Data: 15/04/2014 16:00:00 - Autore: Maurizio Città
di Maurizio Città, avvocato del Foro di Termini Imerese (maurizio-citta@libero.it)

Con ordinanza del 19 marzo 2014, il Tribunale di Firenze, nel motivare la propria determinazione a disporre ex officio l'esperimento della procedura di mediazione ex d.lgs. n.28/2010, mette in vivo alcune delle innegabili (e più numerose) criticità afferenti all'utile esperimento della mediazione disposta ex officio, sulle quali, con queste brevi considerazioni, si intende richiamare l'attenzione.

Gli aspetti che verranno affrontati sono tre: 1) funzione della mediazione delegata e ruolo dei soggetti coinvolti; 2) causa transattiva dell'accordo conciliativo raggiunto all'esito della mediazione delegata; 3) necessità ed utilità dell'informativa ex art.4, comma 3, del d.lgs. n.28/2010 resa al convenuto;


§.1. FUNZIONE DELLA MEDIAZIONE DELEGATA E RUOLO DEI SOGGETTI COINVOLTI


1.1. L'ordinanza in esame è di notevole interesse, in quanto coglie quel profilo della mediazione delegata (ma, invero, della mediazione civile ex d.lgs. n.28/2010 più in generale) che allo stesso tempo ne costituisce la forza ed il punto debole: l'immanente ricognizione operosa dei vantaggi di pervenire ad un accordo regolatore dei reciproci interessi in conflitto nell'esercizio della propria autonomia negoziale, in luogo di una decisione giurisdizionale.


1.2. A tal riguardo, il Tribunale di Firenze pone un incontrovertibile paletto: la disposizione ex officio dell'esperimento (obbligatorio) della procedura di mediazione civile presuppone che il giudice che la dispone abbia effettuato, ed esitato positivamente, la valutazione della disponibilità ad una “definizione concordata” della lite tra le parti, sostitutiva della della decisione giudiziale; e ciò, rileva il Tribunale di Firenze, deve avvenire “nel colloquio processuale con i difensori”.


1.3. E' fuor di dubbio: il Tribunale di Firenze ha fatto centro. Per un verso, infatti, la mediazione delegata non può diventare un espediente per il giudice che decide di non decidere; e per altro verso, gli avvocati, procuratori nel giudizio, con l'accettazione dell'incarico di rappresentanza e difesa nel giudizio, assumono anche l'incarico di avvocati negoziatori per l'ipotesi, espressamente prevista dalla legge, che nel corso del giudizio il giudice esplori la possibilità di pervenire ad un accordo sostitutivo della sentenza, che diviene, uno dei modi “alternativi” di estinzione fisiologica del processo.


1.4. L'interessante ordinanza del Tribunale di Firenze ha il merito di avere messo in evidenza il fatto che la previsione della mediazione delegata trova una logica e sistematica ragione di essere solo se si riconosce che, nell'evoluzione legislativa dettata dall'esigenza di risolvere le controversie in via alternativa alla decisione giudiziale, l'estinzione fisiologica del processo non si esaurisce più nella pronuncia della sentenza, o del provvedimento giurisdizionale richiesto, ma trova luogo anche nell'accordo di conciliazione (recte: di transazione) all'esito dell'esperimento di una procedura di mediazione delegata.


1.5. A parte va considerata la conciliazione ex art.185 bis c.p.c., della quale dovrebbe farsi applicazione nelle cause c.d. seriali, ovvero, di norma, in quelle cause in cui la ricognizione dei vantaggi ad una soluzione alternativa alla decisione giurisdizionale è, per così dire, in re ipsa, e non necessita di essere enucleata attraverso apposite sessioni di mediazione con l'ausilio maieutico del mediatore. E, quindi, dovrebbe riguardare le controversie “conciliabili”, piuttosto che quelle “transigibili”. Anche se, ovviamente, la proposta del giudice ex art.185 bis c.p.c. non potrà configurare una anticipazione di giudizio, essa potrà raggiungere il suo scopo se offre una soluzione reciprocamente vantaggiosa per le parti prossima ad un'equa applicazione dei principi regolatori della materia oggetto del processo.

