Data: 17/06/2014 12:32:00 - Autore: Avv. Maurizio Vecchio
Avv. Maurizio Vecchio - www.studiolegalevm.it 
La responsabilità diretta del Giudice per colpa: una seria riflessione impone di ricercare uno spazio di analisi capace di superare lo slogan della politica (contrari e favorevoli) o le dichiarazioni dell'associazione nazionale magistrati che, forse pure comprensibilmente, hanno il sapore di una difesa corporativistica. Non può, infatti,  ritenersi scevra da interesssi particolaristici la pretesa relazione negativa fra indagini per corruzione e previsione di una responsabilità diretta del giudice, così da risultare condizionata , se non inibita, l'attività del Magistrato. Ciò almeno per due ordini di ragioni: non tutti i giudici si occupano di corruzione (o di altre indagini "sensibili"); ma soprattutto l'ipotetico uso distorto di una norma non può giustificarne l'esclusione dall'ordinamento. 
Un approccio concreto ed obiettivo alla questione (certamente delicata) non può prescindere da una prima considerazione di naturale generale: il Giudice, nell'esercizio delle sue funzioni, può sbagliare e può sbagliare per colpa o colpa grave. Se tale assunto è indiscutibile (diversamente verrebbe messo in discussione il principio della fallibilità umana e l'origine del positivismo giuridico ) occorre comprendere se la responsabilità per colpa o colpa grave del Giudice debba trovare una sanzione, almeno di natura civile, nel nostro ordinamento oppure se ad un simile quesito è necessario rispondere negativamente. 
Allo stato la risposta è negativa (l'emendamento che ha introdotto la c.d. Responsabilità diretta dovrà passare al vaglio del Senato). Si rileva, da più parti, la sufficienza dell'attuale disciplina che assicura al danneggiato, in via indiretta, la possibilità di un risarcimento. La normativa, in realtà, si è mostrata, nei fatti, per quello che è: limitata nelle ipotesi, processualmente poco praticabile, insoddisfacente nei risultati. Ma sopratutto manca ogni profilo sanzionatorio direttamente ricollegato o ricollegabile alla eventuale responsabilità colposa, sicchè nemmeno queste disposizioni sono idonee a soddisfare la previsione di date conseguenze per il Magistrato che, violando gli ordinari precetti in materia di responsabilità aquilana, cagiona un danno ad una delle parti del processo. Una sostanziale eccezione ad un precetto con efficacia erga omnes. L'irresponsabilità del Magistrato, funzionario apicale dello Stato, ricorda ottocenteschi privilegi di lignaggio e di casta piuttosto che garanzie di funzioni. 
Appare francamente risibile la pretesa incompatibilità tra responsabilità diretta e lesione dell'indipendenza. Se una delle parti del processo lamenta un errore colposo ed agisce di conseguenza nei confronti del Giudice esercita esclusivamente un proprio diritto. Se di tale diritto ne fa uso strumentale, sarà sempre una giurisdizione ad accertarlo ed a sanzionare, pesantemente, una tale malafede. Se poi la "minaccia" di agire, anche giustificatamente, proviene, direttamente o indirettamente da un "potere forte" , da imputati "eccellenti" e, comunque, con il fine di esercitare indebite pressioni, il nostro ordinamento è già dotato di cautele e tutele rispetto a simili condotte (dalla violenza privata alla più grave ipotesi di estorsione). Ancora meno sostenibili, in una prospettiva di analisi giuridica, la pretesa inefficacia dell'azione della Magistratura in ragione del timore di "imbattersi" in profili di responsabilità nell'esercizio delle funzioni o ancora l'immaginata lesione al principio del libero convincimento come ha sostenuto, in una recente intervista, l'on. Michele Vietti (avvocato e vice presidente del CSM). 
