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Data: 04/05/2014 10:00:00 - Autore: Avv. Luisa Camboni
“Separarsi si, ma senza farsi male”. Questo è il filo conduttore che mi accompagna quando
nel mio studio si rivolgono i coniugi per separarsi.
Spiego loro che la separazione è sì un
atto doloroso della vita che non significa però fallimento, distruzione, ma un
cambio di vita determinato dal venir meno di quell'affectio coniugalis che un tempo li legava. Se è vero che la separazione è
dolorosa, lo è ancor di più vivere in una famiglia infelice, conflittuale, scombinata,
sofferente … in una famiglia in apparenza integra, ma in realtà separata.
Viviamo in una società in continuo
cambiamento; infatti il concetto tradizionale di famiglia si accompagna
attualmente ad un concetto di famiglia allargato, direi trasformato che include
unioni anche dello stesso sesso, legalizzate in vari Stati. Di conseguenza
anche il diritto di famiglia ha dovuto adeguarsi ai tempi, anche se nel nostro
ordinamento giuridico non è ancora prevista alcuna normativa in merito.
Molti mi chiedono che penso del
matrimonio. Rispondo: ”Credo nell'amore,
nella famiglia … finchè dura”. Quando purtroppo si giunge al capolinea
dell'amore penso che la soluzione migliore sia quella di prendere strade
diverse nel reciproco rispetto, senza farsi del male. E quando ci sono figli? La situazione diventa più difficile da gestire
perché maggiori sono le responsabilità. E' proprio in questo momento che entra
in gioco il ruolo del buon avvocato. Consiglio di nascondere il malumore,
cerco, tento di farli ragionare civilmente precisando che al primo posto
vengono i figli. Prospetto loro che la soluzione migliore, in assenza di
conflitto, è quella di mantenere inalterato l'ambiente in cui i figli hanno
vissuto operando, se la casa coniugale lo permette, una divisione in modo da
ricavarne due unità abitative (cosiddetto “nesting”:
ossia la conservazione del nido). In questo modo la casa in cui la famiglia ha
vissuto viene conservata, non viene venduta, né svuotata dei ricordi della vita
passata. E ancora, il coniuge non
collocatario ha la possibilità di stare più vicino ai figli. Ma a trarre
maggior vantaggio da questa soluzione sono i figli i quali continuano a
mantenere i loro ritmi di vita e cioè la scuola, gli amici, gli svaghi … ciò
per evitare agli stessi quel malessere psico - fisico che può derivare da un
inaspettato cambiamento dello stile di vita.
E' bene quindi trovare un accordo e
non utilizzare i figli come oggetti, come ricatto, ma comportarsi sempre
civilmente per evitare che soffrano.
Spiego, ancora, che “separazione” non
significa necessariamente la fine della famiglia perché, nonostante le vite si
dividano, è possibile mantenere un sincero affetto reciproco partecipando - ad
esempio - entrambi agli eventi più importanti della vita dei figli anche se,
nella maggior parte dei casi, è difficile ottenere questo, infatti separarsi
diventa una guerra per molti, sia dal lato affettivo che economico.
Nei casi di maggior conflitto anche
il mio lavoro diventa più pesante e, in questo caso, accanto all'applicazione
della Legge, che è il mio primo punto di riferimento, devo appoggiarmi anche
alla tecnica del problem solving
cercando di trovare la soluzione migliore. Preciso che la cosa più importante è avere sempre rispetto
dell'ex coniuge davanti ai figli; mai parlare male o diffamare. Dico loro: “ Ricordatevi
siete persone adulte ed è importante comportarsi come tali ”.
Così concludo:
Separarsi sì, ma senza farsi del male. Al coniuge che si rivolge al mio studio
dicendomi " Voglio rovinare il mio ex, punirlo nel peggiore dei modi"
con eleganza rispondo " Non si è rivolto allo studio giusto."
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