Data: 28/04/2014 19:30:00 - Autore: Avv. Antonio la Penna
Avv. Antonio la Penna - Con sentenza n. 32 del 12.02.2014, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 4 bis e 4 vicies ter del d.l. n. 272/2005, convertito, con modificazioni, in l. n. 49/2006 (c.d. legge Fini-Giovanardi) che aveva modificato l'art. 73 del T.U. sugli stupefacenti di cui al d.p.r. n. 309/90.
In estrema sintesi, la questione di legittimità era stata sollevata dalla Cassazione per violazione dell'art. 77, comma 2, della Costituzione che regola la procedura di conversione dei decreti legge, poiché la riforma era stata effettuata inserendo nel decreto (che, nella specie, riguardava solo norme che disciplinavano la sicurezza ed il finanziamento per le olimpiadi invernali di Torino del 2006), con un maxiemendamento al disegno di legge per la conversione, disposizioni normative prive di attinenza e coerenza con l'oggetto principale del provvedimento d'urgenza adottato dal governo.
Con l'incostituzionalità delle disposizioni inserite dalla legge Fini-Giovanardi, rientra sostanzialmente in vigore, per espressa motivazione enunciata dalla Corte, "l'art. 73 del d.p.r. n. 309 del 1990 nel testo anteriore alle modifiche con queste apportate".
Il ripristino della previgente disciplina, con efficacia retroattiva, come se le norme annullate non fossero mai venute alla luce per invalidità originaria, ripristina altresì la distinzione giuridica e di pena tra droghe pesanti e leggere che la Fini-Giovanardi aveva previsto in maniera indifferenziata (dai 6 ai 20 anni) aggravando la pena da infliggere nei confronti di chi commetteva un reato in materia di droghe leggere e, paradossalmente, andando a sgravare le pene previste in materia di droghe pesanti.
Pertanto, l'intervento "demolitorio" della Corte ha reintrodotto il regime sanzionatorio differenziato previgente, maggiormente gravoso per le condotte illecite aventi ad oggetto le droghe pesanti (art. 73, comma 1, d.p.r. n. 309/90, pena della reclusione da 8 a 20 anni, oltre la multa da 25.822 a 258.228 euro, per le sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle I e III dell'art. 14) e più favorevole per le droghe leggere (art. 73, comma 4, d.p.r. n. 309/90, pena della reclusione da 2 a 6 anni, oltre la multa da 5.146 a 77.468 euro, per le sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle II e IV dell'art. 14).

Ricadute sui processi in corso


Il primo riflesso della dichiarazione di incostituzionalità delle disposizioni introdotte dalla legge Fini-Giovanardi nel T.U. Stupefacenti riguarda la disciplina applicabile ai processi in corso, poiché la riviviscenza del trattamento sanzionatorio previgente comporta, come premesso, una maggiore severità nei riguardi dei reati concernenti le "droghe pesanti" rispetto alla disciplina caducata.
La questione viene affrontata espressamente dalla Consulta, la quale, richiamandosi alla propria precedente giurisprudenza, ha affermato che è compito del giudice impedire che la dichiarazione di illegittimità costituzionale vada a detrimento della posizione giuridica dell'imputato, "tenendo conto dei principi in materia di successione di leggi penali nel tempo ex art. 2 c.p. che implica l'applicazione della norma penale più favorevole".
Da ciò consegue, dunque, che, nei processi in corso per reati concernenti le droghe pesanti, dovrà ritenersi applicabile la normativa dichiarata incostituzionale qualora dalla stessa derivino effetti più favorevoli per l'imputato.

Effetti sui termini di custodia cautelare


La decisione della Corte avrà dei significativi risvolti anche in ordine ai termini di custodia cautelare.
In particolare, per le droghe leggere, in virtù dell'intervento dichiarativo di incostituzionalità degli articoli 4 bis e 4 vicies ter del d.l. n. 272/2005 (convertito in l. n. 49/2006) che ha determinato la reviviscenza del precedente testo dell'art. 73 con il conseguente ripristino di una pena edittale, nel massimo, inferiore a quella dichiarata incostituzionale, deve ritenersi vadano applicati i termini cautelari "di favore" di cui allo scaglione minimo previsto dall'art. 303 c.p.p.

La sopravvivenza delle norme successive


Altra riflessione sulle ricadute della sentenza della Corte Costituzionale concerne la questione della sopravvivenza delle norme successive rispetto a quelle impugnate. In merito, la Corte, ha sottolineato che "rientra nei compiti del giudice comune individuare quali norme, successive a quelle impugnate, non siano più applicabili perché divenute prive del loro oggetto (in quanto rinviano a disposizioni caducate) e quali, invece, devono continuare ad avere applicazione in quanto non presuppongono la vigenza degli artt. 4-bis e 4 vicies ter".
Pertanto, si deve ritenere esclusa l'estensione della pronuncia sia al comma 5-ter dell'art. 73, introdotto dal d.l. n. 78/2013 (convertito in l. n. 94/2013) sulla sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità che al comma 5 dello stesso articolo, introdotto dal d.l. n. 146/2013 (convertito con modificazioni in l. n. 10/2014), per i fatti c.d. di "lieve entità". In merito, la Corte ha espressamente affermato come nessuna incidenza sulle questioni sollevate possono esplicare le modifiche apportate all'art. 73, comma 5, del d.p.r. n. 309/1990 dall'art. 2 del d.l. n. 146/2013 ("Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria"), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della l. n. 10/2014, per cui i fatti di lieve entità commessi a far data dal 24.12.2013 continueranno ad essere disciplinati dall'art. 2 del citato decreto legge, in base al quale: "Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, le modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e la quantità delle sostanze è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 3.000 a euro 26.000".

Ricadute sulle condanne definitive


La sentenza della Consulta ha forti ricadute, infine, nella fase dell'esecuzione, ovvero in tutti quei casi in cui nel frattempo sia intervenuta sentenza passata in giudicato, nel vigore della previgente disciplina dichiarata incostituzionale, nella parte, ovviamente, relativa al trattamento sanzionatorio e non alla condotta incriminata.
Probabilmente, in tali casi, verranno sollevate questioni di legittimità costituzionale dell'art. 673 c.p.p. per violazione degli artt. 3 e 27, comma 3, Cost., collegati al mancato rispetto del principio sancito dall'art. 7 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo (CEDU).
In base a quanto disposto dall'art. 673 c.p.p., infatti, il giudice dell'esecuzione può revocare la sentenza di condanna o il decreto penale solo se, in seguito all'abrogazione o alla dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice, il fatto non sia più previsto dalla legge come reato. Nel caso de quo, invece, è intervenuta solo una modifica nella quantificazione della pena. Stando, quindi, alla lettera della norma, il giudice dell'esecuzione si vedrà costretto a rigettare eventuali richieste avanzate da parte di soggetti già condannati.
Ciò darebbe luogo, tuttavia, ad una disparità di trattamento per la diversa sorte spettante agli imputati nei giudizi ancora pendenti e da più parti si auspica che i giudici dell'esecuzione optino per un'interpretazione della norma orientata alla luce delle modifiche intervenute nel quadro legislativo in materia di stupefacenti.
In merito, occorre sottolineare che sul tema generale dell'incidenza della dichiarazione di illegittimità costituzionale di norme penali sostanziali diverse dalle norme incriminatrici, sul giudicato, è pendente ricorso alle sezioni unite penali della S.C. la cui trattazione è fissata per il prossimo 24 maggio.
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