Data: 23/01/2014 10:00:00 - Autore: Sabrina Caporale

Quando le violenze sono episodiche ed occasionali non c'è reato di maltrattamenti in famiglia.

Questo è quanto deciso dalla Corte di Cassazione, sezione VI, sul ricorso proposto avverso l'ordinanza di misura cautelare di cui all'art.282, c.p.p., disposta dal Gip del Tribunale competente, nei confronti di un uomo indagato del reato di maltrattamenti in famiglia.

Già il Tribunale del riesame, alla luce dei fatti e delle testimonianze raccolte, confermava l'applicazione della misura cautelare de quo; con ciò ritenendo sussistenti in capo all' uomo presunto responsabile dei maltrattamenti in danno dei familiari, i gravi indizi di colpevolezza per il reato ascrittogli.

Nella specie, i fatti denunciati, si riferivano a tre episodi di violenza: due avvenuti nei confronti del figlio minore e l'ultimo ai danni della moglie.

Il primo aveva luogo nel 2010 e si concretava in un pugno violentemente sferrato dall'uomo al figlio, il quale riportava come conseguenza della aggressione un evidente ematoma.

Il secondo, più violento, avveniva soltanto nell'anno 2011 e si concretizzaava nelle forme di una “brutale aggressione” a seguito della quale – come poi, attestato dal referto medico e dalla testimonianza di una persona estranea al contesto familiare, la  vittima riportava tumefazione e sanguinamento del labbro, oltreché la mobilità di due denti e dolore alla mandibola.

Tra questi due episodi si collocava, infine, l'ultimo, quello cagionato ai danni della donna sua convivente, nonché coniuge.

Ebbene, la gravità dei fatti e delle circostanze portava il Tribunale del riesame di Roma, a confermare la misura cautelare adottata.

Ciò nonostante e contrariamente a quanto sin ora premesso, la Cassazione concludeva per l'accoglimento del ricorso e, per l'effetto, dichiarava l'annullamento della misura cautelare de quo.

Queste le argomentazioni.

Alla luce della ricostruzione dei momenti salienti della vicenda (…) “sembra di poter agevolmente desumere come i comportamenti provocatori e/o violenti ascritti all'indagato si riducano a tre nell'arco di un triennio, in un contesto familiare e coniugale in costante deterioramento per via sia dei rapporti di segno negativo tra padre e figlio, sia dell'allentamento del vincolo coniugale determinante l'instaurazione di due relazioni extraconiugali da parte della donna”.

“Così fissati i termini fattuali della vicenda e ferma restando la sussistenza di un sufficiente quadro di gravità indiziaria ad essi riferita, non sembra però possibile poterli complessivamente ricomprendere in un contesto unitario, normativamente connotato dalla figura di reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi delineata dall'art. 572 c.p”.

“Il reato de quo, richiede, infatti, per la sua configurazione, una serie abituale di condotte che possono estrinsecarsi in atti lesivo dell'integrità psico-fisica, dell'onore, del decoro o do mero disprezzo e prevaricazione del soggetto passivo, attuati anche in un arco temporale ampio, ma entro il quale possono agevolmente essere individuati come espressione di un costante atteggiamento dell'agente di maltrattare o denigrare il soggetto passivo.

Secondo la giurisprudenza elaborata da questa Sezione, invece, fatti occasionali ed episodici, pur penalmente rilevanti in relazione ad altre figure di reato (ingiurie, minacce, lesioni) determinati da situazioni contingenti (ad es. rapporti interpersonali connotati da permanente conflittualità) e come tali insuscettibili di essere inquadrati in una corince unitaria, non possono assurgere alla definizione normativa di cui all'art. 572 c.p. (Cass. pen., sez. VI, N. 37019 del 27/05/2003; sez. VI, n. 45037 del 2/12/2010)”.

Se deduce pertanto che i giudici del riesame hanno fatto cattiva applicazione dell'art. 572 c.p., “specie in un contesto familiare, caratterizzato dal progressivo indebolimento dei rapporti coniugali (denunziante e indagato essendo oggi separti per iniziativa del ricorrente) pur inframezzato da tentativi pi o meno concreti di riavvicinamento affettivo degli interessati”.

L'ordinanza impugnata deve essere, pertanto, annullata.


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