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Data: 14/11/2013 09:40:00 - Autore: Avv. Barbara Pirelli del Foro di Taranto - E.mail: La famiglia di fatto è costituita da persone che, pur non essendo legate tra loro da alcun vincolo matrimoniale, convivono insieme agli eventuali figli nati dalla loro unione. Queste unioni sono chiamate anche convivenze "more uxorio" (dal latino mos, che significa usanza, costume, e uxor, che significa moglie), ossia come se fossero marito e moglie senza esserlo per il diritto. In Italia, le unioni civili, sia eterosessuali che omosessuali non godono ancora di una normativa organica e unitaria, queste unioni però sono ricomprese in quelle "formazioni sociali" tutelate dall'art. 2 della Costituzione. Dunque, per i conviventi non è previsto un regime giuridico unitario ma una serie di interventi, alcuni dei quali passano attraverso gli strumenti di regolamentazione dei rapporti tra privati (negozi giuridici). Uno strumento attraverso il quale le coppie di fatto possono tutelarsi, e' il "patto d'amore" che conferisce rilevanza giuridica alla convivenza mediante un contratto: un atto pubblico o una scrittura privata autenticata. Con l'atto d'amore si possono regolamentare situazioni relative a: la proprietà di beni immobili, la cessazione della convivenza, il diritto al mantenimento, l'assistenza in caso di malattia, l'uso dell'abitazione. Proprio in merito al diritto di abitazione la Cassazione si è espressa recentemente con la sentenza n. 3548 del 13 febbraio 2013 stabilendo che: "il convivente more uxorio, anche in assenza di figli, ha diritto a subentrare nel contratto di locazione stipulato tra l'ente pubblico e il compagno defunto. Nel caso di specie la Cassazione ha riconosciuto il diritto di successione, nel contratto di locazione, al compagno sopravvissuto che succedeva alla compagna defunta che a sua volta era succeduta al padre. In buona sostanza, il percorso interpretativo seguito dagli Ermellini e' stato quello di porre come requisito fondamentale, della successione nel contratto di locazione, il bene primario del "diritto all'abitazione "e non l'”abituale convivenza”, la quale richiede l'esistenza di una comunione di vita familiare. Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, protagonista della storia era una società di gestione immobiliare che proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza pronunciata dalla Corte d'Appello di Roma. La sentenza della Corte territoriale disattendeva quanto era stato deciso dal Giudice di prime cure, accogliendo la domanda proposta da parte convenuta e riconoscendo alla stessa il diritto di subentrare nella conduzione di un'unità immobiliare in luogo della convivente more uxorio deceduta, la quale era, a sua volta, subentrata al padre conduttore originario. Nella sentenza in esame viene esaminata per la prima volta dalla Cassazione una questione concernente l'interpretazione dell'art. 6 della legge 27 luglio 1978 n. 392 che prevede la successione nel contratto di locazione a favore di determinati soggetti. Il ricorrente, cioè la società di gestione immobiliare, chiedeva di cassare la sentenza d'appello con cui si era affermata la legittimità della successione del convivente more uxorio della figlia dell'originario conduttore, sul rilievo che la citata norma non potesse essere applicata in quanto essa prevedeva la successione nel contratto di determinati soggetti e, in particolar modo, del convivente more uxorio soltanto con riferimento all'ipotesi in cui si verifichi la loro successione all'originario conduttore . La Corte di Cassazione, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, interpretando la norma in funzione "teleologica",ha ritenuto, invece, che essa trova applicazione anche quando l' evento morte si verifichi riguardo al soggetto succeduto in precedenza all'originario conduttore. In conclusione, la Corte rigettava il ricorso. Condannava parte ricorrente alla rifusione alla parte resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro duemilacinquecento, di cui duecento per esborsi, oltre accessori come per legge.
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