Data: 17/02/2014 14:00:00 - Autore: Sabrina Caporale

Corte di Cassazione, Sentenza 12 febbraio 2013, n. 3111.

“L'ufficio delle imposte procede alla rettifica delle dichiarazioni presentate dalle persone fisiche quando il reddito complessivo dichiarato risulta inferiore a quello effettivo o non sussistono o non spettano, in tutto o in parte, le deduzioni dal reddito o le detrazioni d'imposta indicate nella dichiarazione. (…) L'ufficio, indipendentemente dalle disposizioni recate dai commi precedenti e dall'articolo 39, può, in base ad elementi e circostanze di fatto certi, determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e circostanze quando il reddito complessivo netto accertabile si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato. A tal fine, con decreto del Ministro delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, sono stabilite le modalità in base alle quali l'ufficio può determinare induttivamente il reddito o il maggior reddito in relazione ad elementi indicativi di capacità contributiva individuati con lo stesso decreto quando il reddito dichiarato non risulta congruo rispetto ai predetti elementi per due o più periodi di imposta . (...)  Il contribuente ha facoltà di dimostrare, anche prima della notificazione dell'accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta. L'entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione. (…)” [art. 38 d.P.R. 600/1973].

«In tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l'ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la prova documentale contraria ammessa per il contribuente dall'art. 38, sesto comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 non riguarda la sola disponibilità di redditi ovvero di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, ma anche l'essere stata la spesa per incrementi patrimoniali sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, e non già con qualsiasi altro reddito (dichiarato)» (Cass. 6813/2009).

Ebbene, questo è quanto pronunciato dalla Suprema Corte di Cassazione con la recente sentenza emessa in data 11 febbraio 2014, n. 3111.

Il fatto in breve.

Con sentenza del 6 dicembre 2004 la Commissione Tributaria Provinciale di Matera accoglieva il ricorso proposto da un contribuente avverso un avviso di accertamento con il quale “l'Agenzia delle Entrate del capoluogo lucano, per l'anno 1997, aveva determinato sinteticamente –ai sensi dell' art. 38 dpr 600/73 - un reddito tassabile - ai fini IRPEF ed ILOR – di gran lunga più elevato rispetto a quello denunciato; e “siffatto accertamento si fondava su indici sintomatici della capacita contributiva costituiti dal possesso dell'abitazione principale, di 5 abitazioni secondarie e di un'autovettura (…) nonché dall'incremento patrimoniale derivante dal finanziamento,(…) , effettuato dal contribuente nell'anno 1997, nei confronti di una società partecipata (…)"

Ebbene, avverso la predetta sentenza, proponeva formale appello dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale di Potenza, l'Ufficio esattore.

Codesta commissione tributaria, tuttavia, rigettava il ricorso, rilevando che “a fronte di un accertamento sintetico fondato su presunzioni semplici, la parte aveva fornito idonea prova della disponibilità di somme derivanti da disinvestimenti e , quindi, della disponibilità di redditi esenti; nello specifico, aveva provato - con documenti inoppugnabili- di avere, nel periodo immediatamente precedente, alienato un fabbricato (…) e disinvestito titoli di Stato(…) ; tale liquidità, secondo la CTR, era idonea ad effettuare versamenti in conto capitale nella società partecipata di cui sopra; spettava, dunque, all'Ufficio ricorrente, dimostrare che quei redditi erano stati investiti in maniera diversa dal finanziamento della società”.

Si giungeva, pertanto, dinanzi ala Suprema Corte romana, la quale anch'essa rigettava il ricorso perché infondato e affermava il principio secondo il quale,  "in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l'Ufficio delle imposte, determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, al contribuente basta dimostrare la disponibilità di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta".


Tutte le notizie