Data: 24/06/2014 16:00:00 - Autore: Angelo Casella

di Angelo Casella - 

1.- La crisi dei debiti “sovrani” (una crisi che presenta caratteristiche di sistema, se non di civiltà), è recentemente diventata il massimo problema mondiale, in quanto gli Stati vengono indotti a misure di austerità che determinano pesantissime ricadute sul livello del benessere dei popoli con ripercussioni, ancora non valutate pienamente, sui futuri assetti sociali interni.

Perché si parla di “crisi” del debito?

In effetti, il termine è improprio. Un debito è un debito. Non evidenzia stati di floridezza o di patologia. Se, a scadenza, non è pagato, entra in sofferenza. Tutto qui.

Senonché, il debito pubblico – a scadenza – è semplicementerinnovato, cioè sostituito con altri titoli.

Quindi, del caso, si dovrebbe parlare di “crisi del rinnovo”.

In effetti, con la parola “crisi” del debito pubblico, i detentori dei titoli “sovrani” (parliamo di grandi centri finanziari internazionali) vorrebbero non tanto denunciare una sua abnorme dimensione in rapporto al Pil nazionale (e quindi l' ipotetica possibilità che gli Stati non possano ripagarlo) bensì agitare questo spauracchio per giustificare una loro improvvisa renitenza a concorrere ad un regolare rinnovo dei titoli in scadenza.

Una ricalcitranza strumentale, studiata per dare origine ad una operazione finanziaria sui mercati, diretta ad abbassare le quotazioni dei titoli di alcuni Stati, e rendere loro in tal modo problematico e costoso il rinnovo dei titoli del debito in scadenza, determinando così le condizioni per una speculazione colossale. La “crisi” dunque è solo una “trovata”, frutto dell'inventiva opportunista degli operatori finanziari internazionali.

Questa manovra sui mercati dei titoli “sovrani”, genera infatti profitti altissimi anche con i c.d. CDS, (in pratica una scommessa in forma di assicurazione contro il fallimento degli Stati) costituisce anche, nel contempo, sia un articolato marchingegno altamente speculativo, sia uno strumento per abbassare il valore di borsa delle azioni delle società ed enti dello Stato preso di mira (e che diventano così agevolmente acquistabili), sia uno strumento per l'avvio di nuovi assetti sociali, sia un attacco all'euro per rivalutare il dollaro: “colpire l'Italia per far sparire l'euro“, titolava significativamenteRepubblica all'epoca della massima pressione della finanza sui titoli italiani).

Non è per caso che nessun problema sia stato sollevato circa l'indebitamento del Giappone, che tocca il 178% del Pil, che è perciò più elevato di Grecia, Portogallo, Italia, e di tanti altri Stati sottoposti a strumentali pressioni per il rinnovo dei loro titoli.

Infatti, tutti i titoli di Stato giapponesi sono solo in mani nazionali. Gli speculatori internazionali sono quindi privi – nel caso giapponese – del loro giocattolo. E non potranno mai far fallire quello Stato, o creare allarmi sui suoi titoli.

Ritrosia quindi, dicevamo, degli investitori internazionali a sottoscrivere le nuove emissioni, conseguenti pressioni ad arte sui governi perché contengano l' importo complessivo del debito ed adottino, pertanto, politiche orientate sia a ridurre l'impegno statale nella spesa sociale, sia a facilitare lo sfruttamento della forza lavoro.

Tutto ciò non riflette una nobile preoccupazione perché siano adottate misure di saggia gestione della cosa pubblica, ma l'intendimento di far adottare agli Stati messi sotto pressione, una serie di interventi idonei a garantire agli speculatori il massimo profitto dal capitale investito, conservandone l'elevata redditività (e la possibilità di migliorarla ancora nel futuro). Lo scopo, in definitiva, è quello di rendere sempre più convenienti gli investimenti negli Stati presi di mira.

Emergono, sottobanco, anche altri scopi, dei quali tuttavia non possiamo qui occuparci per economia espositiva.

Nel frattempo, con le manovre sullo “spread” e sul “rating” questi speculatori sono intanto già riusciti a realizzare profitti colossali e ad abbassare effettivamente il valore relativo dell'euro, nonché la sua appetibilità sui mercati, in modo da tutelare anche gli investimenti in dollari ed operare altre speculazioni connesse.

In questo modo, il futuro dei popoli viene a dipendere (ed essere messo a repentaglio) dal giudizio emesso dalle agenzie di rating (che lavorano per questi speculatori).

Secondo il Boston College, ogni grado in più di rating vale lo 0,42% di costo del denaro in meno per chi emette titoli sul mercato.

Merita notare che le agenzie in questione vengono pagate dagli enti che emettono i titoli (cioè da coloro che devono giudicare), fanno da consulenti a questi stessi enti e sono possedute da banche e Hedge Funds che ne manovrano le valutazioni a proprio vantaggio. Una situazione estrema di conflitto di interessi, che ne rende i giudizi del tutto inaffidabili.

Queste agenzie non sono state messe da canto con l'ignominia che meriterebbero, in quanto sono supportate dalla grande finanza internazionale, che le ha create proprio per i loro traffici, non proprio puliti.

La finanza dunque, grazie alla abdicazione dei governi ai loro compiti essenziali, oggi non solo può stabilire se e quanto credito può avere uno Stato, ma altresì il costo che deve pagare per poterne disporre.

Questa situazione dimostra l'assoluta incapacità dei governi di provvedere alle funzioni di tutela delle loro popolazioni e, nello stesso tempo, l'incontrollato espandersi del potere finanziario internazionale, a detrimento della democrazia e della qualità della vita dei popoli.

E' scopo di questo appunto avviare alla comprensione di fenomeni sui quali si stende da sempre una cortina fumogena di disinformazione, intesa ad evitare che l'opinione pubblica possa averne chiara contezza.

La tematica del debito e quelle strettamente connesse della moneta e del signoraggio comportano normalmente l'utilizzo di termini tecnici che contribuiscono a renderne difficoltosa la spiegazione.

Faremo pertanto sovente ricorso ad alcuni straordinari autori francesi (Holbecq, Chouard, Derudder) che, non appartenendo allaélite degli economisti accademici, hanno elaborato modalità espositive semplici e dirette, che garantiscono quella chiarezza e comprensione altrimenti irraggiungibile nei testi ufficiali.

 

2.- La prima domanda è: perché lo Stato si indebita, dato che potrebbe evitarlo?