Simili assunti, se letti a contrario, assumono una dimensione inquietante: ai fini di una efficace attività giurisdizionale o per preservare il principio del proprio libero convincimento il Giudice deve poter sbagliare e danneggiare una parte? Le conseguenze di simili ragionamenti non avrebbero limite nell'immaginario e francamente sono poco produttivi rispetto all'obiettivo di chiarire un principio, quello della responsabilità del Giudice, che non può trovare soluzione in particolarismi o esigenze, pur legittime, di corporazione. 
Il tema concreto, quindi, non è quello dell'ammissibilità di una responsabilità civile del Giudice, quanto l'ambito all'interno del quale, può realizzarsi una condotta certamente colposa del Magistrato. La colpa, come noto, si esprime in comportamenti negligenti, imprudenti o privi di perizia.
La negligenza trova ragione in tutte quelle situazioni che denunciano il mancato rispetto di canoni operativi dovuti e che costituiscono un valore soglia minimo di competenza: l'avvocato che propone tardivamente l'impugnazione o il Giudice che dichiara inammissibile il gravame perché tardivo (mentre in realtà tempestivo). Per quanto insolito, un simile errore non è infrequente. A prescindere da ipotetici rimedi processuali è certo il danno cagionato ad una delle parti processuali. Pure il maturare della prescrizione - connesso non ai ritardi organizzativi e strutturali del sistema giustizia - è condotta addebitabile all'incuria. In taluni casi il danno per la persona offesa è, anche moralmente, assai elevato. Si tratta di argomenti sui quali si renderebbe necessario uno "scatto" culturale, atteso che la giurisprudenza della Cassazione , in materia di legge Pinto, è giunta ad affermare che la persona offesa non vanta alcuna aspettativa "economicamente tutelabile" dalla durata delle indagini preliminari. Allo stesso modo tempi lunghi, ad esempio per l'adozione di provvedimenti richiesti dalle parti, sono fonte di danno e possono essere eziologicamente riconducibili a negligenza del Giudice. In tutti questi casi, sinteticamente esposti, non si comprende quale lesione possa derivare all'esercizio della giurisdizione da una norma che preveda la responsabilità diretta del Giudice negligente. Forse, al contrario, avrebbe anche una funzione preventiva , atteso che i procedimenti disciplinari avanti il CSM hanno modalità e termini di avvio assai lontani rispetto a ciò che accade nella realtà. 
Ma pure in termini di imperizia esistono condotte che non possono sottrarsi al principio di una responsabilità diretta del Giudice. L'omessa motivazione su un punto decisivo della controversia può trovare ragione in un comportamento dovuto a scarsa competenza (diversamente sarebbe una macroscopica negligenza). In questo quadro il tema si allarga, poi, all'errore di diritto. Questo non va confuso con l'errore interpretativo ( argomento spesso sfruttato per elidere ben altre responsabilità derivanti da una vera e propria incompetenza) che certamente è estraneo a profili di colpa. Per chiarire meglio il concetto è opportuno un breve parallelismo con altre professioni. Il medico che dimentica la garza è negligente; se invece sutura una ferita in maniera inadeguata può essere imperito; se opera una scelta negativa per il paziente in un intervento di alta neurochirurgia non gli si può certo rimproverare alcunché . Allo stesso modo l'avvocato che dimentica di depositare un ricorso è negligente, mentre sarà incompetente ( imperizia) se consiglia di patteggiare pur in presenza di una prova di innocenza già acquisita. Nulla può,invece, essere rimproverato al legale che opera una scelta strategica a fronte di una posizione processuale complessa. Questi esempi costituiscono ormai patrimonio della giurisprudenza e non si comprendono le ragioni per le quali non possano trovare applicazione nella attività del Giudice. 
Forse apparirà strumentale ma non può non colpire la circostanza che il nostro ordinamento prevede, addirittura, una responsabilità penale ( art. 64 c.p.c.) per il Ctu che agisce con colpa grave nell'espletamento del proprio incarico. Mentre nessuna sanzione è prevista per la figura del Giudice, perito peritorum, in analogo profilo di responsabilità 
Avv. Maurizio Vecchio - www.studiolegalevm.it 


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