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Data: 13/02/2014 10:30:00 - Autore: Sabrina Caporale Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 20 novembre 2013 – 11 febbraio 2014, n. 6384. Il delitto di atti persecutori cosiddetto "stalking" (art. 612 bis codice penale) è un reato che prevede eventi alternativi, la realizzazione di ciascuno dei quali è idonea ad integrarlo; pertanto, ai fini della sua configurazione non è essenziale il mutamento delle abitudini di vita della persona offesa, essendo sufficiente che la condotta incriminata abbia indotto nella vittima uno stato di ansia e di timore per la propria incolumità (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 29872 del 19/05/2011 Cc. dep. 26/07/2011 Rv. 250399; Sez. 5, Sentenza n. 34015 del 22/06/2010 Cc. dep. 21/09/2010 Rv. 248412). Può, tuttavia, il contesto conflittuale originato dalla crisi della relazione di coppia tra due coniugi essere idonea a ridurre, o addirittura escludere la sussistenza dei “gravi indizi di colpevolezza” del reato in questione? Ebbene a dare una risposta è la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 6384 dell'11 febbraio 2014. Con ordinanza del 2 luglio 2013 il Tribunale di Brescia rigettava l'appello del Pubblico Ministero contro l'ordinanza del GIP del Tribunale di Bergamo che aveva respinto la richiesta di applicazione, nei confronti di uomo, indagato per il reato di stalking, della misura cautelare di cui all'art. 282 ter e quater del c.p.p. (divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla parte offesa). “Non sono evincibili – affermava la Corte territoriale - gli estremi del reato di stalking, in relazione al quale è stata richiesta la misura cautelare, mancando l'idoneità delle condotte a produrre il perdurante stato di ansia e timore voluto dalla norma incriminatrice di cui all'art. 612 bis”. Di diverso avviso, il Pubblico Ministero, il quale, al contrario, riteneva sussistenti“i gravi indizi di colpevolezza avendo, la parte offesa riferito di essere stata oggetto di numerose telefonate effettuate dal marito legalmente separato, di pedinamenti, di minacce, che le avevano creato un persistente stato di ansia e paura”. Di qui la pronuncia della Cassazione. “Il Tribunale di Brescia – affermano gli ermellini - ha ritenuto insussistenti gli elementi dì colpevolezza ("gravi indizi", secondo la previsione legislativa) del reato di stalking che richiede un perdurante stato di ansia o di paura e non già una mera ripetizione di condotte lesive. (…) osservando che il notevole flusso telefonico dall'uomo alla presunta vittima (sicuramente dal contenuto minaccioso) non era univocamente sintomatico di una condotta assillante tale da ingenerare il menzionato stato psichico, perché, come accertato dalla Polizia Giudiziaria, risultavano anche molte telefonate in uscita fatte dalla vittima al'indagato”. Il Tribunale, dunque pur riconoscendo un comportamento molesto perpetrato da quest'ultimo nei confronti della donna, ha tuttavia, “collegato i ripetuti tentativi di contattare la moglie anche con espressioni minacciose e ingiuriose in un contesto conflittuale tra ex coniugi e ha concluso per la sussistenza degli estremi dell'ingiuria, minaccia e molestia, per i quali non è ammessa la misura cautelare”. E' in tale contesto che, allora, si pone l'interrogativo anzi detto. La risposta della Cassazione. “Il contesto conflittuale originato dalla crisi della relazione di coppia tra i due coniugi, - dice la Corte - è un dato che non è assolutamente idoneo ad escludere o ridurre la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza del reato in questione, ma che anzi appare assai rilevante, tant'è che l'art. 612 bis, al secondo comma, prevede addirittura come aggravante l'esistenza di rapporti di coniugio o di pregressi rapporti affettivi tra le parti”. |
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