1.6. Continuando nell'esame della ordinanza del Tribunale di Firenze, non può non rivolgersi la dovuta attenzione all'incidentale contenuta nel dispositivo della stessa, che fa salva l'esistenza di questioni pregiudiziali ostative alla procedibilità della mediazione.


1.7. Con il dispositivo della ordinanza in esame, infatti, il Tribunale di Firenze, a conclusione delle sue premesse, fissa la enucleata regola che l'esperimento della procedura di mediazione delegata non può essere solo una pura formalità, ma può ritenersi esperita solo se è effettivamente avvenuta (e consta con puntualità dal verbale, aggiungo io) la esplorazione della (o di una) zona di possibile accordo dirimente. Al contempo, però, il Tribunale di Firenze prende in considerazione la concreta possibilità che esistano questioni pregiudiziali che impediscono la procedibilità della mediazione, e, pertanto, fa salve queste ipotesi.


1.8. A ben vedere si tratta di una incidentale tutt'altro che di secondaria importanza, atteso che essa introduce ad altre problematiche, di ordine più strettamente processuale, di pratica rilevanza, alcune delle quali ho avuto modo di sollevare con il mio articolomediazione delegata e continenza ex art.39, comma 2, c.p.c.: brevi note a margine dell'ordinanza del Tribunale di Verona del 27 gennaio 2014 (pubblicato su questo quotidiano giuridico).


1.9. Ebbene, il Tribunale di Firenze, pur occupandosi principalmente dell'aspetto per così dire dei presupposti sostanziali della mediazione delegata (recte: di una funzionale mediazione delegata), non trascura di considerare le incombenti verifiche di ordine per così dire processuale, o di procedibilità della mediazione. Quest'ultima, infatti, presuppone, per esempio, un giudice competente, con competenza incontrovertibilmente radicata. Altri aspetti rilevanti da considerare da parte del mediatore “delegato” sono: quello della competenza dell'ODM; quello della verifica dell'integrità del contraddittorio e della sussistenza della rappresentanza, laddove un difetto di litisconsorzio, o di rappresentanza, fossero sfuggiti in sede giudiziaria. La disponibilità dei diritti che eventualmente venissero coinvolti in una ipotesi d'accordo sulla base di una zona di possibile accordo che va oltre l'oggetto del giudizio, e così via.


1.10. In pratica, il giudice che dispone la mediazione delegata dovrebbe assolvere a tutti quei controlli omologatori propedeutici che nella mediazione ante causam sono svolti (o dovrebbero essere svolti) dal mediatore. A questi, poi, è riservata (oltre ad una propedeutica verifica di riscontro) la messa a punto:

a) della ricognizione operosa delle parti (dopo che il giudice ne ha appurato la sussistenza nel confronto esplorativo con i difensori processuali) sui vantaggi di pervenire ad un accordo alternativo alla decisione giurisdizionale;

b) di una riepilogativa vantaggiosa ipotesi di accordo transattivo.


1.11. In definitiva, se è vero che il giudice, anche nel rispetto della ratio della normativa comunitaria, non potrà “obbligare le parti a far pace”, è innegabile che la forza della mediazione delegata consiste nella possibilità per il giudice di “obbligare le parti a smettere di litigare” (sia pure nell'arco di tempo necessario per l'esperimento della mediazione), e nel prendere atto di quanto meglio sia cooperare per regolare in autonomia negoziale i propri interessi in conflitto.


