Data: 11/03/2014 14:00:00 - Autore: Maurizio Città

Mediazione delegata e continenza ex art.39, comma 2, c.p.c.: brevi note a margine dell'ordinanza del Tribunale di Verona del 27 gennaio 2014 - di Maurizio Città, avvocato del Foro di Termini Imerese (maurizio-citta@libero.it)

1. Con la predetta ordinanza, il Tribunale di Verona, investito di una eccezione di continenza ex art.39, comma 2, c.p.c., tra la causa pendente avanti a sé ed altra causa pendente avanti al Tribunale di Reggio Emilia (preventivamente adito), prima di provvedere sull'eccezione di continenza ha ritenuto di disporre ai sensi dell'art.5, comma 2, del d.lgs. n.28/2010, come modificato dall'art.84, comma 1 del d.l. n.69/2013, conv. con modif. in l.n.98/2013.

2. Ritenuto di muoversi su questa direttrice, il Tribunale di Verona si è posto il problema di "prevenire possibili dubbi o contestazioni delle parti, connessi alle posizioni che hanno assunto" e ha ritenuto opportuno "indicare l'organismo di mediazione territorialmente competente al quale" le parti "potranno rivolgersi".

3. Sul punto, il Tribunale di Verona è pervenuto alla conclusione che l'ODM territorialmente competente vada individuato in un ODM sito nel circondario del Tribunale di Verona, e dunque, in definitiva, del Tribunale procedente (sia pure per considerazioni diverse da quelle sostenute dalla dottrina secondo cui sussisterebbe sempre la competenza, per attrazione, di un ODM sito nel circondario del giudice procedente, alla stregua di quanto previsto per il giudizio cautelare rispetto a quello di merito).

4. L'ordinanza in esame offre, per un verso, lo spunto per ritornare a riflettere sulle problematiche connesse all'applicazione dell'art.4 del d.lgs. n.28/2010 in ordine alla competenza territoriale dell'ODM, già trattate dal sottoscritto in un altro articolo pubblicato in questo quotidiano giuridico (Mediatore civile e controllo "omologatorio" propedeutico: è dovuto anche sulla competenza dell'ODM?), e, per altro verso, offre, al contempo, l'occasione per sviluppare spunti di riflessione in ordine ad altri aspetti di non secondaria importanza, attinenti all'istituto della mediazione delegata ex art.5, comma 2, del d.lgs.n.28/2010.

5. La posizione assunta dal Tribunale di Verona con l'ordinanza in esame riveste particolare interesse in quanto consente di chiarire che nel caso di mediazione delegata ex art.5, comma 2, del d.lgs. n.28/2010, trattandosi non di un mero invito (che le parti possono disattendere senza conseguenze), ma della "imposizione" di una condizione di procedibilità, è del tutto evidente, ed imprescindibile, la necessità che, già al momento in cui viene disposta la mediazione ex officio, deve risultare incotrovertibilmente radicata la competenza a potere "procedere" in capo al giudice che dispone la mediazione ex officio.

6. Per altro verso, ne discende, inevitabilmente, che se, ai sensi dell'art.4 del d.lgs. n.28/2010, anche nel caso di mediazione delegata, l'ODM da adire deve essere scelto tra quelli che hanno sede nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia, ciò presuppone che il giudice che dispone la mediazione ex officio deve essere, incontrovertibilmente, il giudice cui "compete" poter procedere, il che richiede che detto giudice sia anche territorialmente competente.

7. Sotto questo profilo può escludersi, infatti, che vi sia conflitto tra questa conclusione, e la posizione espressa dal Tribunale di Milano, sezione IX civile, con l'ordinanza del 29 ottobre 2013.

8. Ed invero, il fatto che il Tribunale di Milano non esclude che le parti, di comune accordo, possano rivolgersi, purché congiuntamente, anche ad un ODM territorialmente fuori dal circondario del giudice procedente, lascia tuttavia ferma ed inderogabile "la regola" secondo cui nel caso di proposizione unilaterale della domanda di mediazione l'ODM adito deve essere territorialmente competente, e più precisamente un ODM sito nel circondario del giudice procedente, pena l'inidoneità della domanda di mediazione a produrre gli effetti di legge.

