Data: 11/04/2014 12:30:00 - Autore: Avv. Chiara Valente

Avv. Chiara Valente del Foro di Trieste;

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In base all'art. 85 c.p. � imputabile, e quindi, penalmente perseguibile, colui il quale ha la capacit� di intendere e di volere. Ci� significa che, solo al soggetto in condizione di comprendere il valore sociale delle proprie azione e di valutare la realt� attraverso elementi intellettivi, affettivi ed emotivi, controllando i propri impulsi volti al compimento delle azioni, potr� essere irrogata una pena per un fatto costituente reato.

Per i sostenitori della finalit� specialpreventiva, a cui sta a cuore �neutralizzare socialmente� l'autore della condotta criminosa, si puntualizza, che ci� non significa che al soggetto socialmente pericoloso, qualora incapace di intendere e di volere, verr� concesso di agire indisturbato, bens�, sussistendone i presupposti, saranno a lui comminabili misure di sicurezza sostitutive al carcere.

Invero, la ratio della norma, si estrinseca nel fatto che, il soggetto che non possiede le sopraindicate capacit�, non pu� considerarsi responsabile della propria condotta n� per questa assoggettabile a sanzione, poich� sarebbe incapace di coglierne le finalit� punitive e rieducative perseguite dal nostro ordinamento. E' ci�, in evidente conformit� ad uno dei principi fondamentali della nostra Costituzione, espresso dall'art. 27, secondo cui la responsabilit� penale � personale e, di conseguenza, la funzione rieducativa della pena non pu� certo realizzarsi in ordine a fatti in cui non sia possibile muovere alcun rimprovero all'autore.

E' dato indiscusso, infatti, che la rimproverabilit� di un individuo dipende dalla possibilit� che questi ha di scegliere condotte alternative, possibilit� esclusa in stato di incapacit� di intendere e volere.

Orbene, operata tale premessa, bisogna distinguere al fine della rilevanza penale del fatto e della punibilit�, il vizio totale di mente contemplato dall'art. 88 c.p., dal vizio parziale di mente, contemplato altres� dall'art. 89 c.p.

Nel primo caso, si osserva come la capacit� di intendere e di volere � totalmente esclusa, motivo per cui il soggetto non sar� imputabile, n�  punibile, e ove il Giudice accerti le condizioni di pericolosit�, potr� essere disposto eventualmente il ricovero in OPG (ospedale psichiatrico giudiziario).

Diversamente, qualora il soggetto si trovi in uno stato mentale in grado di scemare solo gradatamente la capacit� di intendere e di volere, senza per questo escluderla, questi risponder� del reato, ma la pena sar� diminuita.

Si osserva, che come bene chiarisce una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione (Cass. pen., 41083/2013), l'imputabilit� e la colpevolezza operano su due differenti piani d'azione, in quanto si riferiscono a due diversi concetti, e ci�, bench� la seconda non possa prescindere dalla prima, quale base della responsabilit�.

In tale contesto, quindi, il vizio parziale di mente deve valutarsi a ragion veduta del dolo, potendo ben sussistere tale elemento soggettivo del reato, anche di fronte ad un'ipotesi di seminfermit� mentale. Un tanto, poich�, come ben rappresentano i giudici di legittimit�, mentre l'imputabilit� riguarda il momento della formazione della volont�, il dolo ha a che vedere con il momento in cui questa si esteriorizza e persegue gli obiettivi avuti di mira dall'agente, per cui, in sintesi, la coscienza e volont� della condotta incriminata pu� sussistere anche in presenza di una scemata capacit� di intendere e volere.

Alla luce di un tanto, anche qualora il reato risulti commesso da un soggetto che si sia appurato seminfermo di mente, il giudice dovr� operare una ricognizione e verifica in relazione alla sussistenza dell'elemento psicologico, atteso che anche se diminuita, la capacit� di intendere e volere del soggetto potrebbe essere stata rilevante ai fini della configurabilit� del reato.

E cos�, per maggior chiarezza espositiva, si espone il caso di cui alla massima sopracitata, dal quale traggono origine le presenti considerazioni.

Si osserva che nella fattispecie, in riforma della sentenza di merito, l'imputato veniva condannato per il reato di evasione, ritenuto il giudice irrilevante il difetto di capacit� di intendere e volere con riferimento alla condotta incriminata, per cui il soggetto sarebbe uscito dalla propria abitazione in violazione della misura di custodia cautelare; secondo la motivazione de qua, infatti, trattandosi di un reato punito a titolo di dolo generico, e non essendo quindi richiesto il quid pluris del dolo specifico, il reato era da ritenersi integrato per la semplice coscienza dell'azione contraria ad un provvedimento dell'autorit�, a prescindere da quale fosse la motivazione alla base della condotta.

Nel qual caso, il giudice di primo grado aderiva alla tesi della difesa e affermava l'assenza di responsabilit� in capo all'imputato, avendo egli agito senza alcun proposito di sottrarsi alla misura cautelare impostagli, bens�, spinto ad uscire dall'abitazione dall'impulso, correlato alle proprie condizioni di seminfermit� mentale, di allontanarsi di pochi metri da essa per �prendere un po' d'aria� dopo l'assunzione di un farmaco neurolettico.

Contrariamente, la Suprema Corte, adita dalla pubblica accusa con ricorso immediato, si pronunciava secondo il suddetto principio, avendo cura di precisare che il giudice di merito, accogliendo la tesi difensiva,  avrebbe erroneamente assimilato alla condizione di scemata capacit� di intendere e di volere sussistente al momento del fatto, l'assenza del dolo del reato di cui all'art. 385, 3 comma c.p., senza tenere conto che anche nelle condizioni di imputabilit� diminuita di cui all'art. 89 c.p., esiste pur sempre una parziale capacit� di intendere e di volere, per cui, con riferimento ai reati connotati da dolo generico non si pu� prescindere da una valutazione sul caso specifico della rilevanza della seminfermit� ai fini della colpevolezza.

Avv. CHIARA VALENTE

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