Data: 17/01/2014 10:00:00 - Autore: Dott. Federico Mauri
Dott. Federico Mauri - La normativa in
materia di rifiuti, come pi� in generale l'intera disciplina del diritto
dell'ambiente, � un ambito in continua evoluzione in quanto strettamente legato
all'evolversi delle problematiche ambientali e delle conseguenti soluzioni
tecnologiche e scientifiche.
Un aspetto di
non secondaria importanza riguarda la distinzione fra �rifiuto� e
�sottoprodotto� cos� come risultante dalla novella operata dal d. lgs. 205/2010
sul cd. Codice dell'Ambiente (D. lgs. 152/2006), principale fonte normativa in
materia di rifiuti.
Ai sensi
dell'art. 183 co. 1 lett. a) del Codice, si definisce rifiuto �qualsiasi
sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l'intenzione o abbia
l'obbligo di disfarsi�.
L'art. 184 bis co. 1 del medesimo Codice
individua invece le caratteristiche proprie del sottoprodotto: �a) la sostanza o l'oggetto � originato da un
processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo
primario non � la produzione di tale sostanza od oggetto; b) � certo che la
sostanza o l'oggetto sar� utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo
processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi; c)
la sostanza o l'oggetto pu� essere utilizzato direttamente senza alcun
ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale; d) l'ulteriore
utilizzo � legale, ossia la sostanza o l'oggetto soddisfa, per l'utilizzo
specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione
della salute e dell'ambiente e non porter� a impatti complessivi negativi
sull'ambiente o la salute umana�. Tutti i sopracitati requisiti devono
essere posseduti contestualmente.
Nonostante
queste precisazioni ad opera del legislatore, la distinzione fra queste due
definizioni � ancora piuttosto labile ed ambigua con riferimento ad alcune
sostanze di dubbia classificazione.
In una recente
sentenza il Consiglio di Stato (Sez. IV, n. 4151
del 6 agosto 2013) si � pronunciato su un ricorso ove, fra le varie
censure sollevate, ve n'era anche una relativa all'inquadramento giuridico
della fresatura d'asfalto, ossia al materiale derivante dalla rimozione
dell'asfalto che ricopre il fondo stradale.
Uno degli
appellanti, muovendo dalla classificazione del fresato d'asfalto come rifiuto
speciale (codice CER 17.0.002 - materiale di demolizione) e considerando che il
sottoprodotto � principalmente una
sostanza originata da un processo di produzione di cui costituisce parte
integrante pur non essendone lo scopo primario, ha ritenuto che il fresato
d'asfalto non fosse un prodotto originato da un processo produttivo bens� un materiale
di risulta ricavato dalla demolizione di fondi stradali e, conseguentemente, fosse
da qualificarsi come rifiuto speciale recuperabile e non riutilizzabile all'interno
di un processo produttivo.
Un interveniente
ha al contrario illustrato le fasi del ciclo di riutilizzazione dell'asfalto,
sostenendo che lo stesso non viene n� ritrasformato n� riciclato, e pu� dunque essere
recuperato in loco senza operazioni di stoccaggio e deposito. Ha altres� sostenuto
che, alla luce dell'art. 183 del Codice dell'ambiente, caratteristica del
rifiuto � che di esso il detentore intenda disfarsi, mentre del fresato
d'asfalto il detentore non si disfa, anzi le sue caratteristiche ne consentono
un immediato ed integrale reimpiego. Ha quindi concluso che, in conformit� a
quanto deciso dal Tar, il materiale in questione rivestisse tutte le
caratteristiche dei sottoprodotti.
I giudici di
Palazzo Spada hanno accolto questa seconda interpretazione e confermato la tesi
sostenuta dal Tar.
I giudici di
primo grado, pur avendo riconosciuto che il fresato d'asfalto viene disciplinato
come rifiuto dal D.M. 5.2.1998 e dal Catalogo Europeo dei Rifiuti (CER) allegato
alla direttiva 75/442/CEE, hanno per�
evidenziato che lo stesso pu� nondimeno essere trattato alla stregua di un
sottoprodotto qualora venga usato senza
ulteriori trattamenti in un impianto che ne preveda l'utilizzo nello stesso
ciclo di produzione senza operazioni di stoccaggio a tempo indefinito.
Tale ratio �
sostenuta dalla seguente motivazione giuridica.
Dato che la
definizione di sottoprodotto indicata dal Codice � successiva rispetto a quella
contenuta nella disciplina comunitaria, la pregressa giurisprudenza
amministrativa ha ritenuto la classificazione di rifiuto indicata dalla
direttiva sopra indicata come non vincolante per quelle sostanze che possono
essere ricomprese all'interno della definizione di sottoprodotto ex art. 184
bis del Codice giungendo, per alcune di esse gi� classificate come rifiuto, a
riqualificarle come sottoprodotto (ad es. la pollina, vedi Cons. St. Sez. IV,
28.2.2013, n. 1230).
Sono state
inoltre appurate le seguenti fasi inerenti il ciclo di vita della fresatura
d'asfalto: il reinserimento del bitume d'asfalto all'interno del processo
produttivo dell'impianto; il futuro riutilizzo integrale; l'assenza di un
processo di trasformazione; il riutilizzo in tempi ravvicinati
(quotidianamente) rispetto al prelievo, senza particolari operazioni di
stoccaggio; l'assenza di qualunque esigenza di smaltimento, essendo il prodotto
in questione sempre riutilizzabile e riutilizzato.
Pertanto, una
volta constatato che nel caso di specie la lavorazione della fresatura
d'asfalto � avvenuta nel rispetto di questa procedura, il Tar ha concluso che
il bitume d'asfalto ottenuto in seguito ai lavori di fresatura del manto
stradale fosse da considerarsi sottoprodotto e non rifiuto.
Il Consiglio di
Stato ha confermato la validit� di questa interpretazione, ritenendola in linea
non solo con la normativa interna, ma anche con la giurisprudenza nazionale (�essenziale ai fini della qualificazione
di una sostanza come sottoprodotto � la sussistenza contestuale di tutte le
condizioni richieste e l'assenza di trasformazione preliminare ai fini del
riutilizzo, oltre alla circostanza che il materiale sia destinato con certezza
e non come mera eventualit� ad un ulteriore utilizzo. Cass. Pen., Sez. III,
14.6.2012, n. 28609) e comunitaria (�
ammesso, alla luce degli obiettivi della direttiva 75/442, qualificare un bene,
un materiale o una materia prima derivante da un processo di fabbricazione o di
estrazione che non � principalmente destinato a produrlo non come rifiuto,
bens� come sottoprodotto di cui il detentore non desidera disfarsi ai sensi
dell'art. 1, lett. a) della Direttiva, a condizione che il suo riutilizzo sia
certo, senza trasformazione preliminare e nel corso del processo di produzione�
(C. G.C.E., sent. 11 settembre 2003, causa C114/01, Avesta Potarit Chrome) (�quando
oltre che riutilizzare la sostanza, il detentore consegue un vantaggio
economico nel farlo, la sostanza non pu� essere considerata un ingombro di cui
il detentore cerchi di disfarsi, bens� un autentico prodotto� (CGCE sent. 18
aprile 2002, causa C9/00 Palin Granit).
Di conseguenza,
il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso e disposto la compensazione delle
spese.
|