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Data: 29/03/2014 09:00:00 - Autore: Emanuele Mascolo Dott. Emanuele Mascolo - "La delibera sopravvenuta, non dispone la rimozione in autotutela con effetti ex tunc, della delibera impugnata, bensì ne contempla la revoca per ragioni successivamente intervenute". È quanto ha disposto il Tar Puglia Bari, con sentenza n. 373 del 24 marzo scorso, in una controversia avente ad oggetto l'impugnazione della delibera comunale mediante la quale veniva riattivato il processo espropriativo a seguito della sentenza del Consiglio di Stato n. 3331/2011. Il Tar, ha, infatti, deciso l'improcedibilità sulla base della sopravvenuta carenza di interesse e non per cessazione della materia del contendere, considerato da un lato "l'evidente mutevolezza del quadro normativo di riferimento" - poiché l'intera vicenda contenziosa che ha portato alla sentenza del Cds è stata segnata dalla dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 43 t.u. espr. in corso di giudizio e dalla sopravvenuta adozione dell'art. 42 bis tu. espr. - e dall'altro, il fatto che la delibera impugnata "è frutto dell'effetto conformativo della sentenza del Cds che indicava esplicitamente, quale metodo di legittima apprensione alla mano pubblica del suolo in questione, la riattivazione del procedimento espropriativo, pur dopo la scadenza dei termini per la conclusione dello stesso", rilevando altresì che l'istituto della c.d. "accessione invertita" (ovvero dell'apprensione di bene privato in virtù di procedura espropriativa mai conclusa) è tuttora "caratterizzato da frequenti e diffuse oscillazioni giurisprudenziali che concorrono a rendere incerto il quadro normativo di riferimento". I giudici di Palazzo Spada, difatti, nel 2011, sulla base della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo e della declaratoria d'illegittimità costituzionale dell'art. 43 t.u. espr., quale strumento per un procedimento espropriativo accelerato, si erano pronunciati nel senso che l'area illegittimamente espropriata al privato comportava per l'amministrazione la restituzione, il risarcimento e la riduzione in pristino, non potendo rilevare quale fatto estintivo dell'obbligo "l'intervenuta realizzazione dell'opera pubblica", ma solo l'apprensione legittima del bene attraverso due strumenti tipici: "il contratto, tramite l'acquisizione del consenso della controparte, o il provvedimento, e quindi anche in assenza di consenso, ma tramite la riedizione del procedimento espropriativo con le sue garanzie". In virtù della sentenza del Cds, l'amministrazione procedeva riattivando il procedimento espropriativo con delibera, impugnata dal privato espropriato e oggetto del ricorso al Tar, il quale - sulla scorta delle dichiarazioni a verbale delle parti che, a seguito dell'adozione di una successiva delibera hanno sostenuto l'intervenuta cessazione della materia del contendere (società ricorrente) ovvero la sopraggiunta carenza di interesse (comune resistente) - ha dichiarato improcedibile il ricorso per sopravvenuto difetto di interesse, revocando pertanto la delibera ex nunc per via delle cause sopraggiunte e non annullandola in autotutela per vizi originari con effetti ex tunc. |
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