Data: 25/06/2014 16:00:00 - Autore: Angelo Casella

ECONOMIA E SOCIETA'. IL LIBERISMO.

di Angelo Casella

1.- I grandi apostoli e banditori del liberismo furono Reagan e la Thatcher. Non a caso grandi amici.

Grazie alla poderosa influenza politica e economica dei due Stati, l'ideologia del libero mercato ha ricevuto una generalizzata diffusione ed applicazione pratica, sopratutto tramite le organizzazioni internazionali e l'estesa applicazione di accordi bilaterali.

Si fece spazio un disegno di unificazione dei mercati, portato avanti dal WTO, destinato a limitare progressivamente i margini di manovra dei governi. Si trattò dunque di una “teoria” economica modellata in funzione del perseguimento di obbiettivi squisitamentepolitici.

A favore del liberismo, si venne a creare in quegli anni, sia negli Usa che in Europa, una pressione politica e mediatica tanto energica da zittire ed emarginare gli economisti che non ne erano convinti. Per i più restii, si esercitò una vera e propria emarginazione salariale: le Università tagliarono i fondi a tutti coloro che non la pensavano in un certo modo.

Si diffuse in tal modo un vero dogmatismo ideologico, un vero catechismo, in realtà privo di fondamento (si veda anche la clamorosa confutazione di T.Herndon, specificamente riguardante il fasullo rapporto stabilito fra debito e Pil). Una omologazione a livello mondiale, con la prevalenza del mercato libero a scapito della protezione sociale. Ormai le fluttuazioni del mercato determinano l'avvenire dei Paesi di tutto il mondo.

E' di comune osservazione che il radicalismo ideologico sia indice di scarse capacità intellettuali e non possiamo che su ciò pienamente concordare. Nel nostro caso, tuttavia, assai più di quelle, vennero messe in gioco le convenienze personali. Ed il risultato fu una generale accettazione del liberismo, sia a livello teorico che pratico.

Il rigore intellettuale è comunque spesso trascurato e ciò non ha consentito di evidenziare che questa idolatria ideologica costituiva una pesante minaccia alla democrazia.

2.- Anche accettando che possa configurarsi seriamente qualcosa che possa definirsi teoria economica liberista, si è di fatto impedito alla democrazia di svolgere il suo compito: scegliere tra diversi modelli economici.

I Trattati della c.d. Europa unita impongono una politica economica liberista. Si può anzi affermare che la c.d. “Costituzione” europea rappresenti la summa delle regole di politica economica liberista (e questo ne spiega anche l' abnorme estensione).

E' normale che in una Costituzione si stabilisca il modello economicoda applicare?

Assolutamente no, in quanto ciò impedisce scelte alternative alle generazioni future. Le modalità stabilite per cambiare la Costituzione europea sono talmente improbabili da renderla di fatto immutabile. In quanto Trattato, non può essere modificato che all'unanimità, non a maggioranza.

In una Costituzione non può trovare posto la fissazione di politiche specifiche, ma solo l'esplicitazione di principi essenziali, atemporali, concernenti i valori della società, i suoi obbiettivi e l'organizzazione istituzionale. Più una regola è dettagliata, meno si adatta alla evoluzione delle esigenze contingenti.

Subordinare, poi, il pieno impiego e la crescita del benessere all'equilibrio di bilancio, alla stabilità dei prezzi, comporta inevitabilmente decrescita e ingiustizia sociale.

Nella società si è consentita la formazione e la progressiva crescita dominante di una parte, l'oligarchia economica, che ha imposto i suoi interessi, mascherandoli variamente, all'intera collettività.

E' nella tradizione storica dei popoli europei, che hanno vissuto il travaglio delle grandi Rivoluzioni, il senso della necessità di custodire la coesione sociale.

Una esigenza che oggi, con l'avvento di élites conniventi con il potere economico, viene sciaguratamente dimenticata.

3.- L'espansione dell'ideologia liberista, già avviata con i primi movimenti “liberal” in Usa e Regno Unito, è stata favorita dalla caduta del comunismo in Russia.

I sostenitori del “mercato” si convinsero di non avere più avversari nè “concorrenza”: non esisteva più un altro sistema economico a fornire l'esempio concreto di un diverso approccio.

L'esperimento del liberismo, venne inizialmente tentato come “terza via” politica, in alternativa a progressisti e conservatori, ma ebbe misero successo.

Il movimento allora, per acquisire una dimensione super partes,venne trasformato in teoria economica, che la pressione politica, già accennata, ed i “tecnici” subito addestrati, assunsero ad un livello supremo: solo il mercato libero poteva consentire alla politica di attingere ai suoi fini.

In realtà, è del tutto improprio qualificare come teoria ” economica” una ideologia che è del tutto politica.

Essa viene infatti ad imporre una specifica strutturazione della società, con l'imposizione di rigidi schemi che condizionano la vita dei singoli membri, determinano la formazione di divisioni sociali, cancellano i servizi, impongono alla collettività la logica della merce (dal lavoro, alle prestazioni sociali).

Nel quadro mistificatorio di accompagnamento, la posizione privilegiata assegnata al capitale è stata assimilata, nel gergo deviato, alla “modernità” e la solidarietà sociale all'arcaismo, al vecchio. E l'Italia, per l'appunto, è diventata, nell'eloquio del “tecnico” Monti, un Paese da modernizzare.

Invece, è il profitto ad essere antico, mentre la solidarietà è nata da una consapevolezza recente. Passare da una economia del lavoro ad una della rendita non è “modernizzare”: è solo grezzo opportunismo.

4.- Parlare, poi, di “esigenze di programma economico” per imporre tagli ai servizi sociali e nuove tasse, è una colossale mistificazione, per nascondere il disegno politico di un nuovo ordine sociale.

