumibili dal bilancio; c) elementi desumibili dalle modalità operative; d) informazioni ricavabili dalla c.d. centrale rischi(questo eventualmente solo per le banche).
Sono ancora, fra gli altri, indicatori oggettivi, ad esempio, la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della convocazione di assemblea straordinaria per la deliberazione, ai sensi dell'art. 2447 c.c., per perdita del capitale sociale sotto il limite legale, o i reiterati ritardi nel pagamento delle fatture nonostante i solleciti o il mutamento delle normali forme di pagamento (ad esempio il congelamento dei crediti maturati e la prosecuzione delle forniture con pagamento pronto cassa anziché differiti come in precedenza), oppure il mancato deposito del bilancio di esercizio annuale presso la CCIAA.
Inoltre per giurisprudenza costante, anche davanti a fatti evidenti per tabulas, come i bilanci, le Corti di merito e la Suprema Corte, hanno confermato che, affinchè i bilanci possano essere annoverati fra gli indici rilevatori di uno stato di insolvenza, quando esso effettivamente sussista, è necessario che dal contenuto delle annotazioni degli stessi, l'insolvenza si desuma in modo chiaro ed inequivocabile, e quindi che dalla lettura dei medesimi emergano situazioni di grave inadempienza delle obbligazioni assunte, essendo del tutto irrilevanti anche eventuali situazioni di sovra indebitamenti o in assenza, appunto, della risultanza di clamorose irregolarità nei pagamenti.
Infine, l'elemento caratterizzante la scientia decoctionis non è semplicemente (o non è solo) la conoscenza di un fatto (l'esistenza di pignoramenti o di protesti, il deposito di un bilancio in perdita, la revoca dei fidi, etc.), bensì la capacità di compiere una prognosi circa la futura solvibilità dell'imprenditore sulla base di tali fatti.
Dr. Carmelo Cataldi |
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