L'indebitamento è sempre frutto di una scelta politica. Ma, attenzione: questa scelta non ha nulla a che vedere con ipotetici atteggiamenti di irresponsabilità contabile.

Ancora recentemente, esponenti istituzionali hanno esternato affermazioni secondo le quali i precedenti governi “sono stati troppo buoni con gli italiani“, con troppe spese ingiustificate. Gli italiani, poi, che vogliono “il posto fisso” (quasi che ciò sia disdicevole…)sono degli “smollaccionimammoni e bamboccioni“, quando non, addirittura, degli “sfigati”.

Insomma, il messaggio dei palazzi del potere vorrebbe lasciare intendere che il Paese, in preda ad ozi “Capuensi”, “ha vissuto per anni al disopra dei suoi mezzi“, in una sorta di spensieratoDisneyland, penalizzando in modo incosciente e scriteriato l'avvenire delle future generazioni.

E' una litania, ornata di impropri toni pedagogici, ormai stanca ed infelice, scopertamente intesa a creare nella gente comune una specie di senso di colpa, che è però diretto a rendere più accettabile l'imposizione di nuove tasse, di riduzioni dello standard di vita, nonché difficoltà e sacrifici, anche molto pesanti.

Innanzitutto, deve essere chiaro che la disposizione dello Stato, che deve o vuole fare una spesa eccedente le disponibilità immediate di cassa, è ben diversa da quella di un privato.

A differenza di quest'ultimo, infatti, lo Stato può far ricorso ad una soluzione diversa: aumentare le entrate.

Se sceglie l'indebitamento, ciò può avvenire per due motivi.

Primo (teorico e nobile): disporre delle risorse occorrenti ad assolvere alla propria alta missione di garantire e mantenere la pace e la coesione sociale, presupposto per la prosperità e il progresso della nazione (interventi per aiutare i ceti poveri, alleviare le difficoltà di bilancio delle famiglie, ecc.).

Secondo (e purtroppo largamente prevalente): le spese eccezionali sono motivate da ragioni elettorali. Motivazioni di questa specie hanno effettivamente indotto i governi (di ogni colore) a elargire regali fiscali o, addirittura, finanziamenti specifici (come da ultimo alle banche) alle rispettive fasce di elettori.

Teniamo ancora conto (a sottolineare la diversità tra il debitore-Stato ed il debitore-privato), che lo Stato è “immortale”, cioè non rischia di sparire improvvisamente e che fornisce quindi al creditore una presenza costante.

 

3.- A fronte dell'indebitamento, comunque, non bisogna dimenticare che lo Stato italiano dispone di beni ed attività in quantità tale da compensarne largamente anche l'esagerato ammontare attuale.

Non è agevole effettuare un computo preciso (quanto può valere il Colosseo o il David di Donatello?), ma secondo analisi compiute da organismi internazionali (OCSE) la ricchezza nazionale rappresentata da immobili e valori mobiliari consente – anche alle future generazioni – di disporre di una riserva attiva nettamente superiore al debito.

E ciò , in concreto, significa che lo Stato italiano è del tutto solvibile e che tutto l'allarme lanciato dai possessori di titoli sovrani è infondato. Come si è detto, non si ha paura di non recuperare il credito, ma si vuole porre in atto una manovra di speculazione finanziaria, di dimensioni smisurate.

 

4.- A proposito delle future generazioni, è comunque da chiarire che, se si parla di passaggio di consegne, di trasferimento, questo – oggi come domani – non avviene tra generazioni, bensì fra diversi strati sociali.

Sono infatti i contribuenti, di oggi e di domani (come anche di ieri) che pagano la rendita prodotta dal debito.

Si tratta di un trasferimento di ricchezza che va dalla massa dei cittadini che pagano le tasse verso i detentori dei titoli del debito pubblico. I quali non sono che in minima parte dei piccoli risparmiatori, essendo la quasi totalità dei titoli in questione posseduti dai grandi investitori finanziari.

Sul reddito di questi titoli viene imposto un prelievo fiscale, che è più o meno significativo, a seconda di precise scelte politiche.

Un prelievo che costituisce – si noti bene – una restituzione alla collettività di una piccola parte della ricchezza prelevata.

Nessuna imposta – almeno finora – grava invece sulle transazioni finanziarie, in ciò privilegiate anche rispetto a quelle che hanno per oggetto un semplice panino.

5.- Seconda domanda: come è stato possibile accumulare un debito pubblico così spaventosamente elevato?

Come vedremo esaminandone le dinamiche evolutive, ciò non è dovuto – se non in minima parte – ad aumenti sproporzionati della spesa corrente in rapporto al Pil (che pure in passato si sono anche verificati), bensì ad una scelta politica orientata a favorire determinate posizioni particolari.

Nel 1960, l'Italia evidenziava un debito complessivo di 382 miliardi, pari a circa il 50% del Pil.

Nel periodo '74-'85 raggiunge l'80%, per salire ancora, nel 1995 al 121,5%.

Nel 2000, per poter “entrare in Europa” (come diceva la coppia Prodi-Ciampi), ossia far parte del sistema euro, il debito scende al 109% .

Oggi l'ammontare è salito a oltre 1900 miliardi, pari a più del 120% del Pil.

In circa 50 anni, dunque, il debito si è praticamente triplicato.

Sono state create eccezionali opere pubbliche? Investimenti straordinari?

Nulla di tutto questo.

L'economia nazionale ha comunque ricavato un beneficio da tutto ciò? Al contrario: negli ultimi venti anni, si è verificata una sensibile contrazione produttiva, un aumento della disoccupazione, un innalzamento del costo della vita, un risveglio dell'inflazione.

Anche il benessere delle famiglie ha subito, nel periodo, una decisa contrazione.

Da notare, per inciso, che la galoppata del debito non è diminuita neppure con l'imponente operazione di privatizzazione – a suo tempo – delle aziende IRI. Del ricavato, infatti, anche i più esperti segugi non hanno trovato traccia.

In realtà, questo imponente ammontare del debito è dovuto all'aggravio degli interessi, il cui peso complessivo è pari ai due terzidel totale.

Cancellando gli interessi, il debito totale rispetto al Pil scenderebbe ad un livello quasi insignificante.

Per inquadrare il fenomeno, ricordiamoci che, ad un tasso del 7,2%, un debito di 10 mila euro raddoppia in dieci anni. Dopo quaranta anni sale a 320 mila euro.

 

Fatte le dovute proporzioni, si comprende il meccanismo che ha reso il debito italiano qualcosa che non si può più restituire.

