Data: 28/02/2014 15:40:00 - Autore: Pino Cupito
Pino Cupito
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Il fenomeno della separazione patrimoniale ha da sempre suscitato grande interesse dottrinario e giurisprudenziale soprattutto in ragione dei potenziali abusi che l'effetto segregativo della ricchezza personale produce, in via diretta ed indiretta, sulla regolare esecuzione dei rapporti obbligatori.

In tale ottica, l'esigenza di protezione dei beni familiari ed il perseguimento di un gradito scopo vincolistico rappresentano attualmente la ragione unica del diffuso ricorso all'istituto del fondo patrimoniale.

Quest'ultimo, disciplinato dall'art. 167 c.c., consiste nella destinazione di determinati beni  immobili, mobili iscritti in pubblici registri o titoli di credito, all'esclusivo soddisfacimento dei bisogni della famiglia.   

Rinviando ad altra sede lo studio sulle modalità attuative del fondo patrimoniale, si può sinteticamente accennare come il relativo negozio istitutivo possa essere stipulato nella forma di atto inter vivos e sotto forma di disposizione testamentaria.

Circa invece la natura giuridica di tale negozio la dottrina e la giurisprudenza della Suprema Corte sono da tempo orientati nel riconoscervi un atto a titolo gratuito. Tale negozio è da ricondursi nell'ambito delle convenzioni matrimoniali e come tale soggetto alle disposizioni dell'art. 162 c.c., ivi inclusa quella contenuta nel comma 4 della medesima norma, che ne condiziona l'opponibilità ai terzi all'annotazione a margine dell'atto di matrimonio nei registri dello stato civile.

In ragione della sua “nobile” finalità, il legislatore nella determinazione della disciplina del fondo patrimoniale ha ritenuto di tutelare tale vincolo dall'attacco indiscriminato dei creditori mediante una sorta di inespropriabilità relativa.

Tuttavia, malgrado l'intento legislativo descritto, non può certamente negarsi che la costituzione di un fondo patrimoniale rappresenti una potenziale minaccia per le ragioni del ceto creditorio, ove si consideri che l'assoggettamento di beni al vincolo in esame, da un lato, renderebbe questi ultimi non facilmente aggredibili, dall'altro, ridurrebbe corrispondentemente la garanzia generica ex art. 2740 c.c. sui beni del debitore.

Ai sensi dell'art. 170 c.c., infatti, possono essere oggetto di esecuzione forzata non solo i frutti ma anche i beni che costituiscono il fondo patrimoniale, purché i crediti siano sorti per far fronte ai bisogni della famiglia o i creditori ignorassero che le obbligazioni fossero nate per motivi estranei al soddisfacimento di tali bisogni.

Potrebbe infatti accadere che i creditori personali dei coniugi aggrediscano beni in proprietà degli stessi nonostante siano sottoposti al predetto vincolo: si rende allora necessario verificare se la causa del credito vantato sia più o meno ancorata alla soddisfazione di un interesse familiare. In caso contrario una eventuale azione esecutiva intrapresa potrebbe anche paralizzarsi. In altri termini, il creditore impatterà contro il fondo patrimoniale solo ove ricorra una duplice circostanza: una oggettiva, connessa alla causa del credito, ed una soggettiva, riferita alla conoscenza che egli abbia degli scopi extra-familiari perseguiti dal coniuge-debitore.

Da un punto di vista squisitamente processuale, preme poi evidenziare che è pacificamente condivisa in dottrina e in giurisprudenza la considerazione che l'onere della prova, in ordine all'effettiva conoscenza da parte del creditore dell'estraneità dell'obbligazione ai bisogni familiari, incomba sul coniuge che proponga l'opposizione all'esecuzione e la relativa prova non verterà su un semplice stato di ignoranza ma sulla vera conoscenza del terzo.

Si discute poi se sui creditori gravi un onere di preventiva escussione del fondo patrimoniale ovvero se possano dare impulso all'esecuzione forzata indistintamente sui beni vincolati e/o personali dei coniugi. Ebbene nonostante qualche autore sostenga l'esistenza di un beneficium exscussionis in favore dei coniugi, pare prevalere oggi la tesi negativa.

Sotto altro profilo e prescindendo dall'effettiva esistenza dei presupposti di un'esecuzione forzata, i creditori potenzialmente lesi dalla costituzione di un fondo patrimoniale possono tutelare le proprie ragioni anche mediante il ricorso allo strumento dell'azione revocatoria ordinaria, disciplinata dagli artt. 2901 e seguenti c.c.

Concordemente infatti la Cassazione, nel qualificare il fondo patrimoniale come atto a titolo gratuito, ha recentemente confermato la sua assoggettabilità al prefato rimedio giurisdizionale entro cinque anni dalla costituzione del vincolo.

Al riguardo occorre comunque chiarire che l'effetto derivante dall'accoglimento dell'azione revocatoria non si concretizza nell'invalidazione dell'atto costitutivo del fondo, bensì in una inefficacia relativa riferibile unicamente al solo creditore procedente. Consequenzialmente, pur non ritornando il bene conferito in fondo nel patrimonio del debitore, sorgerà per il creditore che abbia vittoriosamente agito in revocatoria, la possibilità di esercitare l'azione esecutiva sul bene assoggettato al vincolo.

Ciò detto, al di là delle condizioni necessarie per l'esercizio dell'azione ex art. 2901 c.c., sarà sufficiente, ai fini dell'accoglimento della domanda attorea, la dimostrazione in ordine alla conoscenza da parte del coniuge-debitore del pregiudizio potenzialmente arrecato mediante la costituzione del vincolo di destinazione.

Quanto invece ai presupposti di procedibilità di un'actio pauliana avverso la costituzione di fondo patrimoniale, si è giustamente affermato in giurisprudenza che è sufficiente l'esistenza del credito e non anche la sua esigibilità o il suo preventivo accertamento giudiziale. In tale prospettiva infatti la Cassazione ha avuto modo di chiarire che è revocabile ex art. 2901 n. 1 c.c. l'atto costitutivo di un fondo patrimoniale stipulato da un coniuge poco prima del rilascio di una garanzia fideiussoria a favore di una società di cui era socio.

Pertanto, ai fini dell'accoglimento dell'azione revocatoria, non sarà necessario che la costituzione del fondo abbia impedito del tutto il soddisfacimento del credito, ma sarà sufficiente dimostrare che esso abbia purtroppo reso incapiente il patrimonio residuo del coniuge-debitore.

Sul punto, infatti, la giurisprudenza ha sancito che il pregiudizio per i creditori possa ravvisarsi anche nella destinazione al fondo di gran parte del patrimonio del debitore o finanche nella sproporzione tra i beni sottoposti a vincolo ed il patrimonio residuo del conferente.

Merita infine attenzione la circostanza per la quale ai sensi dell'art. 171 c.c. in presenza di figli minori la convenzione dura fino al compimento della maggiore età dell'ultimo dei figli ancorché si sia verificata una delle cause di estinzione del fondo.

Esigenze di prudenza imporranno dunque al creditore procedente di non arrestarsi dinanzi alla sola cessazione degli effetti civili del matrimonio quale causa di estinzione del fondo patrimoniale, ma di procede ad un'attenta analisi volta all'accertamento dell'esistenza di figli minori.

Pino Cupito


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