Del resto, equivoco ed ingannatorio è in sè l'uso del termine “liberismo” che echeggia del tutto falsamente al concetto espresso dalla parola “liberale”, corrispondente a colui che tiene un atteggiamento ispirato ai principi etici della libertà.

Qui troviamo invece la degradazione di tutti i valori morali, giuridici e politici al livello del mercantile profitto.

Secondo il dettato della c.d. “Scuola di Manchester”, capofila dell'ideologia liberista, “la massima utilità generale è garantita dalla libera competizione, intesa all'utile particolare e svincolata da ogni disciplina“.

Questo dettato, come è evidente, nulla ha a che fare con l'economia: è un programma di gestione della collettività.

Anche Tocqueville individuò i pesanti condizionamenti alla democrazia Usa rivenienti dal suo sistema produttivo, tendente a generare una aristocrazia degli affari ostile alla proprietà pubblica ed allo stato sociale.

Sul piano sia concettuale, sia concreto, è poi da sottolineare che illiberismo è agli antipodi della libertà.

Rammentiamo che qui si parla di collettività, non di individui isolati.

L'uomo immerso in un gruppo accetta con ciò i vincoli della convivenza: la sua libertà d'azione non può essere diversa da quella di tutti gli altri: essa incontra cioè i limiti di quella altrui.

La convivenza impone dei confini alla arbitraria autodeterminazione.

Merita in proposito rammentare l'illuminante trasposizione mitica che Platone traccia nel suo Protagora di questa specifica esigenza. Alla generazione del mondo, gli dei affidarono a Prometeo ed Epimeteo il compito di assegnare ad ogni specie vivente delle specifiche facoltà.

Epimeteo che “non era molto sapiente” conferì ad alcuni animali la forza, ad altri la velocità. Ad alcuni la possibilità di mettersi in salvo con le ali, di nascondersi sottoterra ad altri. Si preoccupò di fornire pelli, peli, zoccoli a seconda delle necessità.

Alla fine, si accorse di aver esaurito tutte le facoltà con gli animali e di aver lasciato l'uomo “nudo, scalzo, scoperto ed inerme“.

Ed ecco allora intervenire Prometeo, che ruba ad Efesto ed Atena il fuoco e l'arte di servirsene. Così, “l'uomo ebbe la sapienza tecnica necessaria per la vita, ma non ebbe la sapienza politica, perché questa si trovava presso Zeus“.

Senza di questa, gli uomini “cercavano di raccogliersi insieme e di salvarsi fondando città: ma, allorché si raccoglievano insieme, si facevano ingiustizie l'un l'altro, sicché, disperdendosi nuovamente, perivano“.

Provvide allora Zeus ad incaricare Ermes di recare agli uomini due doni: Aidòs e Dike, il rispetto e la giustizia, “principi ordinatori di città”.

Ed Ermes domandò a Zeus in che modo dovesse distribuire fra gli uomini giustizia e rispetto, se uniformemente o solo ad alcuni.

E Zeus ordinò che “tutti quanti ne partecipino, perché altrimenti non potrebbero sorgere le città, e chi non sa parteciparvi sia ucciso come un male della città“.

Il racconto platonico sottolinea con semplice evidenza come l'esigenza del convivere esiga la sottoposizione della libertà individuale a precise regole e che l'equilibrio delle ricchezze, con l'attenuazione delle diseguaglianze, è la prima condizione per una società coesa.

5.- Il liberismo pretenderebbe invece che l'individuo si goda i vantaggi della vita nella comunità, comportandosi tuttavia in totale arbitrio, anche per quanto attiene all'accumulo sfrenato delle ricchezze (comunque realizzato grazie all'esistenza proprio della collettività e, il più sovente, sfruttandola direttamente).

Perfino il diritto di proprietà, il più assoluto previsto dal nostro ordinamento, deve essere esercitato “entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi stabiliti dall'ordinamento giuridico” (art. 832 c.c.).

Il possesso di importanti ricchezze conferisce un corrispondente potere che, se non sottoposto a regole, induce a prevaricazioni sui cittadini meno fortunati, deprivandoli delle libertà di cui dispongono.

Il più forte, come ci ricorda Esopo, prevarica chi è più debole, secondo quella che è definita “legge della giungla” per sottolineare che ciò può accadere dove manchino le regole della convivenza, e dove, per l'appunto, manchi una collettività.

La convivenza sociale impone istituzioni in grado di garantire egualelibertà a tutti i membri. E ciò significa non solo eguaglianza e pari potenzialità, ma altresì evitare che si formino al suo interno sacche di potere.

Il principio che si trae da queste considerazioni ispirò la legge che, nell'Italia del dopoguerra, abolì il latifondo, frutto di privilegi medievali, che sottraeva risorse vitali a migliaia di contadini.

Oggi, prevale un “latifondo” finanziario, assai più pericoloso, perché più subdolo e insidioso nella sua segretezza ed il cui primo risultato, in tema di terreni agricoli, è stato quello di distruggere la proprietà contadina.

Occorre adottare regole rigide e severe. La finanza è nata per servire all'economia reale, non viceversa.

Nel mitico convito dei sette Sapienti di Plutarco, si discetta su quale sia il miglior Stato democratico.

Mentre Solone, Biante e Cleobulo, tiranno di Lindo, si soffermano sul rapporto tra il sistema delle regole e l'individuo, Talete di Mileto sottolinea che è più democratico quello Stato nel quale “non ci sono nè cittadini troppo ricchi, nè cittadini troppo poveri“.

Straordinaria lucidità.

Angelo Casella


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