1.12. Vero è che il funzionamento in concreto del congegno giuridico in esame ha un punto debole fatale, che si annida nel fatto che il contendente affatto determinato a smettere di litigare, e resistente alla mediazione, ha dalla sua parte il fatto che egli rischia l'applicazione di “sanzioni” solo se il giudice “darà ragione al mediatore”, sia pure in parte (vedi art.13 del d.lsg. n.28/2010); tuttavia, a parte il fatto che ciò può accadere pur nella convinzione che ciò non possa accadere, deve mettersi in conto, inoltre, che il giudice (sia pure entro i limiti consentiti) può sempre fare applicazione dell'art.116 c.p.c. e dell'art.96 c.p.c. (l'art.13, comma1,del d.lgs. n.28/2010 fa espressamente salva l'applicazione, in ogni caso, dell'art.92 e dell' art.96 c.p.c.).


1.13. Il che tira in ballo il fatto che il compito del procuratore in giudizio di difendere i diritti della parte rappresentata è inscindibile con il suo ulteriore compito di prudente procuratore che si fa abile negoziatore per sottrarre la parte rappresentata all'incombente rischio di non vedersi riconoscere (o riconoscere integralmente) i diritti vantati, o di non vedere riconosciuta la fondatezza della sua resistenza opposta alle pretese avversarie.


1.14. Per non dire di tutte quelle ipotesi in cui, per un adeguato e soddisfacente assetto del rapporto, o dei rapporti controversi, tra le parti, diventa fisiologico sostituire la “decisione del giudice” con un mediato ”'accordo tra le parti”, che consenta di esprimere la loro autonomia negoziale a vantaggio dei reciproci interessi. Si pensi, per esempio, all'ipotesi di una divisione transattiva, o all'assestamento di complesse situazioni patrimoniali, o di rapporti fondiari, o di vicinato, o ad ipotesi analoghe a quella oggetto di esame da parte del Tribunale di Firenze.


1.15. Dunque, è evidente che il Tribunale di Firenze ha il merito di mettere tutti di fronte al re nudo: il comma 2 bis dell'art.5 del d.lgs. n.28/2010 non è compatibile con la ratio della mediazione disposta ex officio dal giudice nel corso del processo. Ma, a ben vedere, il re potrebbe essere ancora più denudato, sol che si tenga conto che la norma di cui al citato art.5, comma 2 bis, non si allinea nemmeno con l'essenza della mediazione ante causam, ovvero con la mediazione in sé, come individuata alla luce di queste riflessioni sulla normativa di riferimento, a margine dell'ordinanza in esame.


1.16. Le attività che l'art.8 del d.lgs. n.28/2010 riserva al mediatore in occasione del primo incontro, nel caso della mediazione delegata dovrebbero essere assolte dal giudice, nel senso che non dovrebbe pervenirsi ad una disposizione ex officio di mediazione senza avere prima compiuto le verifiche di cui sopra si è detto.


1.17. Non può (o meglio non deve) escludersi che una delle parti, o entrambe, aderiscano all'invito del giudice “per non dispiacerlo”. In tal caso avrebbe luogo la “messa in scena” che, nello spirito della norma enucleata correttamente dall'ordinanza in esame, deve scongiurarsi.


1.18. Il che richiede professionalità degli avvocati difensori in giudizio, ed apprezzamento di siffatta professionalità da parte del giudice, che deve ravvisare nella “sincerità” delle parti processuali (sul fatto che non v'è volontà di accordo) un comportamento da valutare positivamente, piuttosto che considerarlo come un ostile, od ostruzionistico, atteggiamento da punire.


1.19. E' sin troppo evidente, poi, che contare sul fatto che le parti “non vorranno dispiacere il giudice”, non esclude che la parte convenuta nel processo (che non abbia fatto mistero al giudice di non essere disponibile alla mediazione), può non partecipare alla procedura, con finalità paralizzatorie del processo giudiziario (visto che l'esperimento della procedura è obbligatoria, e visto che il difetto di un effettivo esperimento non fa avverare la condizione di procedibilità).