9. Siffatta conclusione trova riscontro, in definitiva, anche nella posizione del Tribunale di Verona, il quale, sebbene non faccia propria la regola di una attrazione in via generale alla competenza del giudice avanti al quale pende la causa, e che dispone la mediazione, non può fare a meno di confermare un (necessario) collegamento tra la scelta dell'ODM e la competenza territoriale del giudice procedente, che la mediazione ex officio ha disposto.

10. Tutto ciò, ovviamente, presuppone il rispetto della "regola" che, quando il giudice procedente dispone la mediazione ex officio, la "competenza" a potere procedere sia già incontestabilmente radicata in capo allo stesso giudice procedente.

11. Posto questo primo punto fermo non ci si può sottrarre dallo svolgere due considerazioni.

12. La prima considerazione riguarda il fatto che l'esperimento della mediazione disposta ex officio dal giudice "X" nel corso del giudizio "X" si configura come condizione di procedibilità solo di quel giudizio "X", in relazione all'oggetto dello stesso; il che implica che nel caso in cui nel giudizio "X" sia stata sollevata questione di continenza ex art.39, comma 2, c.p.c., dovrebbe essere necessario che la "competenza" a potere procedere, e perciò ad imporre la condizione di procedibilità, si sia radicata in capo al giudice "X", e ciò sopratutto quando il giudice "X" è il giudice successivamente adito.

13. In altri termini, dovrà essere certo che l'esperimento della mediazione delegata, e la soddisfazione della condizione per la procedibilità avanti al giudice "X", in relazione all'oggetto del giudizio avanti al giudice "X", non si riveli inutile, come sarebbe nell'ipotesi in cui il giudice "X", una volta risolta (ma solo ex post) la questione della continenza di cause (a tutela dell'interesse ad evitare giudicati contraddittori e dell'economia processuale), e dunque le attinenti questioni di competenza, non risulti il giudice, tra i due in predicato "X" e "Y", al quale compete "potere procedere" alla definizione della controversia nel suo complesso (sia nel caso di continenza "quantitativa", sia nel caso di continenza "qualitativa").

14. Può essere utile richiamare, a tal riguardo (in considerazione della persistente sua attualità anche dopo diverse novelle legislative che hanno interessato il processo civile), quanto ritenuto nella relazione "gli incombenti dell'istruttore all'udienza ex art.180 c.p.c." [ora art.183 c.p.c.], dal relatore dott.ssa Maria ACIERNO, Pretore di Bologna.

15. Si tratta di un contributo contenuto nel quaderno del CSM n.96, volume I, intitolato "settimane di formazione dedicate ai pretori civili", con il quale il relatore osserva che la litispendenza e la continenza sono le fattispecie di incompetenza per le quali non e fissato dall'art. 38 c.p.c. un termine di decadenza per la loro rilevabilità, né lo sbarramento temporale può dedursi dal citato art. 40 c.p.c., ed è comunque opportuno assumere nella fase preliminare od introduttiva del procedimento i provvedimenti ex art. 39 c.p.c. in quanto l'attività processuale svolta nella causa “contenuta” o in quella successivamente instaurata per la litispendenza diventa “inutiliter data” con la declaratoria di incompetenza.

16. Ed invero, la questione si complica ulteriormente nell'ipotesi in cui il giudice "X", oltre ad essere il giudice successivamente adito, sia anche il giudice avanti al quale pende la causa "contenuta" e non "continente"; in tal caso, infatti, poiché la mediazione delegata dal giudice "X" può sortire la procedibilità limitatamente all'oggetto del giudizio "X" (parziale, dunque, rispetto alla complessiva controversia tra le medesime parti), appare in tutta la sua evidenza la discrasia tra una mediazione delegata dal giudice investito da una questione di continenza non incontestabilmente risolta e la funzione propria della mediazione (sia pure delegata) di soddisfare la condizione di procedibilità, in assenza di accordo conciliativo.