Teniamo conto che il solo ammontare degli interessi sul debito (si tratta di oltre 90 miliardi annui) è arrivato ad assorbire pressoché interamente l'imposta sui redditi, creando indubbie difficoltà di gestione contabile.

Negli ultimi venticinque anni il debito complessivo si è accresciuto di quasi 1700 miliardi, di soli interessi.

 

6.- Ora, è assai poco accettabile che la classe politica, la quale ha consapevolmente creato questo problema ( obbiettivamente insolubile in condizioni di normalità, fiscale e di spesa), gridi allo scandalo e pretenda di tirare le orecchie agli italiani. La sgradevole sensazione che se ne trae è quella di un imbarazzante tentativo di imbroglio.

Purtroppo, si tratta di un raggiro rovinoso, più che semplicemente nocivo ed improprio, poiché vorrebbe avallare presso l'opinione pubblica una riduzione del debito mediante l'abbattimento della spesa pubblica e l'aumento dell'imposizione fiscale (come si sta già facendo).

Ma ciò in realtà comporta una recessione economica grave che avrà conseguenze pesantissime, e per lunghi anni, sul livello delle condizioni di vita della popolazione tutta (rendendo anche maggiormente difficoltosa proprio la riduzione del debito).

Le somme di denaro che si programma di prelevare dal sistema produttivo (lavoro e imprese) e dai pensionati (ciò che appare moralmente riprovevole), verranno trasferite per la quasi totalità agli organismi finanziari, nazionali ed internazionali, che detengono i titoli del debito pubblico. E questo pone precisi interrogativi di politica sociale.

E' tutto ciò giustificato, moralmente, economicamente e giuridicamente?

 

7.- Lo Stato, come si è sottolineato, non è equiparabile ad un debitore privato.

Infatti, anche se oggi – colpevolmente – non lo fa, si trova nelle condizioni di poter determinare egli stesso se e quanto pagare di interesse a fronte delle sue “obbligazioni”, invece di farselo imporre dal c.d. “mercato”.

Dobbiamo perciò chiederci ancora una volta perché lo Stato ha deciso non solo di indebitarsi, ma di farlo pagando interessiobbiettivamente elevati, assai più di quelli “normali”, a seguito delle forzature del “mercato” (leggasi speculazione) e che lo Stato stesso non ha impedito con apposite norme (tra cui quella, semplicissima, di sottrarre i titoli al “mercato” vietandone ogni transazione, per riservarla ad organismi specifici).

 

8.- Ma dobbiamo anche porci un'altra domanda, connessa alla prima: un debito deve per forza produrre interessi?

Nel caso di un prestito tra privati, ciò è normale in quanto l'interesse costituisce un compenso per una privazione di ricchezza.

Ma chi emette moneta, oggi, non subisce alcuna privazione, e non fornisce nè beni nè servizi, come meglio vedremo in seguito, e pertanto la corresponsione di interessi non ha fondamento.

E' poi da sottolineare – in via di principio – che il ricorso al debito da parte dello Stato poteva essere giustificato quando la moneta era costituita da dischetti di metalli pregiati (oro e argento) che, essendo di per sé stessi rari, potevano determinarne qualche carenza.

Poiché oggi la moneta è dematerializzata, il limite del rifornimento non esiste: è sufficiente far girare le rotative.

Il problema di base è che lo Stato (o meglio i suoi indegni rappresentanti), ha deciso, senza neppure informarne i cittadini, di cedere il potere di creare moneta (cioè di soddisfare un bisogno vitale della collettività) ad alcuni privati, imponendo così ai cittadini stessi l'obbligo di chiedere, dietro compenso, ciò che è un loro diritto.

 

9.- Per rispondere correttamente ai quesiti sopra accennati, è necessario introdurre il concetto di moneta. E' infatti dalla natura di questa che derivano i due problemi che ci occupano: sia il debito pubblico sia la sua caratteristica di produrre interessi.

Intanto, il termine “moneta” viene da Giunone Moneta accanto al cui Tempio, sul Campidoglio, era collocata la Zecca di Roma. Da aggiungere che l'appellativo “Moneta” dato alla Dea, deriva dal latinomonere, avvisarepoiché a Giunone spettava di avvertire i Romani dei pericoli che potevano incombere.

La moneta, sui testi dedicati, viene definita non in sé stessa, ma in rapporto alle sue funzioni: strumento di valore, misura di valore, riserva di valore, mezzo di pagamento.

Queste definizioni però nulla ci dicono circa il contenuto concettuale che ha l'oggetto moneta, cioè che natura ha e perché è stata creata ed in rapporto a quali necessità.

Per agevolare questo non semplice compito, ricorreremo ad un paio di storielle che riportiamo dagli Autori che abbiamo sopra citato.

La prima di queste evidenzia, come vedremo, una fondamentale caratteristica di base della moneta.

 

10.- Un bel mattino, alla ricezione dell'albergo Bellavista, accosto alla stazione della ridente cittadina di Maronello, si presenta una giovane donna, piacente e spigliata, che spiega al proprietario di essere in zona solo per la giornata ma che, temendo di non riuscire ad esaurire le proprie incombenze in tempo utile per prendere l'ultimo treno, intende, per precauzione, prenotare una stanza.

Non avendo bagaglio, lascia come deposito, e con l'intesa di restituzione ove non dovesse utilizzare la camera, un biglietto da 100 euro, scusandosi perché questo presenta un piccolo strappo, riparato peraltro con del nastro adesivo.

L'albergatore accetta volentieri e sta per mettere in cassa il biglietto, quando un uomo, anch'esso in quel momento al bancone, si interpone, rammentando all'albergatore che ha appena consegnato in cucina la torta per il matrimonio della figlia di questi e che gli spettano i 100 euro già pattuiti. Il biglietto finisce così nelle tasche del pasticcere che, rientrando al negozio, rammenta di dover ancora 100 euro al dentista per l'apparecchio correttivo della figlia. E così si reca nello studio del medico e gli consegna lo stesso biglietto già ricevuto dall'albergatore.

Il dentista, a sua volta, quando – più tardi – chiude lo studio, si reca a ritirare l'auto dal meccanico al quale, in pagamento della riparazione dei freni, consegna il biglietto da 100 euro.

Al meccanico si presenta poco dopo il rappresentante del sapone liquido per incassare il saldo ancora dovutogli. Il che avviene con la consegna del noto biglietto.