1.20. Pertanto, a parte l'applicazione dell'art.8, comma 4 bis, del d.lgs. n.28/2010 (da ritenere compatibile ed applicabile anche nel caso di mediazione delegata), alla parte diligente, e soprattutto all'attore, deve essere offerta la possibilità di ritornare davanti al giudice anche in caso di mancata partecipazione dell'altra parte alla mediazione, o di sua resistenza (manifestata in occasione del primo incontro) alla continuazione della procedura di mediazione: se il convenuto si rende assente in mediazione, o non disponibile all'esperimento della stessa, ma non si offre all'attore una uscita di sicurezza (o meglio un rientro di sicurezza nel giudizio) finisce che il meccanismo si inceppa.


1.21. Ecco perché questo rischio deve essere già scongiurato preliminarmente da parte del giudice, il quale deve verificare che le parti siano animate da sincera convenienza per la sostituzione della decisione giurisdizionale con un accordo, da loro medesimi regolato, con l'ausilio del mediatore, il cui compito di facilitatore non si esaurisce nel far tirare fuori dalle parti in contesa la volontà di accordarsi, ma si estende anche alla individuazione dell'assetto regolatore ritenuto vantaggioso da entrambe le parti.


1.22. Il che porta a chiedersi se il mediatore deve essere anche competente a tradurre tecnicamente in formale atto di transazione la sua proposta di accordo, e, dunque, se la sua proposta debba essere formulata tecnicamente in maniera adeguata, e tale da potere essere adottata, senz'altra attività, dalle parti; o se, invece, il mediatore è tenuto ad enucleare solo una possibile soluzione conciliativa (uno schema della stessa, mediante la puntuazione del possibile accordo), lasciandosi agli avvocati delle parti la traduzione, tecnicamente, della soluzione individuata, e lo sviluppo dei punti essenziali fissati, in un atto formale di transazione.


1.23. A mio avviso, non si potrebbe (e dovrebbe) prescindere né dell'uno né dell'altro apporto, purché l'apporto degli avvocati si inserisca nella mediazione solo in senso facilitativo, per la individuazione, sotto il profilo tecnico, delle clausole necessarie a formalizzare, nel rispetto dei reciproci interessi delle parti, la soluzione frutto di mediazione, e che risultino in ogni caso clausole ligie al rispetto dell'ordine pubblico e delle norme imperative.


1.24. Ciò, evidentemente, per scongiurare che il processo si trasferisca in sede diIl successo, e l'utile esperimento, dunque, della mediazione delegata, dipende dal fatto che la lite giudiziale non si trasferisca davanti al mediatore, nel senso che lo spirito che deve animare le parti nella procedura di mediazione delegata deve essere di cooperazione, di concorde e comune ricerca operosa di una autonoma soluzione regolatrice, reciprocamente soddisfacente e vantaggiosa per i rispettivi interessi delle parti in causa.


1.25. Il successo, e l'utile esperimento, dunque, della mediazione delegata, dipende dal fatto che la lite giudiziale non si trasferisca davanti al mediatore, nel senso che lo spirito che deve animare le parti nella procedura di mediazione delegata deve essere di cooperazione, di concorde e comune ricerca operosa di una autonoma soluzione regolatrice, reciprocamente soddisfacente e vantaggiosa per i rispettivi interessi delle parti in causa.


1.26. Giova tenere presente che è già insito nel codice di procedura civile il principio secondo cui la decisione che definisce il giudizio non è solo giudizio sull'oggetto di causa, ma anche giudizio sul comportamento delle parti (vedi art.91, 92 e 96 c.p.c.), chiamate a valorizzare la soluzione conciliativa o transattiva alternativa alla decisione giurisdizionale. E' in questo sistema già dato che si innesta il corrispondente sistema delineato dal d.lgs.n.28/2010, che, infatti, con l'art.13, comma 1, fa salva, come si è detto, l'applicabilità del'art.92 e 96 c.p.c.


