Data: 23/03/2014 10:00:00 - Autore: Licia Albertazzi

di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione Civile, sezione lavoro, sentenza n. 6319 del 19 Marzo 2014. In tema di legittimità del licenziamento individuale, gli elementi integranti l'eventuale giusta causa di recesso contrattuale vanno analizzati nel loro contesto generale e non singolarmente. Così, ad esempio, vanno valutati nel loro complesso i precedenti richiami disciplinari, la pericolosità sociale dei comportamenti posti in essere dal dipendente e l'ultimo episodio illegittimo verificatosi a carico dell'interessato: nella specie, la vendita di una stecca di sigarette di contrabbando al collega di lavoro. In questo senso il licenziamento può dirsi legittimo. 

La contestazione giunta in Cassazione concerne il presunto difetto di motivazione della sentenza del giudice d'appello. Il lavoratore ricorrente lamenta infatti l'errata valutazione degli elementi di fatto operata dal giudice del merito, riscontrabile e sindacabile in sede di legittimità appunto attraverso la figura del difetto, della carenza o dell'illogicità della motivazione. In merito a tale tipo di censura ricorda la Corte come “il controllo di legittimità sulla motivazione delle sentenze riguarda unicamente (…) il profilo della coerenza logico formale delle argomentazioni svolte, in base all'individuazione, che compete esclusivamente al giudice del merito, delle fonti del proprio convincimento, raggiunto attraverso la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, scegliendo tra di esse quelle ritenute idonee a sostenerlo all'interno di un quadro valutativo complessivo privo di errori, di contraddizioni e di evidenti fratture sul piano logico, nel suo intero tessuto ricostruttivo della vicenda”. La Cassazione non può dunque entrare nel merito della questione ma deve limitarsi a questo tipo di controllo, focalizzato più sulla motivazione che sulla ricostruzione dei fatti. La modestia dell'ultimo fatto contestato va quindi esaminato alla luce della condotta complessivamente tenuta dal dipendente; in questo senso non vi sarebbe alcun errore valutativo commesso dal giudice di secondo grado e il ricorso è conseguentemente rigettato.


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