Ormai a fine giornata, il rappresentante, vista la tarda ora, pensa meglio fermarsi per la notte all'albergo Bellavista, dove però l'albergatore, spiacente, lo informa che tutte le stanze sono occupate.

Ma proprio in quel mentre, ecco entrare la giovane donna del mattino che, avendo terminato prima del previsto i suoi impegni, comunica di avere tutto il tempo per prendere il suo treno e che perciò lascia libera la camera prenotata.

Il rappresentante allora, ben contento, paga subito la stanza, consegnando all'albergatore il famoso biglietto da 100 euro che quest'ultimo, con un bel sorriso, a sua volta galantemente riconsegna alla giovane donna.

Costei riconosce subito, dal piccolo strappo, il suo biglietto e, allontanandosi ridendo, lo strappa in pezzi esclamando “si tratta comunque di un biglietto falso!“.

 

11.- A questo punto ci si chiede come sia possibile che un biglietto falso abbia potuto estinguere una serie di debiti veri.

La risposta è che ciò si è potuto verificare perché quel pezzo di carta, vero o falso, rappresenta “moneta”, cioè incorpora una qualità unica. Quella di essere il frutto di una convenzione che riposa sulla fiducia reciproca di coloro che la utilizzano.

Il biglietto ha il valore e la funzione che gli sono stati accordati nella collettività. Ed ecco allora che possiamo proporre una nostra definizione specifica: la moneta è veicolo e strumento di trasmissione di beni e servizi.

Ma, per quale motivo si è fatto ricorso a questa convenzione, cioèper fronteggiare quale esigenza si è creata la moneta (un oggetto cui non corrisponde un valore intrinseco)?.

Per meglio rispondere a questo fondamentale interrogativo, faremo ricorso alla seconda rappresentazione. Un altro caso pratico esplicativo.

 

12.- Immaginiamo dunque che un numeroso gruppo di persone, a seguito di naufragio, si trovi su un'isola, deserta ma accogliente, ricca di acqua dolce, alberi da frutto, selvaggina, pesci, ecc.

Poiché l'isola è lontana da luoghi abitati e dalle rotte delle navi, i naufraghi non hanno speranza di essere salvati e debbono pertanto organizzare la loro vita sul posto.

Innanzitutto, decidono di restare uniti, di formare un gruppo che, con la coesione possa meglio fronteggiare le esigenze individuali.

Fra di loro si trovano artigiani, agricoltori, carpentieri. I naufraghi dispongono insomma di una ampia varietà di competenze, che possono anche agevolmente esercitare in quanto hanno potuto salvare dal naufragio attrezzi, strumenti vari e perfino sementi.

Ad una verifica delle competenze, si scopre addirittura che alcuni sono in grado di costruire capanne, altri barche. E vi sono pescatori e sarti.

Insomma, tutte le esigenze primarie dei naufraghi possono essere soddisfatte.

Bisogna solo mettere all'opera i volonterosi, ognuno nella sua specializzazione.

Ma si presenta subito un problema. Se il mastro d'ascia costruisce una imbarcazione, il carpentiere e il muratore le capanne, i pescatori le reti, (e loro come tutti gli altri), per tutto il tempo necessario a svolgere il loro impegno, non potranno procurarsi il cibo, l'acqua, un riparo e soddisfare, in genere, ogni altra esigenza pratica di vita.

E non si può ricorrere al baratto, mancando i beni da scambiare.

La situazione è questa: potenzialmente vi è la possibilità di realizzare tutto quanto necessita a soddisfare le esigenze dei naufraghi, ma in pratica non si può concretizzarla se non si arriva a consentire ad ognuno la possibilità di disporre contemporaneamente dell'apporto di tutti gli altri.

Il problema appare insolubile, finché qualcuno non suggerisce di ricorrere alla creazione di un titolo di scambio, un oggetto, che tutti debbono accettare, che sia simbolo di un certo valore, di una porzione di quello dei futuri beni da scambiare. Una sorta di creditodi scambio (o di baratto).

In questo modo, il mastro d'ascia sarà in grado di trasferire a chi gli darà cibo od altro, frazioni del valore dell'imbarcazione, per tutto il tempo in cui sarà impegnato nella costruzione.

Ecco allora inventata la moneta, che per certi aspetti potremmo chiamare titolo di credito, che verrà dalla collettività dei naufraghi creata in un quantitativo pari al “valore” dei beni e servizi che sono loro necessari. Valore che possiamo immaginare verrà correlato al tempo ed all'impegno necessario alla loro produzione.

Ecco dunque esemplificata la funzione, la ragione di esistere, della moneta: quella di “congelare” il valore di futuri baratti.

Alla corresponsione di un bene o servizio, non è più necessario l'immediato ricambio. Con la moneta, è possibile procrastinare questo evento nel tempo, dirigerlo verso soggetti diversi dal fornitore specifico, oppure destinarlo ad altri beni.

Per riassumere: grazie alla moneta, vengono, in ogni caso, realizzati degli scambi di beni (oggetti o servizi), ma queste permute avvengono per il tramite di questo strumento che consente il conteggio del valore di scambio di quanto è stato fornito e che attribuisce ed incorpora, nello stesso tempo, il relativo “potere”.

Questo strumento, è stato chiamato moneta fiduciaria, in quanto è basato sulla reciproca fiducia, sul consenso e l'accettazione di tutti.

Oggi, questo appellativo serve a distinguerla e separarla da un'altra, di recente realizzazione e che conosceremo più avanti.

 

13.- Un aspetto di rilevante importanza è da sottolineare.

La moneta non è distribuita ai singoli coloni a titolo di prestito, ma come strumento di scambio, in diretta relazione con le loro necessità, correlate al valore di scambio dei beni o servizi che realizzano. Un mezzo per consentire la collaborazione economica tra i naufraghi e favorire la formazione e lo sviluppo di un sistemaeconomico integrato.

In altri termini, ad ognuno dei coloni viene assegnata una quantità di moneta corrispondente al valore economico di ciò che egli fa per essere scambiato.

Dopo questa assegnazione iniziale, la complessiva quantità di moneta circolante nella comunità, sarà regolata in funzione del volume dell' attività economica che vi è svolta, cioè della ricchezza prodotta.

Poiché la moneta non viene data a titolo di prestito, questa non produce interessi.

(Merita incidentalmente ricordare che vi sono stati nella storia, diversi tentativi di recuperare questa funzione primaria della moneta, sottraendo la collettività alla schiavitù del sistema attuale. In tempio recenti, in Francia, sopratutto a Lille, si espande la moneta fiduciaria SOL, da noi, in Sardegna c'è il sardex, sul web si ricorre albitcoin).

