Data: 02/06/2014 11:00:00 - Autore: Avv. Federica Federici

Avv. Federica Federici - f.federici@studiolegalefederici.it

L'ambito della tutela del mercato e della concorrenza investe e riguarda anche quello della tutela del consumatore

Si affronti ad esempio il problema di un contratto con un'impresa che abbia partecipato ad una intesa illecita o abbia posto in essere condotte anticonvenzionali o restrittive della libertà di concorrenza, quindi si è concluso un contratto avente ad oggetto e violativo del  - e per effetto del quale si versa in - tale divieto. 

Nel 2005 la Cassazione ha pronunciato una sentenza che inaugura l'orientamento a favore del riconoscimento del danno a favore del consumatore, danno generato dalla violazione della normativa antitrust (L.1990/287) inquadrandolo nell'alveo dell'art. 2043 c.c., conclusione cui è giunta in virtù del corretto funzionamento del mercato quale bene tutelato dalla suddetta normativa. 

Con questa pronuncia e quelle che seguiranno (2007-2008) si supera quindi la nozione di concorrenza legata esclusivamente al rapporto tra imprenditori (2598 c.c. – concorrenza sleale)  e pertanto di un riconoscimento al risarcimento del danno solo a favore degli imprenditori. 

Tale nuovo scenario non sembra tuttavia risolvere un ulteriore aspetto della tematica, quello relativo alla sorte del contratto “anticoncorrenziale” concluso tra imprenditore e consumatore. Sia a livello dottrinale che giurisprudenziale infatti non c'è condivisione di vedute e orientamento. Sulle norme di invalidità che colpiscono i cosiddetti contratti a valle vi è chi sostiene la tesi della nullità o della nullità di protezione; chi sostiene la tesi della nullità quale effetto di un comportamento illecito tenuto nel corso delle trattative cumulabile con il rimedio risarcitorio per responsabilità precontrattuale; altri ancora si muovono lungo il binario dell'annullabilità o della rescindibilità. Infine vi è chi fa salva la validità del contratto salvo il risarcimento del danno. 

Ciò su cui vi è concordia di vedute è sicuramente l'esigenza di garantire la concorrenzialità del mercato come libera manifestazione dell'iniziativa economica (art. 41 Costituzione) e quindi non avallare vincoli contrattuali basati su intese restrittive della concorrenza, dalle quali il consumatore finale subisce un danno ancorché non partecipe di un rapporto di concorrenza con gli imprenditori stessi. Danno da considerarsi ingiusto e quindi risarcibile. Atteso quindi che la disciplina della concorrenza non è la legge dei soli imprenditori, ma di tutti i soggetti del mercato e che un pregiudizio specifico ha effetti su tutti, un contratto a valle che eluda la scelta del consumatore è un contratto che viola interessi rilevanti per l'orientamento giuridico integrando  - quanto meno - l'art. 2043 cc (a partire dall'art. 117 Cost.  art 3 e 153 Corte europea fino alla normativa speciale di cui alla L. 1990/287) nel suo carattere di plurioffensività sia verso il bene della concorrenza del mercato, che verso il patrimonio del singolo.

Sulla sorte di tale contratto si è anticipato come si può giungere a diverse conclusioni, alcune come categorie autonome della nullità prevista per legge (l'art. 2 co. 3 della legge antitrust prevede la “nullità ad ogni effetto delle intese violate per legge” e l'art. 1418 c.c. per “violazione di norme imperative”). Inoltre soccorre anche il fatto che prima ancora di essere fenomeni negoziali, l'intesa e il contratto rappresentino elementi della fattispecie illecita e quindi determinino il sorgere del diritto al risarcimento del danno sic et simpliciter. Tale risarcimento consiste nella differenza tra prezzo effettivamente pagato e quello che il consumatore avrebbe pagato in condizioni di effettiva concorrenza. Si tratta quindi di integrare la normativa codicistica con quella speciale, orientando costituzionalmente e comunitariamente la lettura di tali norme e dovendo contemperare e salvaguardare interessi distinti e piani diversi. 

Il favor verso la conservazione del cosiddetto contratto a valle che emerge dalle conclusioni della dottrina e dalle sentenze specifiche dal 2005 in poi, nasce dalla semplice considerazione che se fosse considerato nullo il contratto, la conseguenza necessaria sarebbe che le parti dovrebbero restituirsi quanto ricevuto in esecuzione del contratto e quindi l'intera somma pagata, oltre al risarcimento del danno. Conclusione ritenuta troppo radicale, anche se coerente con il percorso logico svolto dalla Cassazione fin dalla prima pronuncia che ha allargato l'orizzonte della materia facendo rientrare la condotta anticoncorrenziale tra le condotte che violano norme imperative (ordine pubblico economico) rappresentate dalla legge antitrust, pertanto nulle ad ogni effetto. Per questo la dottrina dominante preferisce quindi propendere per l'annullabilità o rescindibilità, in quanto in tali contratti lo scopo illecito non è perseguito da entrambe le parti ma solo da una di esse, mentre l'altra si limita a subirlo passivamente. Anzi i consumatori risultano estranei alla condotta illecita, pur subendone le conseguenze dannose. Pur volendo ricorrere al 1418 c.c. secondo cui il contratto è nullo quando contrario a norme imperative “salvo che la legge disponga diversamente”.

Nelle condotte anticoncorrenziali tuttavia non esiste una norma che prevede l'annullabilità o la rescindibilità, per cui la problematica sembra riportare all'ipotesi della nullità, magari non assoluta quindi fatta valere da chiunque e rilevabile da ufficio. Per questo la norma di riferimento sembra essere l'art. 1421 c.c. Fermo restando che la nullità potrà operare solo a favore del consumatore, parte debole del potere contrattuale e ad oggi tutelato, con il codice del consumo, dalla cosiddetta nullità di protezione. Ad esso peraltro non sarà impedito di invocare il profilo delle responsabilità extracontrattuale ex 2043 c.c. allegando, da un lato un comportamento anticoncorrenziale che ha determinato un incremento  del prezzo di un bene, e dall'altro l'acquisto di tale bene, potendo decidere di mantenere in vita un contratto concluso a prezzi abusivi e quindi di conservarlo evitando la sanzione massima della nullità che non lo favorirebbe in ogni caso.

Tanto che alla collettività risulta sufficiente che venga ripristinata una situazione di effettiva concorrenza nel mercato e colui che ha commesso l'illecito restituisca il sovrapprezzo conseguito abusivamente. Da un lato l'interesse del consumatore specifico alla correttezza, equità e trasparenza dei rapporti, dall'altro quello della collettività al corretto funzionamento del mercato sembrano essere ragionevolmente soddisfatti da una soluzione in senso di nullità di protezione.

Avv. Federica Federici - f.federici@studiolegalefederici.it


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