Data: 27/03/2014 09:05:00 - Autore: Sabrina Caporale

Corte di Cassazione, Sezione V Penale, sentenza 5 dicembre 2013 – 24 marzo 2014, n. 13833.

“Il divieto della reformatio in peius nel giudizio di appello riguarda non soltanto il risultato finale, ma anche tutti gli elementi del calcolo della pena: sicché, in caso di accoglimento dell'appello dell'imputato in ordine alle circostanze o al concorso di reati, discende non solo l'obbligatoria diminuzione della pena complessiva, ma anche l'impossibilità di elevare la pena comminata per singoli elementi (così Sez. 5, n. 14991 del 12/01/2012; Sez. 2, n. 45973 del 18/10/2013)”.

È quanto di recente affermato e ribadito dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 13833 dello scorso 24 marzo 2014.

La vicenda aveva ad oggetto il delitto di cui all'art. 458 c.p., così addebitato ad un cittadino pugliese “per aver contraffatto un bollettino di versamento della somma di Euro 724,88 in favore dell'Acquedotto Pugliese s.p.a., apponendovi un falso timbro di quietanza per far risultare il pagamento, in realtà mai avvenuto, di canoni del consumo di acqua del condominio di cui era stato amministratore”.

Ebbene, la Corte d'Appello di Lecce, dinanzi alla quale si celebrava il giudizio di secondo grado, aveva in verità, riqualificato il fatto come “falso in scrittura privata”, già in primo grado configurato alla stregua degli artt. 477 e 482 cod. pen, reati, a ben vedere, puniti in maniera più lieve del precedente.

L'imputato proponeva così ricorso per Cassazione, che veniva, pertanto, accolto quanto alle argomentazioni sopra riportate.


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