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Data: 10/04/2014 09:20:00 - Autore: Avv. Barbara Pirelli Avv. Barbara Pirelli del Foro di Taranto; email: barbara.pirelli@gmail.com Chi non ha mai visto affisso sul cancello di una villa il cartello: "attenti al cane?" Bene, un cartello analogo sia pur di dimensioni ridotte, andrebbe messo anche alle shopping delle signore che vi portano dentro i loro cagnolini di piccola taglia come pincher e chihuahua. Sappiamo tutti che un cagnolino nella borsetta è generalmente innocuo ma può accadere sia pur di rado che ci scappi un morso verso un passante incuriosito dalla tenerezza di quel piccolo giocattolino peloso. E proprio idi un caso simile si è dovuto occupare la corte di cassazione (sentenza n. 15492 del 07.04.2014). Inizialmente il Giudice di Pace di Oristano condannava una donna alla pena di 200 euro di multa con contestuale condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile che aveva subito delle lesioni per un morso del cagnolino di proprietà dell'imputata. La sentenza veniva confermata anche in sede di appello, dal Tribunale di Oristano. Dalle risultanze probatorie era emerso che la persona offesa era stata ferita al labbro dal cane di piccola taglia che l'imputata teneva nella borsa portata al braccio, allorché la danneggiata si era avvicinata con il viso al cane. Nonostante la persona offesa dal reato avesse posto in essere una condotta imprudente (quella di avvicinarsi con il viso ad un cane che non conosceva) ciò non era bastato ad escludere la responsabilità dell'imputata perché la stessa non aveva custodito l'animale con le dovute cautele e la dovuta diligenza. L'imputata proponeva ricorso per Cassazione lamentando la violazione dell'articolo 521 codice di procedura penale (1) perché la sentenza impugnata aveva erroneamente rinvenuto la colpa dell'imputata nella presunta violazione delle prescrizioni di un ordinanza ministeriale del 2005 relativa all'obbligo di utilizzare una museruola; in secondo luogo, sosteneva che il comportamento della persona offesa fosse stata l'unica causa che aveva determinato il fatto, perché la stessa aveva imprudentemente infilato il viso nell'apertura della borsa portata a tracolla. La Suprema Corte riteneva, però ,che le doglianze proposte dall'imputata fossero infondate perché con riferimento al "principio di correlazione tra imputazione e sentenza " lo stesso non può ritenersi violato da qualsiasi modificazione rispetto all'accusa originaria, ma solo nel caso in cui la contestazione venga mutata in relazione ai suoi elementi essenziali, in modo da determinare incertezza e pregiudicare l'esercizio del diritto di difesa. Nel caso di specie, all' imputata era stato contestato di aver provocato una lesione personale alla persona offesa, determinata da un graffio del cane al labbro superiore della medesima. In buona sostanza la Corte di Appello non aveva ridescritto la dinamica del fatto, asserendo - come aveva sostenuto la ricorrente - che si era trattato di un morso e non di un graffio; quindi, la Corte territoriale non aveva ricostruito l'accaduto in termini alternativi a quelli della contestazione elevata. Vale la pena ricordare che la violazione dell'art. 521 cod. proc. pen. importa nullità della sentenza solo ove sia stato leso il diritto di difesa; nel caso di specie la ricorrente si era limitata a prospettare la incoerenza tra fatto contestato e fatto ritenuto, senza nemmeno allegare il pregiudizio subito dalle prerogative difensive dell'imputata. E' pur vero che la Corte di Appello ha ritenuto la condotta della persona offesa imprudente ma non assolutamente imprevedibile; secondo la comune esperienza e' quasi scontato che la presenza di un cane possa sollecitare l'attenzione e l'interesse delle persone, sicché si impone, ove si intenda condurre l'animale in ambienti ove è prevedibile il contatto con persone, l'adozione di quelle cautele che assicurino che queste non riportino danni in conseguenza delle possibili reazioni dell'animale. Sulla scorta di questi motivi, la Corte di Cassazione dichiarava inammissibile il ricorso e condannava la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende. (1) Art.521 c.p.p. 1. Nella sentenzail giudice può dare al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell'imputazione, purché il reato non ecceda la sua competenza né risulti attribuito alla cognizione del tribunale in composizione collegiale anziché monocratica, [ovvero non risulti tra quelli per i quali è prevista l'udienza preliminare e questa non si sia tenuta] . 2. Il giudice dispone con ordinanza la trasmissione degli atti al pubblico ministero se accerta che il fatto è diverso da come descritto nel decreto che dispone il giudizio ovvero nella contestazione effettuata a norma degli articoli 516, 517 e 518 comma 2 3. Nello stesso modo il giudice procede se il pubblico ministero ha effettuato una nuova contestazione fuori dei casi previsti dagli articoli 516, 517 e 518 comma 2.
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