Data: 10/04/2014 16:50:00 - Autore: Sabrina Caporale

Corte di Cassazione, Sezione  V Penale, sentenza 12 febbraio – 3 aprile 2014, n. 15367 

Con sentenza del Giudice di pace di Cecina veniva dichiarato non doversi procedere, ai sensi dell'articolo 35 del decreto legislativo 274 del 2000, nei confronti di un uomo, imputato per il reato ascritto di ingiuria commesso in danno dell'insegnante della figlia, nei locali della scuola media da essa frequentata. Ebbene, avverso la citata sentenza, proponeva ricorso per cassazione, il Procuratore generale di Firenze, adducendo ad unico motivo del gravame suddetto, l'erronea interpretazione e applicazione della legge penale, in particolare in relazione all'articolo 341 bis cod. pen.(…)”.

La risposta della Cassazione.

Il ricorso è fondato.

“Erroneamente – affermano i giudici della Corte - era stato contestato il reato di ingiuria, anziché quello di oltraggio a pubblico ufficiale, di competenza del Tribunale, del quale sussistono tutti gli elementi. “E' noto che, disposta l'abrogazione degli articoli 341 e 344 cod. pen., per effetto dell'articolo 18 della legge 25 giugno 1999, n. 205, il delitto di oltraggio è stato nuovamente introdotto nell'ordinamento a seguito della legge n. 94 del 2009, che ha però delineato una nuova figura di illecito, caratterizzato sotto il profilo della condotta materiale da un'azione consistente nell'offesa dell'onore e della reputazione della vittima, con la pretesa però di ulteriori requisiti oggettivi, in precedenza non richiesti. Tali elementi possono essere così sintetizzati: 1) l'offesa all'onore e al prestigio del pubblico ufficiale deve avvenire alla presenza di più persone; 2) deve essere realizzata in luogo pubblico o aperto al pubblico; 3) deve avvenire in un momento, nel quale il pubblico ufficiale compie un atto d'ufficio ed a causa o nell'esercizio delle sue funzioni.  Come argomentato puntualmente dalla dottrina, con osservazioni pertinenti e condivisibili, l'ambito oggettivo della nuova incriminazione è mutato, per l'inserimento nella fattispecie di presupposti fattuali qualificanti la condotta ed indicativi del fatto che ciò che viene riprovato dall'ordinamento non è la mera lesione in sé dell'onore e della reputazione del pubblico ufficiale, quanto la conoscenza di tale violazione da parte di un contesto soggettivo allargato a più persone presenti al momento dell'azione, da compiersi in un ambito spaziale specificato come luogo pubblico o aperto al pubblico e in contestualità con il compimento dell'atto dell'ufficio ed a causa o nell'esercizio della funzione pubblica. In altri termini, il legislatore incrimina comportamenti ritenuti pregiudizievoli del bene protetto, a condizione della diffusione della percezione dell'offesa, del collegamento temporale e finalistico con l'esercizio della potestà pubblica e della possibile interferenza perturbatrice col suo espletamento”.

In verità, afferma la Corte, “nel caso di specie, al di là dell'articolo di legge indicato nel capo di imputazione, tali elementi sussistevano, poiché le ingiurie furono pronunciate nei locali scolastici, in modo tale da essere percepite da più persone; inoltre l'insegnante di scuola media è pubblico ufficiale (Sez. 3, n. 12419 del 06/02/2008) e l'esercizio delle sue funzioni non è circoscritto alla tenuta delle lezioni, ma si estende alle connesse attività preparatorie, contestuali e successive, ivi compresi gli incontri con i genitori degli allievi (Sez. 6, n. 4033 del 15/12/1993 - dep. 07/04/1994; Sez. 6, n. 6587 del 05/02/1991)”.

Va pertanto,  annullata la sentenza impugnata e accolto il ricorso de quo.


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