 

14.- Immaginiamo ora uno scenario diverso.

La collettività dei coloni, colpita improvvisamente da una epidemia di Alzheimer, decide che la moneta verrà fornita da un artigiano che non sa fare altro, un banchiere, il quale, non solo darà il denaro inprestito, ma chiederà anche un compenso, un interesse, fino a quando le somme fornite non saranno restituite.

I coloni si troveranno obbligati a prendere costantemente a prestitoil denaro necessario per far funzionare gli scambi e attivare la produzione.

Non solo, tutta la colonia, complessivamente, si troverà nella necessità di prelevare denaro in quantità sempre crescenti per poter non soltanto restituire il capitale ricevuto, ma pagare anche gli interessi relativi.

Quando il mastro d'ascia restituirà al banchiere la somma avuta in prestito, dovrà infatti aggiungervi altro denaro per gli interessi. Denaro che dovrà procurarsi presso altri membri della collettività. Per farlo, dovrà aumentare il prezzo (cioè il valore di scambio) della imbarcazione costruita.

Gli altri membri della colonia si trovano nelle stesse condizioni. Il costo complessivo degli scambi è ineluttabilmente destinato a crescere, a meno che si creino delle condizioni per le quali se non tutti, almeno parte dei beni prodotti possano veder registrare un calo nel “costo” di produzione.

Questa riduzione, ad esempio, potrebbe avvenire a seguito dell'addomesticamento di un bufalo selvatico che, addestrato a tirare un aratro, consentirebbe di triplicare la produzione di grano. Egualmente, l'invenzione di più efficienti tecniche di lavorazione, potrebbe consentire al mastro d'ascia di costruire una imbarcazione in tempi più ridotti.

A parte questi meccanismi, il cui esame approfondito ci distrarrebbe dal punto focale della nostra esposizione, nella collettività si verificherebbero almeno due fenomeni negativi.

Il primo, sul piano della cultura sociale.

Tutti i coloni, che si troverebbero nella necessità di indebitarsi anche per le normali esigenze quotidiane, e verrebbero presi dall'affanno di procurarsi più denaro possibile, perché esso viene a trasformarsi, da strumento, in un “bene” autonomo.

Un clima di competizione sostituirebbe la tranquilla e pacifica convivenza già esistente.

Il secondo, di carattere economico-sociale.

Una parte consistente della ricchezza prodotta verrebbe sottratta alla collettività, per finire nelle mani del banchiere.

Naturalmente, poi, se la collettività decidesse di realizzare opere di interesse comune (un pontile di attracco per le barche, il tracciamento di strade, la sistemazione dei rifiuti, ecc.), si troverebbe nella necessità di chiedere il denaro occorrente al banchiere, cui dovrebbe corrispondere anche degli interessi…

Una situazione che richiederebbe l'imposizione di un prelievo fiscale sui coloni, dando così inizio alla spirale infernale che oggi conosciamo.

 

15.- Come ben sappiamo, la società nella quale viviamo, ha adottato la seconda soluzione.

Ciò è avvenuto in tempi relativamente recenti.

Il primo esempio di delega a privati della funzione statale di battere moneta risale al 1694 con la creazione della Banca d'Inghilterra (la prima banca centrale). Un ente formato da un gruppetto di banchieri londinesi che, per procurarsi il favore, concesse un consistente “prestito” (mai restituito) alla corona. Da allora, Londra è il centro finanziario mondiale più importante. Altri monarchi, solleticati dalla stessa prospettiva di accumulare ricchezza, seguirono l'esempio.

Ci volle tuttavia tempo perché il sistema (fortemente incentivato dagli interessati) si diffondesse globalmente.

La Banca di Francia è del 1800, al pari, all'incirca, delle altre banche centrali nelle nazioni industrializzate. La Banca d'Italia è nata nel 1926 (R.D.L. n. 812), dopo la fusione (nel 1823) di istituti di emissione privati già preesistenti (Banca Nazionale del Regno, Banca Nazionale Toscana, Banca Toscana di Credito). Incidentalmente, tanto per capire quale poderosa organizzazione sia stata predisposta a supporto degli interessi della grande finanza (nata da questa operazione), è opportuno ricordare che il FMI pone, tra le condizioni per la concessione di finanziamenti ai Paesi in difficoltà, la costituzione di una banca centrale indipendente dal potere pubblico.

Queste “banche centrali” costituiscono ad un tempo una furbesca mascheratura ed una poderosa imposizione truffaldina alla società.

Una schermatura mimetizzante, in quanto servono da paravento alla cessione a privati del potere di battere moneta.

Un inganno istituzionale in quanto si presentano alla collettività come entità pubbliche mentre in realtà sono private.

Per quanto ciò possa apparire paradossale, la banca centrale italiana ha un piede nel diritto privato (gli azionisti, definiti pudicamente “partecipanti”), sono privati (ma solo privati speciali: banchieri, assicuratori e simili) ed un piede nel diritto pubblico cioè dispone, contraddittoriamente, di poteri e di funzioni (!) pubbliche. Un prodotto giuridicamente mostruoso, ma che non si è provato il minimo scrupolo a creare.

 

16.- Un tempo, se l'imperatore Adriano decideva di fare un nuovo ponte sul Tevere, ordinava alla Zecca di coniare sufficienti sesterzi per compiere l'opera.

Ma questa prassi non è cominciata con Roma imperiale. In effetti, la produzione della moneta, nella storia dell'Umanità, è sempre stata tra i compiti essenziali della collettività, identificata nella persona del suo capo o sovrano.

Ciò non è accaduto per caso o per scelta di illuminati sovrani.

La creazione della moneta, come abbiamo cercato di evidenziare nella nostra seconda storiella, corrisponde ad un interesse pubblico, cioè è intesa a soddisfare un bisogno della collettività, connaturato alla sua stessa esistenza.

In altri termini, rientra nei compiti propri essenziali della comunità in quanto tale, di quelli che esistono in quanto la comunità medesima esiste e che perciò fanno parte del suo stesso essere.

 

17.- L'affidamento di questa funzione a dei singoli membri della collettività, è contrario alla sua natura medesima.

Costituisce una distorsione non solo non giustificabile, ma assolutamente inaccettabile, oltreché illegittima perché non approvata dal popolo, che è il solo titolare del diritto dismesso.