17. Questa considerazione vale sia nel caso di continenza c.d. "quantitativa", sia nel caso di interdipendenza tra le due cause, o più in generale nel caso di c.d. continenza "qualitativa".

18. A tal proposito giova richiamare l'ordinanza n.20597 del 01/10/2007 pronunciata dalla Corte di Cassazione, a sezioni unite, secondo cui ai sensi dell'art.39, comma 2, c.p.c., la continenza di cause ricorre non solo quando due cause sono caratterizzate da identità di soggetti (identità non esclusa, peraltro, dalla circostanza che in uno dei due giudizi sia presente anche un soggetto diverso) e di titolo, e da una differenza quantitativa dell'oggetto, ma anche quando fra le cause sussiste un rapporto di interdipendenza, come nel caso in cui sono prospettate, con riferimento ad un unico rapporto negoziale, domande contrapposte o in relazione di alternatività, e caratterizzate da una coincidenza soltanto parziale delle "causae petendi"; nonché quando le questioni dedotte con la domanda anteriormente proposta costituiscano il necessario presupposto (alla stregua della sussistenza di un nesso di pregiudizialità logico-giuridica) per la definizione del giudizio successivo, come nell'ipotesi in cui le contrapposte domande concernano il riconoscimento e la tutela di diritti derivanti dallo stesso rapporto e il loro esito dipenda dalla soluzione di una o più questioni comuni.

19. Nel caso valutato con la predetta ordinanza da parte della Corte di cassazione, in applicazione dell'enunciato principio, le Sezioni unite hanno ritenuto la sussistenza di un rapporto di continenza tra la domanda proposta da un istituto di credito nei confronti del correntista, avente ad oggetto il pagamento del saldo negativo del conto, e quella proposta dal correntista nei riguardi della banca, avente ad oggetto la dichiarazione di nullità del contratto di apertura di conto corrente e l'accertamento negativo del credito preteso dalla banca.

20. Passando alla seconda considerazione sopra annunciata, viene in evidenza che la posizione del Tribunale di Verona ha il pregio di accendere i riflettori sul fatto che la questione della competenza territoriale dell'ODM, in definitiva, è strettamente connessa anche a quella dell'oggetto della domanda di mediazione nella sua proiezione giudiziaria, nel senso che, anche nel caso di mediazione delegata, la procedibilità, non solo passa attraverso l'esperimento della mediazione delegata, ma presuppone la radicazione in capo al giudice, che dispone la mediazione ex officio, del potere di conoscere l'oggetto del giudizio, di procedere sino alla definizione del giudizio, e perciò di disporre la mediazione ex officio ai sensi dell'art.5, comma 2, del d.lgs. n.28/2010. In queste brevi riflessioni l'attenzione sarà rivolta a quest'ultimo aspetto.

21. Il quid iuris che ci occupa, quindi, è il seguente: la continenza ex art.39, comma 2, c.p.c. è davvero vicenda processuale irrilevante ai fini della disposizione della mediazione ex officio ex art.5, comma 2, del d.lgs. n.28/2010, come ritenuto dal Tribunale di Verona? o, invece, è necessario che in capo al giudice, investito della questione di continenza, e che dispone la mediazione ex officio, si sia radicata la "competenza" a "potere procedere", e questa risulti non più controvertibile?

22. Un primo spunto di riflessione è offerto dall'ordinanza n.21761 del 23 settembre 2013 pronunciata dalla Corte di cassazione, sezione sesta, alla luce della quale "secondo quanto reso evidente dal tenore testuale dell'art. 39 c.p.c., gli istituti della litispendenza e della continenza (che regolano la competenza per territorio) operano soltanto fra cause pendenti dinanzi a uffici giudiziari diversi. Se le cause identiche o connesse pendono … dinanzi al medesimo ufficio giudiziario, trovano invece applicazione gli artt. 273 e 274 c.p.c., ovvero (quando ragioni di ordine processuale impediscano la riunione ed una causa sia pregiudiziale rispetto all'altra o sia già giunta a sentenza) gli istituti della sospensione di cui agli artt. 295 e 337 c.p.c.".

