Data: 24/01/2014 11:30:00 - Autore: Avv. Francesco Giovanni Pagliari
La stampa ha dato di recente risalto alla possibilità riconosciuta ai supermercati in Grecia, al fine di contrastare la crisi economica, di vendere - a prezzi ribassati ed entro un periodo limitato - generi alimentari “scaduti”; possono essere venduti unicamente prodotti non deperibili che comunque devono essere sistemati su appositi scaffali e devono essere segnalati ai consumatori.
Permane invece anche in tale Paese il divieto di vendere cibi scaduti per esercizi commerciali di somministrazione, quali ristoranti e bar, che normalmente utilizzano alimenti deperibili. 
Ma qual è la situazione in Italia?
A questo proposito si deve anzitutto svolgere un breve excursus in ordine al “termine minimo di conservazione” ed alla “data di scadenza”: - Il “termine minimo di conservazione” consiste nella data fino alla quale, in adeguate condizioni di conservazione, il prodotto conserva le sue proprietà
Si tratta di una delle informazioni richieste dall'art. 9 del Regolamento (UE) n.1169/2011, che deve essere espressa con la formula “da consumarsi preferibilmente entro il” o “entro fine”, a seconda che, rispettivamente, venga indicato il giorno oppure un altro periodo. - La “data di scadenza” è, invece, la data entro la quale il prodotto deve essere consumato; viene espressa con la formula “da consumarsi entro”, alla quale fa seguito l'indicazione della data oppure, nell'etichetta, dove si trovi la data. Tale data consiste, nell'ordine, in: giorno, mese ed anno. L'art. 24 del Regolamento (UE) n. 1169/2011 ha precisato che la “data di scadenza” riguarda prodotti alimentari molto deperibili che, pertanto, comporterebbero, anche dopo un breve periodo, un pericolo immediato per la salute. Pertanto trascorsa la data di scadenza, l'alimento è considerato “a rischio” e – ai sensi dell'art. 14 del Regolamento (CE) n. 178/2002 - non può rimanere - oppure essere immesso - in commercio. La disciplina degli alimenti con termine minimo di conservazione ormai decorso, risulta invece più problematica. La Direttiva 2000/13/CE – che ha armonizzato sul territorio Europeo le norme che disciplinano l'etichettatura dei prodotti alimentari - nulla infatti ha disposto in proposito. La Corte di Giustizia Europea, nel caso Müller (Corte giustizia UE, sez. V, 13/03/2003, n. 229 - Müller c. Unahmbanginger Verwaltungssenat im Land – in Dir. comunitario e scambi internaz. 2003, 554) , ha tuttavia precisato che: (i) il prodotto alimentare con termine minimo di conservazione scaduto può essere legittimamente in commercio; (ii) la disciplina degli alimenti che versano in tale circostanza non rientra nell'intervento di armonizzazione operato dalla Direttiva 2000/13/CE, così che compete agli Stati membri decidere eventualmente - e comunque nel rispetto peraltro dei limiti imposti agli interventi non armonizzati dall'art. 18 della stessa Direttiva - come disciplinare gli alimenti con termine minimo di conservazione scaduto. In Italia, la vendita di un alimento dopo la scadenza del termine minimo di conservazione ha dato luogo, in passato, a differenti orientamenti giurisprudenziali. Secondo un primo orientamento giurisprudenziale - risalente alla normativa precedente al D.lgs. n. 109/92, ed ormai superato - l'immissione in vendita di alimenti oltre il termine minimo di conservazione (o la data di scadenza) integrerebbe il reato di cui all'art. 5, lett. b), l. n. 283/1962. A tale orientamento - che identificava lo stato in cui versa l'alimento, una volta spirato il termine minimo di conservazione o la data di scadenza, nello “stato di cattiva conservazione” di cui all'art. 5, lett. b), l. n. 283/1962 - si sono contrapposte le Sezioni Unite della Cassazione (Cass. Sez. Un. pen., 4 gennaio 1996, n. 790). L'orientamento previgente - che riconduceva la vendita di alimenti scaduti alla fattispecie di cui all'art. 5, lett. b), l. n. 283/1962 - cadeva nell'errore logico di assimilare una condizione estrinseca - la scadenza del termine minimo di conservazione o della data di scadenza - con una condizione intrinseca - il cattivo stato di conservazione. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, superando il precedente orientamento giurisprudenziale, hanno quindi negato l'equiparazione tra alimento “scaduto” e alimento “in cattivo stato di conservazione”, precisando che la stessa era basata sulla presunzione – del tutto errata - che gli alimenti si deteriorano automaticamente per il solo fatto del superamento del “termine di scadenza”. Alla luce della citata pronuncia, non vi è pertanto un divieto di vendere tali alimenti dopo la scadenza del “termine minimo di conservazione”, come, diversamente, è invece previsto per la “data di scadenza” dall'art. 10bis) d.lgs. n. 109/92. In tema si evidenzia altresì come si consideri invece illecito ammnistrativo la vendita del prodotto privo del termine minimo di conservazione o con data di scadenza spirata (Cass. pen., Sez. III, 14 maggio 2013, n. 26413 in Diritto & Giustizia 2013, 19 giugno 2013), ritenendo peraltro possibile l'emergere di un reato solo se tale prodotto presenti, in seguito ad analisi appropriate, vizi tali da nuocere alla salute del consumatore e costituisca altresì reato di tentativo di “frode in commercio” l'ipotesi in cui la data di scadenza o il termine di conservazione vengano alterati ed i detti prodotti vengano esposti per la vendita (Cass. pen., Sez. Unite, 21 dicembre 2000, n. 28 in Riv. pen. 2001, 158, in Dir. pen. e processo 2001, 227, in Foro it. 2001, II, 208, e in Giur. it. 2001, 1685; nello stesso senso, Cass. pen., Sez. III, 19 gennaio 2011, n.9276, in Cass. pen. 2012, 3, 1010). Uno specifico intervento del legislatore nazionale che regolamenti la commercializzazione di prodotti con termine minimo di conservazione decorso ma con data di scadenza non ancora spirata appare pertanto opportuno, anche in relazione alla situazione in essere ed all'esigenza di coniugare l'eventuale commercio/distribuzione di tali prodotti con il preminente bene della salute.
Avv. Francesco Giovanni Pagliari
Avv. Francesco Ferrara
Avv. Stefano Alessi
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