Data: 15/03/2014 14:20:00 - Autore: Sabrina Caporale

 Corte di Cassazione, Sezione III Civile, sentenza 5 febbraio – 10 marzo 2014, n. 5499.

Nella satira la fantasia sembra non avere limiti. Ma qualche limite dovrebbe imporlo il buonsenso se non si vuole finire sotto processo per diffamazione. In un caso esaminato dai giudici di Piazza Cavour,  un noto editoriale abruzzese aveva utilizzato una serie di frasi satiriche per gettare discredito su una nota associazione dei consumatori. Si era trattato di frasi come: "Cialtracons", "contro la diarrea prendete Codacons", "Codacons e diarrea..." e "Crollacons".  

Il caso era finito nelle aule di giustizia e la vicenda è finita anche al vaglio della Cassazione.

Il quesito sottoposto alla Corte è stato quello di chiarire se siffatte espressioni integrino il reato di diffamazione, oppure esse costituiscono il legittimo esercizio del diritto di satira.

«E' noto – afferma la Suprema Corte -  che la satira è configurabile come diritto soggettivo di rilevanza costituzionale; come tale rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 21 Cost. che tutela la libertà dei messaggi del pensiero. Il diritto di satira ha un fondamento complesso individuabile nella sua natura di creazione dello spirito, nella sua dimensione relazionale, ossia di messaggio sociale, nella sua funzione di controllo esercitato con l'ironia ed il sarcasmo nei confronti dei poteri di qualunque natura. Comunque si esprima e, cioè, in forma scritta, orale, figurata, la satira costituisce una critica corrosiva e spesso impietosa, basata su una rappresentazione che enfatizza e deforma la realtà per provocare il riso. La peculiarità della satira, che si esprime con il paradosso e la metafora surreale, la sottrae al parametro della verità e la rende eterogenea rispetto alla cronaca. Ma a differenza di questa che, avendo la finalità di fornire informazioni su fatti e persone, è soggetta al vaglio del riscontro storico, la satira assume i connotati dell'inverosimiglianza e dell'iperbole. La satira, in sostanza, è riproduzione ironica e non cronaca di un fatto; essa esprime un giudizio che necessariamente assume connotazioni soggettive ed opinabili, sottraendosi ad una dimostrazione di veridicità. Incompatibile con il parametro della verità, la satira è, però, soggetta al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni adoperate rispetto allo scopo di denuncia sociale perseguito (…) il linguaggio, [infatti], è essenzialmente simbolico e frequentemente (…) è svincolato da forme convenzionali, per cui è inapplicabile il metro della correttezza dell'espressione».

Ora, «l'utilizzo di espressioni di qualsiasi tipo, anche lesive della reputazione altrui deve essere strumentalmente collegato alla manifestazione di un dissenso ragionato dall'opinione o comportamento preso di mira e non deve risolversi in un'aggressione gratuita e distruttiva dell'onore e della reputazione del soggetto interessato (così Cass. ord. 17.9.2013 n. 21235; Cass. 8.2.2012 n. 1753; Cass. 28.11.2008 n. 284119.) In questo ambito concettuale è stato, ulteriormente, affermato - sia dalla giurisprudenza penale sia da quella civile di legittimità - che la satira, al pari di ogni altra manifestazione del pensiero, non può infrangere il rispetto dei valori fondamentali della persona, per cui non può essere riconosciuta la scriminante di cui all'art. 51 c.p. per le attribuzioni di condotte illecite o moralmente disonorevoli, gli accostamenti volgari o ripugnanti, la deformazione dell'immagine in modo da suscitare disprezzo della persona e ludibrio della sua immagine pubblica (tra le varie Cass. 8.2.2012 n. 1753; Cass. 28.11.2008 n. 28411)».

Va, altresì, aggiunto che «in tema di diffamazione, l'evento lesivo della reputazione altrui può ben realizzarsi, oltre che per il contenuto oggettivamente offensivo della frase autonomamente considerata, anche perché il contesto, in cui la stessa è pronunziata, determina un mutamento del significato apparente della frase altrimenti non diffamatoria, dandole quanto meno un contenuto allusivo, percepibile dall'uomo medio (tra le varie Cass. 13.1.2009 n. 482)».

Ebbene, nel caso in esame, la Corte di merito, ha ritenuto che si fosse “in presenza di cronache giornalistiche locali - su cui si sono inserite le "battute" ironiche del redattore del quotidiano [de quo]- nelle quali lo spirito che anima gli articoli, dal testo e dal contesto, appare scevro da denigrazione, disprezzo e ludibrio, sollecitando, piuttosto, il sorriso del lettore".

Queste conclusioni – a detta della Suprema Corte - non sono condivisibili. «Nessun dubbio sussiste, infatti, in ordine alla configurabilità della lesione alla reputazione nei confronti di un ente collettivo; lesione che deriva dalla diminuzione della considerazione da parte dei consociati in genere, o di settori o categorie di essi con le quali l'ente interagisca; ancora più delicata posizione quando si tratti di un'associazione di consumatori (v. anche Cass. 25.7.2013 n. 18082; Cass. 4.6.2007 n. 12929)».

La sentenza è, pertanto, cassata e il ricorso accolto.


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