Data: 03/12/2013 12:00:00 - Autore: Dott. Aldo Di Virgilio

Una sentenza del TAR Campania, Sezione I del 2007 consente di sviluppare alcune riflessioni sulle differenze e le affinità che riguardano gli strumenti giuridici legati alle strutture pubbliche ed a quelle private accreditate che operano per conto e a carico del SSN, riflessione tanto più interessante laddove si verta su un casolimite quale quello degli ospedali c.d. “classificati”.
Attraverso apposito ricorso l'ospedale classificato X, operante in regime di accreditamento provvisorio, riferiva che:
1) con delibera di Giunta regionale, la Regione Y, previo accordo con le organizzazioni sindacali e di categoria maggiormente rappresentative della sanità privata (AIOP), stabiliva i criteri direttivi del piano annuale delle prestazioni relativo agli anni…;
2) con varie delibere, la stessa Regione definiva i volumi di prestazioni per l'anno di riferimento e per singole aziende;
3) l'AUSL Z concordava con l'AIOP i criteri per regolare i volumi e le tipologie delle prestazioni in regime di ricovero ospedaliero per gli anni… da parte delle strutture private accreditate;
4) con successiva determina, l'AUSL Z, ritenuto di dover comunque procedere alla definizione dei tetti di spesa nonostante la mancata sottoscrizione di uno specifico accordo con la ricorrente, individuava il limite del fatturato contabilizzato per gli anni in oggetto dall'ospedale X, rinviando ogni determinazione in ordine al volume totale delle prestazioni ed ogni altro aspetto ad un tavolo tecnico con la ricorrente;
5) con la risoluzione di indirizzo del 16.02.2005, il Consiglio regionale impegnava l'esecutivo regionale alla soluzione delle problematiche afferenti gli ospedali religiosi classificati, coerentemente con lo “status” loro attribuito.
In relazione a tutto quanto sopra, l'ospedale X impugnava gli atti citati.

Sosteneva il ricorrente, in proposito, che tali ospedali, ai sensi dell'art. 1 legge n° 132/1968, rappresenterebbero una realtà organizzativa peculiare, essendo collocati tra le aziende e i presidi ospedalieri pubblici, aspetto questo che li distingue dalle case di cura private; lo prova l'assimilazione di tali ospedali nell'ambito del settore sanitario pubblico, così come sancito dall'art. 1, co. 18, e dall'art. 4, co. 12, del d. lgs n° 502 del 1992, per cui sarebbe esclusa l'assegnazione di un tetto di spesa inferiore a quello determinato per le aziende ospedaliere pubbliche.
L'ospedale X, gestito da un ente ecclesiastico civilmente riconosciuto e operante in regime di accreditamento provvisorio con il servizio sanitario nazionale, risultava classificato come ospedale generale di zona ai sensi dell'art. 1 della legge n° 132 del 1968, per il quale ultimo l'assistenza ospedaliera pubblica è svolta dagli enti ospedalieri (comma 1), ai quali tuttavia si affiancano gli istituti di ricovero e cura riconosciuti a carattere scientifico (comma 2), le cliniche e gli istituti universitari di ricovero e cura per quanto riguarda l'attività assistenziale (comma 3), le case di cura private e le fondazioni e associazioni che ottengono il riconoscimento come enti pubblici ospedalieri (commi 2 e 4), nonché gli enti e istituti di natura ecclesiastica civilmente riconosciuti che esercitano l'assistenza ospedaliera (commi 5 e 6).
Nel sistema della legge n° 132 del 1968, esordisce il collegio in risposta al ricorrente, la classificazione della struttura ospedaliera in una delle categorie sopra citate non conferisce formalmente natura pubblica a tali strutture, ma nondimeno consente, ferma restando la personalità giuridica di diritto privato, l'inserimento dell'ospedale nell'ambito della pianificazione regionale prevista dal titolo IV della legge (programmazione ospedaliera) al fine di coordinare ed armonizzare l'offerta di servizi ospedalieri sul territorio.
Il riferito quadro normativo è stato sostanzialmente confermato dall'art. 41 della legge n° 833 del 1978, che ha previsto la stipula di apposite convenzioni in conformità allo schema tipo approvato con il D.P.C.M. 18.07.1985. Ciò specifica il ruolo degli ospedali ecclesiastici classificati nell'ambito dell'assistenza ospedaliera pubblica, con particolare riferimento al regime delle ammissioni e dismissioni dei pazienti, agli obblighi nel caso di interruzione per qualsiasi causa dei servizi essenziali, alla disciplina degli organici e della struttura operativa.
Il d. lgs. n° 502 del 1992 contempla gli ospedali “classificati” all'art. 4, co. 12, confermandone la tipicità, ma nel contempo precisando che l'apporto delle suddette strutture al Servizio sanitario nazionale è disciplinato tramite le stesse caratteristiche previste per gli ospedali pubblici, ai quali i “classificati” vengono “equiparati” dall'art. 1, co. 18, dello stesso testo legislativo.