Inoltre, come abbiamo visto, determina un gravissimo pregiudizio per i cittadini, come singoli e come collettività.

Le dinamiche economiche interne alla società ne escono sconvolte, poiché questa delega a privati consente a costoro di accumulare guadagni colossali. E dato che il denaro è potere, il possesso di grandi ricchezze consente ai detentori di influire sugli esponenti delle istituzioni, favorendo fenomeni devianti e distorsioni gravi nella gestione della cosa pubblica.

Per tacere poi delle ricadute sulla cultura sociale cui abbiamo già fatto cenno e che hanno fatto affermare a Walter Benjamin che il capitalismo è una religione, feroce ed implacabile, per la sua capacità di penetrare (ma anche corrompere) l'animo umano.

L'avidità e l'esecrabile ansia di potere, formano purtroppo parte del bagaglio dei difetti umani.

Vizi che, in personalità immature, spesso esplodono incontrollati.

E coloro che, avvezzi alla gestione del denaro, si avvidero agevolmente delle possibilità di potere e di denaro che potevano derivare dallo scippo alla società del potere di creare moneta, non ebbero scrupoli a coinvolgere chi poteva disporre del potere pubblico per farne complici, facilmente corrotti dalle prospettive degli enormi guadagni connessi al furto.

Incuranti del pesantissimo ed intollerabile pregiudizio che questo colpo di mano veniva a determinare per la collettività.

 

18.- Della ideazione di questo intrigo abbiamo traccia in una lettera del 1865, nella quale la banca Rothscild di Londra scrive aiconfratelli banchieri di New York in questi termini:

Signori, un certo M. John Sherman ci ha scritto che non è mai esistita maggior possibilità di accumulare denaro che mediante un “decreto legge”, formulato nei termini redatti dalla Associazione Britannica dei banchieri.

Si tratta di concedere ogni potere sulle finanze della nazione alla Banca centrale.

Se ciò avvenisse, nelle dovute forme di legge, ne deriverebbero enormi profitti per la fratellanza dei banchieri di tutto il mondo.

Mr. Sherman ribadisce che le poche persone che capiranno questo sistema, potranno essere coinvolte nei conseguenti profitti, dipenderanno totalmente dai suoi favori e nessuno solleverà obbiezioni.

La grande massa popolare, invece, incapace di capire quali formidabili vantaggi ne tragga il capitale, porterà il suo fardello senza lamentarsene e senza neppure immaginare quanto il sistema sia contrario ai suoi interessi “.

Ne aveva ben nozione il noto Mayer Amschel Rothscild (1743-1812), che affermava candidamente: “Datemi il controllo della moneta e non dovrò preoccuparmi di chi fa le leggi“.

Lo stesso Thomas Jefferson ne era ben consapevole: “Chi controlla la moneta, controlla la nazione”. E aggiungeva” Sono convinto che le istituzioni finanziarie siano più pericolose per le nostre libertà di una forza armata nelle strade“.

Sorprendentemente esplicito, in tema, (date le sue funzioni) un ex governatore della Banca d'Inghilterra, Josiah Stamp che, nel 1920, esclamava: “Se proprio volete essere gli schiavi delle banche, e pure pagare per finanziare la vostra stessa schiavitù, allora lasciate che le banche creino la moneta”.

Terminiamo le nostre citazioni con il Nobel Allais: “E' quanto meno paradossale dover constatare che, mentre per secoli, l'Ancien Régime aveva gelosamente conservato allo Stato il diritto di battere moneta, ed il privilegio di goderne i vantaggi, proprio la Repubblica democratica si è spossessata di questo diritto e dei connessi privilegi a favore di interessi privati.” (Egli, naturalmente, si riferisce alla Francia).

Tutto ciò consente di ribadire ancora che l'attuale conformazione del sistema monetario toglie alla moneta il suo ruolo naturale di strumento al servizio dell'interesse collettivo per farne mezzo di concentrazione della ricchezza, di facile arricchimento e di potere privato, determinando con ciò un gravissimo danno alla collettività, nel quadro di una situazione distruttiva del concetto medesimo che ne è alla base.

 

19.- Naturalmente, se la moneta fosse creata dallo Stato, come sarebbe dovuto, questi potrebbe eventualmente prestarla alle banche (che a loro volta la darebbero in prestito), ricavandone sostanziosi interessi, con i quali garantirebbe eccellenti servizi alla collettività, senza per questo doversi accollare un debito.

Dobbiamo constatare che questa delega ai privati del potere di battere moneta è di tale rilevanza che i centri finanziari internazionali, soggiogando ancora una volta i governi nazionali, sono riusciti ad imporla come regola inderogabile nella Unione Europea.

L'art. 104 del Trattato di Maastricht (questo Trattato è stato respinto dal popolo francese con un referendum nel 2005 e, prima ancora, lo stesso rifiuto era stato espresso dal popolo olandese; dopo di che, il testo è stato furbescamente cambiato solo nella forma e sottoposto alla sola approvazione parlamentare dei Paesi europei, escludendo ogni consultazione popolare), addirittura inibisce formalmente alle banche centrali di finanziare (anche mediante l'acquisizione diretta dei titoli emessi) le istituzioni (centrali e locali) e le imprese pubbliche (questa disposizione è stata ripetuta nelle successive edizioni degli accordi europei).

Le relative necessità di finanziamento possono essere soddisfatte solo mediante il ricorso al credito.

Con questa norma, la regola nazionale della riserva del potere monetario ai banchieri privati, è divenuta è divenuta un dettato sovranazionale, non violabile dai singoli parlamenti.

Inutile sottolineare quanto sia anomalo che l'autorità che dovrebbe curare gli interessi pubblici, si preoccupi di garantire gli interessi privati. Ed a scapito proprio di quelli pubblici.

 

20.- E' a questo punto del nostro percorso espositivo necessario mettere bene in luce il meccanismo in base al quale le banche sono in grado di creare moneta, accumulando profitti tanto enormi quanto ingiustificati, per non dire truffaldini.

Quando una banca “concede” un prestito, ad esempio di 100 mila euro, ricorre ad una semplice registrazione, una annotazione contabile a costo zero.

Questa concessione di credito comporta una creazione di moneta a favore del beneficiario. Una moneta che viene chiamata “scritturale” in contrapposizione a quella, che già conosciamo e che si chiama “fiduciaria”.

Una operazione che è del tutto priva di oneri per la banca. Concretamente, essa non “dà” nulla al cliente.

