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Data: 01/03/2014 10:30:00 - Autore: Avv. Maria Manuela Leuzzi Avv. Maria Manuela Leuzzi Nella fattispecie sottoposta al vaglio della Suprema Corte di Cassazione, in composizione penale, il thema decidendum verteva sulla responsabilità di un aiuto primario al quale veniva contestato il reato di cui agli artt. 113 e 590 c.p. per aver partecipato a due interventi chirurgici su un paziente affetto da appendice acuta con successiva emorragia post-operatoria. Nello specifico, il primo intervento eseguito dal primario aveva leso la milza, ragione per la quale il secondo intervento, praticato sempre nella stessa giornata, era consistito nell'asportazione della stessa con susseguente laparocele al paziente. Nel primo grado del giudizio, il Tribunale assolveva l'aiuto per non aver commesso il fatto ritenendo, contra, colpevole solo il primario. In secondo grado, la Corte d'appello Roma dichiarava non doversi procedere nei confronti di tutti gli imputati posto che il reato loro ascritto era estinto per intervenuta prescrizione. Il caso finiva dinanzi alla Quarta Sezione Penale della Cassazione che annullava la sentenza con rinvio. In particolare, la Corte territoriale - richiamando un orientamento giurisprudenziale sul punto - aveva ritenuto estinto il reato per intervenuta prescrizione con conseguente inapplicabilità nei confronti dell'imputato dell'art.129 co.2 c.p.p. atteso che sullo stesso, nella qualità di aiuto, incombeva il dovere di manifestare il proprio dissenso alla conduzione dell'intervento chirurgico da parte del primario, facendolo, pertanto, rilevare, sul diario clinico del paziente ( Cfr. Cass. Pen., sez. IV, 5 ottobre 2000 n.13212). In buona sostanza, ciò che la Corte d'Appello di Roma evidenzia in sentenza - rifacendosi al dictum dei Giudici di legittimità – è la pari responsabilità dei componenti di una equipe medica che condividono le stesse scelte terapeutiche. Ed infatti - sempre secondo quanto statuito dalla Corte territoriale - tali soggetti sono esenti da responsabilità solo ove provvedano a segnalare al primario l'inidoneità o la rischiosità delle scelte suddette. Diverso, l'iter logico-argomentativo seguito dalla Suprema Corte di Cassazione la quale accoglieva il ricorso proposto dall'aiuto primario atteso che le motivazioni poste alla base della sentenza della Corte d'Appello di Roma risultavano apparenti e, soprattutto, si limitavano ad affermare apoditticamente la responsabilità dell'imputato, senza tenere conto del caso concreto. Più precisamente, nella fattispecie de qua, non si trattava di “scelte terapeutiche” bensì di un intervento chirurgico; di conseguenza, illogico era il riferimento al “diario clinico”, ossia ad un documento nel quale vengono annotate le terapie e le conseguenze delle stesse sul paziente. Inoltre, nel caso in esame, il “protagonista” ed unico responsabile dell'intervento chirurgico era il primario il quale aveva eseguito personalmente e manualmente l'attività chirurgica e, pertanto, i suoi assistenti non potevano né avrebbero potuto interferire in alcun modo sul suo operato. Di conseguenza, secondo gli Ermellini, si sarebbe potuta configurare una responsabilità dell'imputato solo ove lo stesso non avesse svolto le proprie mansioni con la dovuta diligenza e perizia ( In tal senso: Cass. Pen. Sez.IV, 9 aprile 2009 n.19755; Cass.Pen.Sez.IV, 26 ottobre 2011 n.46824; Cass.Pen. Sez.IV , 11 ottobre 2007 n.41317). A ciò, contra, non fa riferimento alcuno la Corte d'Appello di Roma che fa, invece, discendere la responsabilità dell'imputato dalla mera presenza dello stesso durante le operazioni chirurgiche (Cass.pen.5684/2014). |
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