Il collegio, a questo punto, richiama quale snodo per proseguire il proprio percorso logico l'art. 8 quinquies, co. 2 del citato d. lgs. n° 502 del 1992 (“La regione e le unità sanitarie locali, anche attraverso valutazioni comparative della qualità e dei costi, definiscono accordi con le strutture pubbliche ed equiparate, e stipulano contratti con quelle private e con i professionisti accreditati, anche mediante intese con le loro organizzazioni rappresentative a livello regionale ... indicando, tra l'altro il volume massimo di prestazioni che le strutture presenti nell'ambito territoriale della medesima unità sanitaria locale, si impegnano ad assicurare, distinto per tipologie e per modalità di assistenza ... nonché il corrispettivo preventivato a fronte delle attività concordate, globalmente risultante dalla applicazione dei valori tariffari ...”), nel senso che risulta agevole osservare come il modello negoziale contemplato per gli operatori pubblici ed “equiparati” (accordo) risulta formalmente diverso da quello previsto per gli altri soggetti privati accreditati (contratto), ditalchè si ritiene necessario approfondire le ragioni, il significato e quindi le implicazioni di questa distinzione.
Come è noto, i presidi del servizio sanitario nazionale, siano essi pubblici che privati, vanno considerati in linea di principio su di un piano di parità, grazie ad un meccanismo di finanziamento del settore basato sul sistema di remunerazione a tariffa delle prestazioni sanitarie rese nei confronti dell'utenza, sia ove vengano direttamente erogate dalle aziende sanitarie e ospedaliere, sia nel caso in cui vengano da quelle acquistate, in base ad accordo o contratto, da ogni altra struttura accreditata.
Questo sistema risponde all'esigenza, per un verso, di garantire elementi di concorrenza come fattore di stimolo dell'economicità e dell'efficienza e, per altro verso, di salvaguardare il diritto dell'assistito di scegliere liberamente la struttura, pubblica o privata, alla quale rivolgersi.
Nondimeno, prosegue il TAR, la tutela della "libera scelta" da parte dell'utente (prevista dall'art.8 bis del d. lgs. n. 502) incontra un limite nelle risorse finanziarie disponibili, per cui l'amministrazione pubblica può fissare (come fissa) tetti di spesa spesso di livello inferiore rispetto alla capacità operativa massima di una determinata struttura, o dell'insieme delle strutture accreditate (art. 8 quater, co. 8, del ripetuto d.lgs.). Del resto anche il diritto fondamentale alla salute, pur garantito dall'art. 32 cost., non si sottrae, da consolidata giurisprudenza, al condizionamento derivante dalle insopprimibili esigenze di equilibrio finanziario e di razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica.
Lo dimostra il fatto che in presenza di una capacità produttiva superiore al fabbisogno, le regioni e le unità sanitarie locali, tramite gli strumenti negoziali di cui all'articolo 8 quinquies, devono porre a carico del servizio sanitario nazionale un volume di attività compatibile con gli indirizzi della programmazione nazionale. L'insieme delle prestazioni che il servizio sanitario regionale è chiamato a rendere (e per questo, teoricamente acquistabili dalle strutture, pubbliche o private), va suddiviso fra le une e le altre secondo criteri coerenti con i principi della libertà di scelta (art.8 bis, co. 1 e 2) e dell'efficace competizione fra le strutture accreditate (art. 8 quater, co. 3, lett. b).
Non per nulla l'art. 8 quater, co. 2, dello stesso d.lgs. stabilisce espressamente che "la qualità di soggetto accreditato non costituisce vincolo per le aziende e gli enti del servizio sanitario nazionale a corrispondere la remunerazione delle prestazioni erogate, al di fuori degli accordi contrattuali di cui all'art. 8 quinquies". Tale disposizione determina, in sostanza, una scissione tra accreditamento e remunerabilità delle prestazioni rese dal soggetto accreditato, essendo quest'ultima condizionata alla sottoscrizione dello strumento negoziale.
Inoltre, in un modello consensuale, è da escludere che una delle due parti contraenti possa imporre all'altra di prestare un assenso non voluto; e questo si applica anche nei confronti dell'amministrazione pubblica, che non può essere costretta ad impegnare somme superiori alle proprie disponibilità, per l'acquisto di prestazioni sanitarie in eccedenza rispetto al fabbisogno.
Esiste tuttavia un elemento che distingue l'operare delle strutture pubbliche da quelle private; i presidi sanitari pubblici, a differenza degli altri soggetti privati accreditati, hanno l'obbligo di rendere le prestazioni agli assistiti anche oltre il tetto preventivato, nei limiti ovviamente della loro capacità operativa determinata dall'assetto strutturale ed organizzativo. in definitiva, le strutture private, pur prestando un servizio pubblico del tutto analogo sotto ogni altro aspetto, sono vincolate ad erogare le prestazioni sanitarie richieste nell'ambito del servizio sanitario nazionale unicamente nei limiti stabiliti negozialmente (cfr. Cons. St., Sez. V, 30.04.2003, n° 2253).
La distinzione tra “accordo” e “contratto” nel citato art. 8 quinquies del d. lgs. n. 502 del 1992 è indice appunto di questa differenza, nel senso che la struttura pubblica non può sottrarsi al dovere, non negoziabile, di erogare il servizio pubblico a tutti gli utenti.