Ma, grazie a questa semplice scrittura, la banca, oltre a poter pretendere la “restituzione” della somma così “prestata” (ed in realtà “creata”), percepisce anche una massa notevole di denaro per interessi (variabile a seconda del tasso applicato).

In conto interessi ed in conto capitale, come si usa dire, la banca preleva così dal sistema economico una enorme quantità di ricchezza reale tramite il cliente “beneficiario”. Una ricchezza vera, incorporata nella moneta fiduciaria che quest'ultimo si procura con il suo lavoro e che va a compensare il nulla che ha ricevuto dalla banca.

Come pittorescamente si è espresso Brecht quando ha detto che “è meglio fondare una banca, piuttosto che rapinarla“, si tratta di un autentico furto legalizzato. La banca ruba alla società la ricchezza che questa produce.

Si tratta, come si può comprendere, di una forma di parassitismo gigantesco, che procura incalcolabili danni all'economia, alla società ed ai singoli cittadini.

 

21.- Si tratta ora di inquadrare meglio la dimensione del fenomeno ora descritto.

La complessiva massa monetaria circolante in un Paese viene “fotografata” in tre aggregati diversi che misurano l'offerta di moneta in un determinato momento:

M1 = moneta fiduciaria (biglietti e monete, detta anche Mo), più i depositi a vista (ovvero tutte le attività finanziarie utilizzabili come mezzo di pagamento)

M2 = M1 più più i depositi “negoziabili”, cioè con scadenza non superiore a due anni e i depositi rimborsabili dietro preavviso di non più di tre mesi (in pratica: tutte le attività finanziarie che hanno elevata liquidità e valore certo)

M3 = M1 più M2 più gli strumenti finanziari di durata non superiore a due anni (ossia tutte le attività finanziarie che possono fungere da riserva di valore, come i titoli a reddito fisso a breve)

 

Il totale di M3, nella zona euro è di circa 9000 miliardi.

Interessa sottolineare che il 93% di questo ammontare è costituito da moneta scritturale, creata ex nihilo, dal nulla, dalle banche, mediante crediti allo Stato e alle famiglie.

Questo dato impressionante è indicativo della rilevanza enorme assunta dalla moneta bancaria o scritturale ed esprime un concetto molto chiaro: pressoché tutta la massa monetaria in circolazione corrisponde ad un equivalente debito (produttivo di interessi per le banche!).

Risulta altresì evidente la limitata importanza della moneta fiduciaria.

La banca centrale, nel nostro caso europeo la BCE, è detta Istituto di emissione perché “emette” moneta, ma solo quella fiduciaria.

Sono invece le banche ordinarie, o commerciali, (ormai tutte private, dopo la sciagurata privatizzazione dell'IRI, decisa nel corso del famoso abboccamento sul Britannia), che detengono il potere di creare, mediante la concessione di crediti, la moneta scritturale che, come si è visto, rappresenta il 93% del totale.

Questa percentuale smentisce da sola l'opinione diffusa per la quale le banche non possono prestare ai clienti che le quantità di moneta che detengono in deposito.

Una credenza popolare, abilmente coltivata per mascherare il meccanismo perverso che abbiamo ora evidenziato, ideato per arricchire alcuni a scapito della massa.

 

22.- In realtà, sono i crediti che permettono i depositi e non il contrario.

La quantità poi, dei depositi dipende solo dal rapporto che la banca intende applicare tra le poste contabili degli impieghi e dei depositi: se questo rapporto è del 92%, con un deposito iniziale di 100 euro, verrebbero generati depositi (cioè moneta scritturale) per 1250 euro.

Vediamo come funziona il meccanismo.

E' indubbiamente necessario che tutto inizi con una creazione di moneta fiduciaria che entra nel sistema economico e con la quale i detentori pagano i fornitori di beni e servizi.

Questi ultimi depositeranno i soldi ricevuti sui loro conti bancari.

Queste somme verranno dalle banche concesse in prestito ad altri clienti.

Costoro utilizzeranno questi crediti per pagare i loro fornitori che, a loro volta, depositeranno le somme ricevute le quali, ancora, determineranno nuovi crediti e nuovi depositi.

E' il c.d. “effetto moltiplicatore”: il credito è all'origine di nuovi depositi (e di nuovi crediti).

Facciamo un altro esempio concreto.

Supponiamo che vengano depositati nelle banche biglietti per 10 milioni, a fronte dei quali esse emettono assegni circolari o libretti di conto.

Se le cose rimanessero così, si verificherebbe una semplicetrasformazione nella composizione del circolante.

Ma le banche sanno che le somme depositate non verranno contemporaneamente ed integralmente richieste (in caso di necessità potranno sempre chiedere un rifornimento alla banca centrale) ed allora prestano alla clientela 9 miliardi.

La circolazione aumenta dell'importo corrispondente.

Questi nove miliardi verranno ridepositati nelle banche, in tempi più o meno diversi, dando luogo ad altri crediti, e così via.

In questo modo le banche, sia commerciali, sia d'affari, hanno la possibilità – riservata soltanto a loro – di creare moneta. La moneta scritturale.

 

23.- Il saldo di un conto di deposito viene annotato, nei libri della banca, alla voce “Passivo” di bilancio in quanto si tratta di somma che la banca stessa si è impegnata a fornire al cliente.

Il relativo ammontare può essere formato da “provvista”, ovvero da moneta fiduciaria, da accrediti provenienti da altri conti bancari, oppure anche da un credito che la banca ha concesso allo stesso cliente.

Questo stesso saldo è annotato all'Attivo del bilancio della banca, sotto il nominativo del cliente, il quale deve “avere” dalla banca stessa la somma indicata.

Se l'operazione, ad esempio di 100 mila euro, ha origine poniamo da una apertura di credito, si vedranno nei conti della banca le seguenti scritturazioni:

 

Attivo Passivo

(crediti) (depositi a vista)

100 100

 

A queste corrispondono, nella scheda contabile al nome del cliente, altre due scritturazioni:

Attivo Passivo

(la banca deve avere) (la banca deve dare)

100 100

 

Quando il cliente restituisce la somma presa a prestito, diminuisce sia l'Attivo che il Passivo della banca.

La moneta creata dalla banca con il prestito, viene distrutta quando il prestito viene restituito.

Il totale complessivo della massa monetaria aumenta quando il totale dei crediti concessi dalla banca si accresce e diminuisce in caso contrario.

 

24.- La creazione di moneta da parte delle banche ha dei limiti (peraltro abbastanza teorici ed elusi).

