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Data: 19/02/2014 08:00:00 - Autore: Avv. Barbara Pirelli Avv. Barbara Pirelli del Foro di Taranto E-mail: barbara.pirelli@gmail.com Quando in una coppia tira aria di crisi l'abitazione familiare più che un accogliente rifugio può diventare una prigione soffocante e la prima idea che può saltare in mente e' quella di allontanarsi o, magari, di fare in modo che sia l'altro a non tornare più. Nel primo caso di rischiano conseguenze anche penali e civili: il reato di abbandono del tetto coniugale non esiste più come reato autonomo ma la condotta dell'allontanamento dal domicilio domestico potrebbe integrare il reato di cui all'art. 570 del codice penale rubricato come "violazione degli obblighi di assistenza familiare); sotto il profilo civilistico si rischia poi l'addebito della separazione se l'allontanamento non è giustificato da validi motivi. Sta di fatto che impedire all'altro coniuge di rientrare nell'abitazione cambiando la serratura può integrare gli estremi del reato di "esercizio arbitrario delle proprie ragioni" così come previsto dall'art. 392 c.p. La vicenda finita sotto la lente di ingrandimento della Corte vede come protagonista un marito che in primo grado e poi in appello era stato riconosciuto colpevole del reato di cui all'art. 392 c.p., per aver sostituito la serratura della porta di ingresso della casa familiare impedendo l'accesso alla moglie. L'uomo avverso la decisione della Corte territoriale proponeva ricorso in Cassazione ma la Suprema Corte ,con la sentenza n. 4137 del .29/01/2014 ,rigettava il ricorso confermando la decisione dei giudici di secondo grado. L'uomo in sua difesa aveva sostenuto che il cambio della serratura era stato determinato dal malfunzionamento della stessa e che la moglie si era allontanata spontaneamente dall'abitazione comunicandogli l'intenzione di separarsi. Secondo la Cassazione la Corte d'Appello aveva correttamente ravvisato l'applicabilità al caso di specie del reato di cui all'art. 392 c.p. perché sostituendo la serratura della casa familiare, della quale era comproprietaria la moglie dell'imputato, aveva impedito volontariamente l'ingresso della donna. Inoltre, l'accesso alla moglie era stato negato anche dopo l'intervento delle forze dell'ordine chiamate dalla stessa donna. In merito alla lite esistente sull'abitazione in comproprietà dalla ricostruzione dei fatti era emerso che la donna ben tre mesi prima, cioè quando aveva comunicato l'intenzione di separarsi, aveva chiesto al marito di lasciarle l'uso della casa coniugale, ma l'uomo aveva ignorato la richiesta costringendola ad abitare a casa dei propri genitori. Per tutti questi motivi, gli Ermellini dichiaravano inammissibile il ricorso e condannavano il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende. In buona sostanza, nel caso di crisi coniugale conviene sempre tenere a freno la propria impulsività evitando ad esempio di cambiare la serratura per impedire il rientro del coniuge nell'abitazione; in casi simili, più che un dispetto si commette un vero e proprio reato.
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