Orbene, essendo come già detto gli ospedali “classificati” espressamente “equiparati” ai presidi pubblici ai fini del thema decidendum, bisogna sottolineare che gli atti impugnati tendono ad imporre una proposta “contrattuale” essenzialmente basata sul presupposto di un protocollo di intesa elaborato per la sanità privata, rispetto al quale la ricorrente è estranea.
La difesa dell'AUSL resistente ha obiettato che l'ARIS, associazione di categoria di appartenenza della ricorrente, benché invitata a partecipare alle riunioni per la stipula dei protocolli di intesa (poi conclusi con la sola AIOP), sarebbe rimasta assente, per cui l'Azienda pubblica ha deciso di determinare criteri e limiti di spesa di contenimento dei volumi economici, e la definizione delle tipologie delle prestazioni di assistenza ospedaliera, al fine di non paralizzare il procedimento.
Per di più, la difesa AUSL aggiunse di aver concordato con l'AIOP esclusivamente il tetto di branca e non quello per singola struttura, cioé gli atti impugnati indicherebbero i fatturati come mero riferimento, senza costituire un tetto di spesa individuale, laddove l'obbligo imposto alla ricorrente consisterebbe piuttosto nel non superare il tetto di branca unitamente alle altre strutture provvisoriamente accreditate. Tuttavia, ciò cozza con la produzione in atti da parte della ricorrente di un accordo siglato tra il Consiglio Regionale e gli ospedali classificati in data 16.02.2005, che mette in luce la loro peculiarità.
E in effetti, ciò conferma che la mano pubblica ha seguito, sul piano sia procedimentale che sostanziale, un modello negoziale diverso dall'accordo, previsto dal citato art. 8 quinquies del d. lgs. n. 502, a tacere della tipicità propria della ricorrente, quale titolare di un ospedale “classificato”, in quanto tale assoggettata ad obblighi e vincoli derivanti dalla “equiparazione” (per l'attività di assistenza ospedaliera) alle strutture pubbliche, che derivano dalla legge e che prescindono dal consenso negoziale.
Sotto questo profilo, dunque, le censure dedotte si palesarono fondate, ed il ricorso fu accolto.

Una più recente sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, n° 6085 del 18.11.2011, tornando sull'argomento degli ospedali “classificati”, ha analizzato la materia sotto un diverso ma non meno interessante profilo.
Oggetto del contendere è, in parte qua, la delibera della Regione &, avente ad oggetto la ripartizione del fondo sanitario regionale anno… nei confronti dell'ambito ospedaliero e definizione del sistema di remunerazione delle prestazioni ivi contemplate e rese dagli erogatori pubblici e privati.
Contro tale provvedimento, e limitatamente alla problematica connessa alla ripartizione dei finanziamenti regionali fra le strutture sanitarie, pubbliche e private, operanti nel settore ospedaliero, la ricorrente insorgeva innanzi al TAR, il quale tuttavia respingeva il ricorso.
L'appellante, in particolare, sosteneva che gli ospedali classificati, quale era appunto quello appellante, risultano parificati a quelli pubblici con la conseguenza che entrambi debbono essere finanziati in egual misura, ma ciò non risultava, a loro parere, nella delibera impugnata, in quanto in favore degli ospedali pubblici sussisteva, in più, il ripianamento dei disavanzi, onde la conseguenza di una parificazione puramente fittizia.
Per l'appellante, la equiparazione tra strutture classificate e strutture pubbliche sarebbe stata, appunto, solo di facciata, in quanto la delibera impugnata contiene il ripianamento dei disavanzi delle seconde, andando in tal modo, sia pure per una via indiretta, a finanziare in misura maggiore queste ultime rispetto alle strutture classificate.
Ma la censura non coglieva il punto, sostiene il Consiglio, in quanto va rilevato che gli ospedali pubblici rappresentano la vera e propria struttura del servizio sanitario nazionale, e il vero e proprio intervento diretto del Servizio sanitario nazionale nei confronti della collettività, così come espressamente previsto dalla riforma del sistema attuata con la legge n° 833 del 1978, mentre tutte le altre strutture che in qualche modo partecipano allo stesso sistema sono, in misura maggiore o minore, complementari dello stesso sistema, per cui non può non ribadirsi come le strutture pubbliche, tenute comunque a rendere il servizio, debbono essere per quanto possibile messe in condizione di operare.
Esiste, peraltro, un diverso ed ancora più importante motivo che giustificherebbe l'intervento pubblico nel ripianamento dei disavanzi degli ospedali pubblici, e cioè che il suddetto ripianamento compete al soggetto che ha la proprietà degli stessi, per cui ove si fosse determinato, o si determinasse un deficit nei confronti di una struttura privata per quanto classificata, a questo dovrebbe porre rimedio la diversa proprietà privata alla quale compete, ai sensi della normativa generale, il prendere in considerazione la copertura delle eventuali perdite riscontrate.
Questo appello, conseguentemente, è stato respinto.
(Tratto dalla rivista bimestrale "Gazzettino Abruzzese", anno XXII Maggio/Giugno 2012 – numero 3)


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