1.27. In altri termini, deve prendersi atto che la negoziazione è il nuovo, moderno, remedium, e l'avvocato deve saperne fare proficua utilizzazione, avendo la legge italiana riservatogli il moderno ruolo, ibrido, ma ormai ineluttabile, di “patrocinatore negoziale”: transigere gli interessi in conflitto non significa rinunciarvi ed impoverirsi, ma tutelarli ed avvantaggiarsene in un contesto di regolamento degli stessi espressione della propria autonomia negoziale. Ovviamente, fatto salvo il remedium giurisdizionale -che infatti la legge sulla mediazione fa salvo- ogniqualvolta il torto subito esige immediata, o insostituibile, tutela giurisdizionale.


1.28. In assenza di questo essenziale presupposto, aderire all'invito del giudice per “non dispiacerlo”, e, dall'altra parte, disporre ex officio la mediazione sulla semplice scorta del ragionamento che “tentar non nuoce”, può rivelarsi un affaticamento del processo, una dilazione non giustificata dello stesso, ed un'ipotesi rispetto alla quale, una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art.7 del d.lgs. n.28/2010 dovrebbe portare ad escluderne l'applicazione in tutti i casi in cui non è dato evincere che sussistesse il predetto presupposto per disporre utilmente la mediazione ex officio.


§.2. SEGUE: CAUSA TRANSATTIVA DELL'ACCORDO CONCILIATIVO RAGGIUNTO ALL'ESITO DELLA MEDIAZIONE DELEGATA


2.1. Ricognizione e ricerca operosa di un possibile, adeguato, e soddisfacente, accordo sostitutivo della decisione giudiziale: è fuori dal sistema ritenere che è proprio questa l'utile funzione della mediazione delegata?


2.2. A mio avviso è proprio questa la funzione della mediazione delegata, ed essa si caratterizza, rispetto all'istituto della conciliazione giudiziale ex art.185 bis c.p.c., per il fatto che, verificata da parte del giudice la sussistenza dei presupposti di una proficua ricerca di un possibile adeguato e soddisfacente accordo, l'attività di mediazione è volta appunto a ricercare la zona di possibile accordo; mentre nella conciliazione giudiziale deve potersi prescindere da una attività di mediazione nella ricerca della soluzione più adeguata, essendo possibile al giudice formulare una proposta conciliativa sulla semplice scorta della oggettivizzabile valutazione degli interessi in gioco.


2.3. Quindi, alla luce di ciò, il fine e l'esito della mediazione delegata è da individuare nella enucleazione di un regolamento transattivo, e dunque, sempre nella formulazione di una proposta. La normativa di riferimento è data dall'art.11, comma 4, ed art.13 del d.lgs. n.28/2010: se la conciliazione non riesce il mediatore forma processo verbale con l'indicazione della proposta. Dal che si evince che non v'è esaustiva mediazione ed esaurimento della stessa senza ricerca dell'accordo, sulla base di una concreta proposta conciliativa; “la sanzione” ex art.13 è correlata, infatti, alla corrispondenza o meno, della decisione del giudice, ad una proposta di conciliazione.


2.4. Tuttavia, la situazione non può del tutto equipararsi a quando le parti si rivolgono al notaio perché sia rogato un atto regolatore e di assetto dei rispettivi connessi interessi, stante che:

a) per un verso, nel caso in cui ci si rivolge al notaio l'accordo è già individuato dalle parti nel suo nucleo causale, necessitando solo di essere tecnicamente formalizzato, e stante che, in tal caso, manca la necessità di ricerca della volontà di accordarsi (ovvero della convenienza a farlo), la quale già preesiste;

b) per altro verso, v'è da considerare che anche se l'accordo all'esito della mediazione fosse un atto di trasferimento di diritti reali, o di costituzione di essi, o di trasferimento di beni in genere, accertativo per esempio, o comunque, per dirla come l'art.11, comma 3, del d.lgs. n.28/2010, uno dei contratti per cui ci si può rivolgere al notaio, poiché ad esso si perviene attraverso una attività di mediazione dei diritti disponibili in contesa, esso riveste natura di accordo all'esito di conflitto mediato, e di ciò si darà atto causalmete.


