Data: 25/02/2014 12:30:00 - Autore: Sabrina Caporale

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza 16 gennaio – 20 febbraio 2014, n. 4026.

La legge 24 dicembre 2007, n. 247, avente ad oggetto “Norme di attuazione del protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l'equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale”, pubblicata sulla G.U. n. 301 del 29.12.2007, all'articolo 1, comma 35, in sostituzione dell'articolo 13 della legge 30 marzo 1971, n. 118, prevede la possibilità per gli invalidi civili di età compresa tra il 18° e il 64° anno, nei cui confronti sia accertata una riduzione della capacità lavorativa in misura pari o superiore al 74 per cento, che non svolgono attività lavorativa e per la durata di tale condizione, di ottenere un assegno mensile, a carico dello Stato ed erogato dall'INPS, per tredici mensilità.

Tale assegno non è più subordinato alla iscrizione nelle liste di collocamento, ma l'interessato deve produrre all'Inps, annualmente, una dichiarazione sostitutiva, ai sensi dell'art. 46 e segg.del T.U. di cui al D.P.R. 28 dicembre 2000, n.445, che attesti di prestare o non prestare attività lavorativa.

La nuova disciplina, in altre parole, ha sostituito la vecchia dicitura prevista nel previgente art. 13 della legge n. 118 del 1971, di “incollocati” con la nuova e più ampia espressione “che non svolgono attività lavorativa”, di cui occorre, peraltro, fornire una diversa dimostrazione.

Sul punto, precisa la Cassazione che, «in tema di invalidità civile, la prova del requisito del mancato svolgimento di attività lavorativa previsto per beneficiare dell'assegno di invalidità di cui all'art. 13, legge 21 aprile 1971, n. 118, come novellato dall'art. 1, comma 35, legge 24 dicembre 2007, n. 247, non può essere fornita in giudizio mediante mera dichiarazione dell'interessato, anche se rilasciata con formalità previste dalla legge per le autocertificazioni, che può assumere rilievo solo nei rapporti amministrativi ed è, invece, priva di efficacia probatoria in sede giurisdizionale - cfr., in tal senso, Cass. 20 dicembre 2010, n. 25800; id., 12 novembre 2012 n. 19651; 4 giugno 2013, n. 14121 -. Si è, in particolare, ritenuta tale impostazione valida anche ai fini dell'applicazione del nuovo testo della legge n. 118 del 1971, art. 13, in quanto la previsione da parte di detta disposizione (secondo cui l'assegno di invalidità civile è concesso, nel concorso degli altri requisiti, agli invalidi civili... che non svolgono attività lavorativa e per il tempo in cui tale condizione sussiste) di una dichiarazione sostitutiva di tipo autocertificatorio da rendere annualmente all'I.N.P.S., circa il mancato svolgimento di attività lavorativa, non evidenzia una deroga circa la rilevanza di dichiarazioni di tale genere solo nell'ambito amministrativo, restando impregiudicati i principi sulla prova operanti nei giudizi civili, nei quali, peraltro, in difetto di specifici limiti normativi, è ammessa anche la prova per presunzioni».

Il tutto è, altresì', confermato alla luce del principio parzialmente diverso stabilito da questa Corte con la sentenza n. 22113/2009, secondo cui «ai fini del riconoscimento dell'assegno di invalidità civile, le donne invalide ultrasessantenni ed infrasessantacinquenni, che non hanno più diritto ad essere iscritte nelle liste speciali di collocamento per aver raggiunto l'età pensionabile, possono dimostrare il requisito dell'incollocamento al lavoro, richiesto per l'erogazione delle relative prestazioni, provando, con gli ordinari mezzi di prova, ivi comprese le presunzioni, lo stato di effettiva disoccupazione o di non occupazione" (…)».

Nei giudizi civili, dunque, nessuna efficacia probatoria può essere riconosciuta alle mere dichiarazioni di tipo autocertificatorio.


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