Data: 16/01/2014 12:00:00 - Autore: Sabrina Caporale

Il danno biologico ed esistenziale � escluso proprio dalla volontariet� e non obbligatoriet� della prestazione resa; mentre, quanto al primo, esso va provato mediante allegazioni fattuali.

 Questo � quanto deciso dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 26398 del 26 novembre 2013.

La vicenda era stata sollevata da due dipendenti (nella specie, due autisti) dell'Azienda Mobilit� Trasporti SpA, i quali � ciascuno con proprio ricorso � lamentavano di aver  prestato la propria attivit� lavorativa anche nei giorni dedicati al riposo settimanale e, nonostante  il fatto che �il ciclo lavorativo delineato negli accordi collettivi aziendali prevedesse turni basati su cinque giorni di servizio ed un giorno di riposo�. Gli stessi lamentavano, altres�, la circostanza di aver prestato, ulteriormente, servizio per pi� di sei giorni consecutivi, a seguito dei riposi lavorati nel medesimo periodo.

Il tutto legittimava � a detta dei ricorrenti -  la richiesta di condanna della Azienda convenuta � propria datrice di lavoro -  al  risarcimento dei danni da loro patiti per i periodi di lavoro effettuati nei giorni di riposo, oltre al risarcimento del maggior danno derivante dalla perdita del riposo medesimo.

Ebbene, gi� il giudice del primo grado concludeva per il rigetto della domanda come appena enunciata, salvo prevedere per questi utlimi, il pagamento delle indennit� previste dall'art. 14 dell'Accordo Integrativo del 1997.

Allo stesso modo si esprimeva la Corte d'Appello di Genova. �In base alle acquisite risultanze probatorie era risultato che la prestazione di lavoro da parte degli autisti AMT nelle giornate destinate al riposo periodico era sempre stata basata su criteri di preventiva disponibilit� e di pieno consenso da parte dei conducenti, che rispondevano volontariamente ad un interpello sulla loro disponibilit� diramato dal controllore dell'autorimessa; pertanto, anche a ritenere la illegittimit� delle prestazioni espletate, le uniche conseguenze non potrebbero essere che quelle stabilite dall'art. 2126 c.c. e, cio�, la remunerazione del lavoro svolto e non gi� il risarcimento dei danni, che non potrebbero ascriversi a esclusiva responsabilit� aziendale; n� tanto meno poteva dirsi integrato un comportamento colposo del datore di lavoro sulla base dell'art. 2087 c.c., quello cio� che obbliga il datore di lavoro a tutelare l'integrit� fisica e la personalit� morale del lavoratore, poich� un tale obbligo di intervento avrebbe potuto configurarsi solo nel caso in cui le prestazioni (ritenendosi per l'id quod plerumque accidit che una sola prestazione o poche prestazioni non siano di per s� idonee a determinare danno alcuno, tanto pi� se la prestazione � richiesta dal lavoratore) fossero state in numero tale da imporgli il doveroso controllo richiesto dalla citata disposizione�.

A contrario, le prestazioni effettuate � aggiungevano i giudicanti �  ossia quelle riferite  � ai periodi consecutivi di lavoro superiori a sei giorni, dovevano considerarsi dei tutto sporadiche tenuto conto del numero di volte in riferimento all'anno e del numero complessivo delle prestazioni nei dieci anni�.  (�)

Nessuna responsabilit� contrattuale, dunque, pu� imputarsi all'azienda datrice di lavoro e  nessun danno pu� conseguentemente, essere risarcito. 

Ai due ricorrenti, spetta semmai il solo pagamento delle ore effettivamente lavorate, con la maggiorazione per il lavoro eseguito nei giorni festivi, secondo la contrattazione collettiva � cosa che, peraltro, l'Azienda di Mobilit� e Trasporti SpA aveva gi� a suo tempo provveduto a fare.

Cos� la Corte di Cassazione rigettava il ricorso con condannava dei ricorrenti alla refusione di tutte le spese di giudizio.


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