23. Dunque, la litispendenza e la continenza sono situazioni che influenzano la "competenza" (a potere procedere) del giudice. Tanto che contro il provvedimento che ammette o nega la litispendenza è ammesso il regolamento di competenza. Mentre, quanto alla continenza, il testo dell'art.39 c.p.c. non lascia dubbi sul fatto che quel che si pone è una "questione di competenza", essendo previsto, infatti, che: nel caso di continenza di cause, se il giudice preventivamente adito è competente anche per la causa proposta successivamente, il giudice di questa dichiara con sentenza la continenza e fissa un termine perentorio entro il quale le parti debbono riassumere la causa davanti al primo giudice. Se questi non è competente anche per la causa successivamente proposta, la dichiarazione della continenza e la fissazione del termine sono da lui pronunciate.

24. Dunque, sebbene la continenza non modifica gli ordinari criteri di competenza, tuttavia configura un ulteriore criterio di individuazione del giudice, tra i due in predicato, competente alla trattazione e decisione della intera controversia (e dunque competente a potere "procedere" sino alla definizione della stessa).

25. D'altra parte, come già evidenziato, la sentenza con la quale viene dichiarata la continenza (o la litispendenza) è una pronuncia sulla competenza anche agli effetti della sua impugnabilità col regolamento di competenza.

26. Che si pone un problema di "competenza", ebbe a stabilirlo anche la Corte di Cassazione, a Sezioni unite, con l'ordinanza 13 luglio 2006, n.15905, secondo la quale il giudice che ravvisa una continenza tra la causa davanti a sé pendente ed altra causa preventivamente instaurata davanti ad altro giudice, deve verificare se sussiste la competenza di quest'ultimo non solo in relazione alla causa da rimettergli, ma anche per la causa per la quale è stato preventivamente adito.

27. Sebbene sia comunque utile tenere presente quanto precede, per quanto in particolare qui interessa, a prescindere dal fatto che si tratti o meno di "questione di competenza" (secondo Cass. S.U.n.15905/2006 cit. la declaratoria di continenza passa anche attraverso l'esame delle competenze), quel che è sufficiente considerare è che nel caso di mediazione delegata bisogna essere certi che il giudice che dispone la mediazione ex officio sia quello cui "compete poter procedere". E dunque, anche se la questione ex art.39, comma 2, c.p.c. la si voglia considerare "questione di procedibilità", ciò non toglie, che nel rapporto tra processo e mediazione disposta ex officio, si pone come presupposto necessario che il giudice procedente, che dispone la mediazione, sia "quello che può procedere" sino alla decisione della controversia oggetto del giudizio, e che perciò può disporre la mediazione ex officio ai sensi dell'art.5, comma 2, del d.lgs. n.28/2010.

28. A questo punto l'obbiettivo va messo a fuoco sul fatto che, invero, l'art.4 del d.lgs. n.28/2010 non indica specifici ed esclusivi criteri, ma si limita a fare riferimento al "luogo" del "giudice territorialmente competente". Pertanto, specularmente, nel caso di mediazione delegata in pendenza di giudizio, la competenza dell'ODM ripeterà quella del giudice che la dispone, che per quel che si è detto sopra, non può che trattarsi del giudice (anche territorialmente) competente a poter procedere, ovvero del giudice in capo al quale la competenza a poter procedere (anche per territorio) si è radicata incontestabilmente.

29. In sostanza, pur a condividere la tesi del Tribunale di Verona, secondo cui non sarebbe dato rinvenire una regola generale di attrazione al giudice avanti al quale la causa pende, comunque resta il fatto che il giudice, che dispone la mediazione ex officio ai sensi dell'art.5, comma 2, del d.lgs. n.28/2010, deve essere il giudice al quale "compete" poter procedere alla definizione della controversia allo stesso sottoposta.

30. Di seguito a che l'ODM da adire dovrà, inevitabilmente, avere sede nel luogo del giudice procedente, che la mediazione ex officio ha disposto.