§.3. NECESSITA' ED UTILITÀ DELL'INFORMATIVA EX ART.4, COMMA 3, DEL D.LGS. N.28/2010 RESA AL CONVENUTO


3.1. Nel contesto di queste considerazioni si passa a considerare un altro importante aspetto del rapporto processo-mediazione delegata, messo in luce dall'ordinanza in esame: la questione della necessità ed utilità della informativa ex art.4, comma3, del d.lgs. n.28/2010 al convenuto.


3.2. A ben vedere, alla luce dell'esame, anche sistematico, del d.lgs. n.28/2010, è perlomeno dubbio che l'informativa ex art.4, comma 3, debba essere resa anche alla parte convenuta, salvo considerarne l'utilità alla luce dell'art.5, comma 2, che prevede la possibilità della mediazione delegata in corso di causa, ed in ordine alla quale, l'ordinanza del Tribunale di Firenze, in esame, ha il pregio di evidenziare in che misura può risultare necessaria ed utile una siffatta informativa resa anche al convenuto.


3.3. Fuori dal contesto applicativo dell'art.5, comma 2, del d.lgs. n.28/2010, e dalla puntualizzazione di siffatta possibilità di mediazione disposta ex officio nel corso di causa, l'informativa resa al convenuto potrebbe ingenerare disguidi, come nel caso del convenuto avanti al Tribunale che -pur avendo da sollevare eccezioni di merito strictu sensu, o addirittura proporre domande riconvenzionali, o chiedere di essere autorizzato alla chiamata del terzo- confidando sull'informazione della esistenza di una soluzione alternativa alla costituzione in giudizio (perché di questo evidentemente si tratterebbe), non si costituisca tempestivamente, incorrendo in decadenza.


3.4. Non vale, infatti, a mio avviso, richiamare l'art.5, comma 6, del d.lgs. n.28/2010, stante che non v'è alcun raccordo tra la proposizione di una istanza di mediazione da parte del convenuto in giudizio ed il processo già pendente: non è stata prevista alcuna sospensione del processo, o differimento dell'udienza, tale da salvaguardare il convenuto che non si costituisca in giudizio per avere, eventualmente, optato per la mediazione.


3.5. Qualunque istanza, da parte del convenuto, al giudice adito dall'attore, presuppone la costituzione in giudizio del convenuto, ma se il convenuto non si costituisce, chi avvisa il giudice che il convenuto ha optato per la mediazione? e se pur il giudice ne venga a conoscenza, quale norma assicura al convenuto che il giudizio automaticamente non proseguirà in sua contumacia ? inoltre, il fatto che l'attore, avendone facoltà, non ha fatto ricorso alla mediazione non è già significativamente indicativo del suo orientamento a riguardo ?


3.6. L'interpretazione sistematica, e sulla base della ratio legis, del citato art.5, comma 6, non lascia escludere, infatti, che lo stesso riguarda la parte che dovrebbe agire in giudizio, prima di introdurlo, e al fine di non introdurlo, e non anche la parte convenuta nel giudizio già pendente (e per di più soggetto a penalizzanti decadenze). Come conferma anche il fatto che quando la mediazione è condizione di procedibilità, l'eccezione di improcedibilità rientra tra quelle che il convenuto (evidentemente costituitosi in giudizio) ha l'onere di eccepire nel giudizio. E che solo per il caso di mediazione c.d. obbligatoria, il giudice, quando rileva il mancato esperimento della procedura di mediazione assegna termine per la presentazione della relativa istanza e rinvia la causa fissando la nuova udienza a dopo la scadenza del termine di cui all'art.6 (art.5, comma 1 bis, ultima parte).


3.6. Se, però, si tiene presente che nel corso del giudizio è possibile che il giudice disponga ex officio l'esperimento della procedura di mediazione ex art.5, comma 2, del d.lgs. n.28/2010, l'informativa anche al convenuto, adeguatamente formulata nella prospettiva di una possibile mediazione disposta ex officio nel corso di causa, acquista necessità e pratica utilità, come evidenziato dal Tribunale di Firenze.




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