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Data: 17/02/2014 08:00:00 - Autore: Avv. Barbara Pirelli Avv. Barbara Pirelli del Foro di Taranto E-mail: barbara.pirelli@gmail.com Spesso quando tra una coppia si insinua una crisi la prima cosa a cui si pensa e' che l'altro abbia un amante. Così ci si improvvisa detective cercando di spiare tutti i movimenti dell'altro, cercando di leggere i messaggi sul telefono, controllando il numero di chiamate in entrata o in uscita oppure leggendo corrispondenza come le email. Ma tutto questo indagare e' assolutamente vietato perché costituisce violazione della privacy dell'altro coniuge. Anche intercettare con delle microspie o registrare delle conversazioni all'interno del domicilio costituisce un illecito, quindi, e' una cosa che non può trovare giustificazione alcuna. Il coniuge che abbia dei sospetti sulla fedeltà dell'altro può rivolgersi ad un investigatore privato ma lo stesso comunque deve attenersi a delle regole ben precise. E' illegale, infatti, effettuare delle riprese in ambienti interni anche se il proprietario dell'immobile ha prestato il consenso per piazzare le telecamere; questo e' quanto ha stabilito la Corte di Cassazione qualche tempo fa con la sentenza n. 9235 dell' 08.03.2012. Il caso di cui si è occupato la Corte vede come protagonista un investigatore privato che in primo e secondo grado era stato condannato per aver ripreso e registrato gli incontri amorosi di una signora nella casa dell'amante. La cosa più assurda era stata che l'amante( cioè il proprietario di casa ) aveva dato il consenso all'investigatore di installare le telecamere e di filmare le scene anche a scopo di produzione in giudizio cioè consegnando al marito queste prove per finalità processuali. L'investigatore, nei precedenti gradi di giudizio, era stato condannato per interferenze illecite nella vita privata e per violazione di domicilio. Ritenendo ingiuste le precedenti condanne il detective ricorreva in Cassazione sostenendo che le precedenti condanne erano viziate perchè avevano considerato "privata dimora" la casa altrui ovvero la casa dell'amante. Secondo la tesi difensiva il consenso dell'amante (proprietario di casa)aveva abbattuto l'ipotesi della violazione di domicilio, facendo così venir meno il presupposto penale della «volontà tacita o espressa di escludere gli estranei» così come prescritto dall'articolo 614 del codice penale. I giudici della Suprema Corte, invece, argomentando diversamente hanno condannato l'investigatore ai sensi dell'articolo 615-bis del Codice penale (interferenze illecite nella vita privata) e dell'articolo 614 (violazione di domicilio). Secondo le argomentazioni della Corte chi frequenta "un luogo di privata dimora anche se si tratta della dimora altrui fa affidamento, appunto, sul carattere di "privatezza" dello stesso e, dunque, agisce sul presupposto che la condotta che egli tiene in quel luogo sarà percepita solo da coloro che in esso siano stati lecitamente ammessi». Nel caso di specie, l'unico legittimato a «percepire la condotta» era appunto solo l'amante ; la presenza dell'investigatore,invece, non era stata nè acconsentita nè tanto meno avvertita dalla signora vittima della violazione.
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