|
Data: 24/11/2013 11:00:00 - Autore: Nadia F. Poli Nel suo romanzo "1984", George Orwell ha creato una visione da incubo del futuro, in cui un onnipotente partito esercita il controllo totalitario sulla società, costringendo i cittadini a padroneggiare la tecnica del "bipensiero", (doublethink), ovvero quel processo attraverso cui un governo dittatoriale riesce a far credere ai propri sudditi due verità tra loro contrapposte, contemporaneamente . In estrema sintesi, si tratta della volontà (e capacità) di sostenere un'idea e, allo stesso tempo, il suo esatto opposto in modo da non porsi mai al di fuori dell'ortodossia. Il bipensiero Orweliano è generalmente considerato come un espediente letterario meraviglioso, ma senza alcuna referente nella realtà, dal momento che è ovviamente impossibile credere a entrambe le metà di una contraddizione. Ma forse questa valutazione non è completamente vera. Al contrario. Non solo le persone possono credere a due idee contrapposte in antitesi, ma è qualcosa che fanno ogni giorno, senza alcuna apparente difficoltà . Si considerino, per esempio, le credenze dei cittadini nel sistema giuridico (e politico). Consapevoli che la legge sia intrinsecamente politica, la denuncia comune che i membri della "casta" siano corrotti o legiferino a proprio vantaggio politico (o per tutelare l'interesse di gruppi particolari), dimostra che le persone comprendono che la legge (e la legalità) sia un prodotto delle forze politiche piuttosto che l'incarnazione dell'ideale di giustizia. Inoltre, l'opinione pubblica crede che l'ideologia di coloro che fungono da garanti (in primis i giudici e i magistrati), possa influenzare il modo in cui la legge viene interpretata. Questo, tuttavia, in nessun modo impedisce di considerare la legge come un corpo di regole definite, politicamente neutrali, suscettibili di un'applicazione imparziale cui tutti i cittadini hanno l'obbligo morale di obbedire. La condanna frequente nei confronti della magistratura (tacciata di "attivismo antidemocratico", definita "senza principi sociali"), è semplicemente un riflesso della convinzione del pubblico che la legge si compone di una serie di "principi neutrali", definiti e coerenti, che il giudice è obbligato ad applicare in modo obiettivo, senza l'influenza delle sue convinzioni politiche e morali. Probabilmente, come suggerisce Orwell, è proprio questa capacità di bipensiero - la consapevolezza che la legge è intrinsecamente di carattere politico e la simultanea credenza che sia esista una forma oggettiva di giustizia -, che spiega l'incredibile abilità del sistema giuridico (e politico) si esercitare il proprio controllo su un popolo "apparentemente" libero. Si pensi, ad esempio, al mito dello stato di legge, al mito dello Stato di diritto, nella misura in cui questa espressione suggerisce una società in cui tutti sono disciplinati da norme neutre che sono oggettivamente applicate dai giudici. Evidentemente una cosa del genere non esiste. Come un mito, però, il concetto di stato di diritto è al tempo stesso potente e pericoloso. Il suo potere deriva dalla sua grande appeal emotivo. Lo Stato di diritto suggerisce l'assenza di arbitrarietà, l'assenza dei peggiori abusi della tirannia. Dopo tutto, chi non sarebbe a favore dello Stato di diritto se l'unica alternativa fosse l'arbitrarietà? Ma in questa immagine si annida anche la fonte del pericolo. Infatti, se i cittadini credono veramente di essere disciplinati da regole eque ed imparziali, e che l'unica alternativa è la soggezione ad una regola personale (ad personam), saranno molto più propensi a sostenere lo Stato...proprio mentre questo limita gradualmente la loro libertà. Il mondo giuridico non è come il mondo reale e il tipo di ragionamento è distinto da quello che gli esseri umani normalmente adottano. Nel mondo reale, di solito, si cerca di risolvere i problemi formando ipotesi e poi cercando fatti che le confermino. Questo è un metodo efficace di ragionare sulle questioni scientifiche ed empiriche, perché il mondo fisico ha una struttura unica definita. E funziona perché le leggi della natura sono coerenti. Ma questo non è il caso del ragionamento giuridico, poiché il mondo giuridico comprende regole contraddittorie, per cui esisteranno argomenti capaci di confutare l'ipotesi, e il suo contrario. La giustizia non è un corpo di regole determinate che possono essere oggettivamente e impersonalmente applicate dai giudici: ciò che la legge prescrive è necessariamente determinato dalle predisposizioni normative di chi la interpreta. In breve, la legge è intrinsecamente politica.
|
|