31. L'orientamento del Tribunale di Milano, sopra ricordato, secondo cui, di concerto tra loro, le parti possono scegliere l'ODM che preferiscono, non entra in contrasto con la suddetta conclusione, in quanto, come si è detto, non vale a negare la "regola" da rispettare nel caso di domanda unilaterale, ma costituisce una eccezione che si giustifica in ragione del fatto che trattandosi di una scelta concertata, consensuale e libera, viene a cadere la ragione della norma imperativa che pone a tutela della parte più debole la garanzia della prossimità dell'ODM, alla stregua della prossimità del giudice nel caso di azione giudiziaria.

32. Dunque, a mio avviso, alla luce delle superiori considerazioni, nel caso di questione di continenza, la quale incide sull'individuazione del "giudice che può procedere", la questione di continenza deve risultare preventivamente (rispetto alla disposizione della mediazione ex officio) risolta nel senso della "competenza" a potere procedere del giudice che dispone la mediazione ex art.5 del d.lgs. n.28/2010

33. Giova ripeterlo, nel caso di continenza non è dato ritenere entrambi i giudici "competenti" a potere procedere, ma la "competenza" a potere procedere viene riservata ad uno solo di essi, secondo i criteri stabiliti dall'art.39, comma 2, c.p.c. (salvo il caso in cui dovesse rendersi necessaria la sospensione, secondo quanto osservato dalla Corte di cassazione con la citata ordinanza n.15905/06).

34. Sin qui abbiamo riflettuto sul caso in cui, già pendente un giudizio, il giudice dispoga la mediazione ex officio, e questa venga esperita, senza che, però, sia raggiunto l'accordo. Sicché le parti ritornano davanti al giudice che ha disposto la mediazione, cui compete poter procedere sino alla definzione del giudizio.

35. Cosa accade, invece, se, nel caso di mediazione delegata, le parti raggiungono l'accordo, ma sulla base di una mediazione delegata da parte del giudice "X" investito solo di una parte della più complessa controversia, e non della controversia nel suo complesso, pendendo questa, in parte, anche avanti ad un giudice diverso "Y"? l'accordo conciliativo può estendersi alla più complessa controversia? e con quali effetti rispetto al giudizio pendente avanti al giudice "Y"?

36. A tal riguardo, v'è da considerare che, sebbene sulla base di una mediazione delegata, un accordo transattivo tra due parti, invero, potrebbe, secondo i principi generali che regolano la materia, definire ogni eventuale controversia tra le medesime parti. Il resto lo farebbe l'applicazione dell'art.309 c.p.c. in tutti i giudizi eventualmente pendenti ed aventi ad oggetto le controversie regolate transattivamente tra le parti, dalle medesime abbandonati.

37. Quel che, invece, è da escludere è che le parti possano ritenersi "vincolate" su questa possibile, ma solo eventuale, e consensuale, direttrice conciliativa.

38. A tal riguardo, poi, sopravviene un dubbio: in un caso di mediazione delegata, analogo a quello di cui alla citata ordinanza del Tribunale di Verona in cui si pone una questione di continenza “non preventivamente regolata”, il mediatore investito della mediazione delegata dal giudice "X", se formula una proposta, la formula limitatamente alla controversia oggetto del giudizio pendente avanti al giudice "X"? o la formula sulla controversia nel suo complesso, in parte pendente avanti al giudice "Y"? in quest'ultimo caso, come potrà regolarsi il giudice "X" nel caso di mancato accordo su una proposta che va al di là dell'oggetto del giudizio pendente avanti al medesimo giudice "X"? e anche al di fuori di una “questione di continenza”, come potrà regolarsi il giudice che ha disposto la mediazione nel caso di mancato accordo su proposta del mediatore afferente non unicamente all'oggetto del giudizio pendente avanti il giudice che ha disposto ex officio la mediazione, ma estesa anche ad ulteriori aspetti conflittuali emersi in sede di mediazione? il giudice potrà ancora applicare l'art.13 del d.lgs.n.28/2010?

39. Il che ci riporta alla complessa questione dei limiti entro cui può risultare "utiliter data" una mediazione delegata.

Avv. Maurizio Città


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