Il primo, è il livello del tasso di cambio fissato dalla banca centrale, che può rallentare il ricorso al credito da parte della clientela, cui vengono imposti interessi il cui livello è correlato, appunto, al tasso di cambio.

Il secondo risiede nell'obbligo potenziale della banca a fornire moneta fiduciaria (biglietti e monete) a chi la richiede, anche a fronte di un credito scritturale.

In realtà, come abbiamo accennato sopra, la banca può procurarsi in ogni momento la moneta fiduciaria ricorrendo alla banca centrale, presso la quale ha un conto a suo nome e sul quale paga un modestissimo interesse. (Da ciò deriva che l'aumento della richiesta di moneta fiduciaria, induce la banca a crescere il costo di quella scritturale).

Il terzo, è la c.d. “riserva obbligatoria”, un meccanismo che prevede che la banca debba mantenere, sul suo conto presso la banca centrale, un ammontare di moneta fiduciaria ari a circa il 2% del totale dei crediti accordati.

 

25.- Tutto andrebbe bene se non ci fosse un importante accessorio.

La banca che concede un credito chiede al cliente, oltre che la restituzione della somma prestata, anche un certo ammontare perinteressi, che il beneficiario deve procurarsi con il suo lavoro.

Anche questa “moneta per interessi” deve essere “creata” con lo stesso meccanismo, cioè con altri crediti.

In tal modo, anche la “moneta-interessi” produrrà interessi, creando una spirale senza fine.

L'equilibrio complessivo del sistema dipende perciò dalla circostanza che vi sia sempre una domanda di nuovi crediti superiore al rimborso di quelli arrivati a scadenza.

Ma il vero problema è evidentemente di altra natura.

Appare infatti del tutto inaccettabile che le banche pretendano un interesse sulla moneta scritturale, cioè da una creazione di moneta che a loro non costa nulla.

Non a caso Maurice Allais, premio Nobel per l'Economia nel 1988, scrive: “Nella sostanza, la creazione di moneta ex nihilo, operata dalle banche, è identica alla creazione di moneta da parte dei falsari. Sul piano pratico, produce gli stessi esiti. La differenza sta soltanto nei soggetti che ne traggono beneficio“.

Secondo alcuni, l'incidenza del sistema degli interessi sul prezzo finale di tutti i prodotti esistenti sul mercato si aggira, a seconda dei casi, dal 25 al 40%.

E quando si pensa che questo stesso meccanismo è alla base dell'enorme debito pubblico accumulato dagli Stati, per il cui pagamento vengono imposti sacrifici tremendi alle popolazioni, giusto per rimpinguare le tasche della finanza, si evidenzia l'urgente necessità di cambiare sistema.

Torniamo a ripetere che il ricorso degli Stati al debito comporta l'emissione di titoli che rendono per interessi una massa enorme di denaro il quale non entra nella economia reale, ma affluisce nelle tasche dei redditieri e degli enti finanziari.

Questa strada conduce ineluttabilmente al fallimento degli Stati i quali, per sfuggirvi, si trovano costretti – fenomeno cui stiamo del resto assistendo – a vendere i servizi pubblici preziosi per i cittadini.

Ed è proprio là che li aspettano i furbetti della finanza, poiché un servizio pubblico (per definizione necessario alla collettività) garantisce introiti sicuri e costanti, non soggetti alle oscillazioni del mercato.

Infatti, per fronteggiare il continuo aumento dell'indebitamento causato dall'accumulo degli interessi, gli Stati sono obbligati a ricorrere sempre a nuovi prestiti, in una spirale diabolica. Senza gli interessi, il debito sarebbe di dimensioni insignificanti.

Tutto ciò sottolinea con forza l'enormità dell'errore commesso di affidare a privati la sovranità monetaria. Una eresia attuata senza consultare i cittadini (che di questa sovranità sono i titolari) ed anzi giocando a rimpiattino con la collettività intera per nascondere, e mantenere, questa indecente realtà.

Lo Stato o, meglio, chi indegnamente lo rappresenta, ha trasferito al sistema bancario privato il potere di creare la moneta, tutta la moneta, quella fiduciaria e quella scritturale, costringendo i membri della collettività ad assoggettarsi all'obbligo di chiedere alle banche private ciò che loro spetta di diritto.

E le banche, ricordiamolo ancora, sono organismi che hanno lo scopo di conseguire profitti, cioè di arricchire gli azionisti proprietari, non di tutelare gli interessi della collettività.

Perfino superfluo ricordare che, in queste condizioni di servitù finanziaria, nessuno Stato può definirsi democratico, non tanto perché la moneta è un elemento strutturale necessario per una società moderna, ma in quanto “appartiene” alla società stessa.

Esiste perché la società la accetta, ed ha forza cogente (deveessere accettata come mezzo di pagamento) esclusivamente in ragione della sovranità del popolo. Proprio come accade per una legge. (Il paradosso è che si utilizza la sovranità del popolo per agire contro di esso).

La moneta, infine, è un bene che appartiene alla collettività, nel senso specifico che ne è parte.

Lo Stato si è messo nella condizione di dover chiedere alle banche il denaro che gli occorre, pagando un interesse per una cosa che gli appartiene.

Considerato che tutta la moneta in circolazione nel mondo intero è oggi frutto di un debito presso il sistema bancario, ne segue che lo sviluppo dell'economia mondiale (in pratica, il futuro dell'umanità) dipende dalla disposizione delle banche stesse a concedere credito. E la concessione di credito da parte delle banche segue il criterio di base della solvibilità del creditore e della remunerazione. Una regola squallida certo favorevole al profitto delle banche, ma assai poco alla collettività.

Lo sviluppo è alla portata dell'immediato nostro futuro… se viene immediatamente tolta alle banche l'esclusiva della emissione della moneta.

Al problema della creazione della moneta, si ricollega strettamente il progresso del benessere per tutto il pianeta.

Oggi, ogni progetto è valutato in funzione del denaro che costa. Se invece la collettività si riappropria del denaro, domani potrà valutare qualsiasi innovazione progettuale sulla sola base della sua effettiva utilità.

Se il denaro fosse emesso gratuitamente dallo Stato, espleterebbe normalmente la sua funzione di soddisfare le necessità della società, senza crearle alcun aggravio, ci sarebbe lavoro per tutti e si potrebbero affrontare subito le grandi sfide incombenti: ambiente e povertà. La ricchezza sarebbe unicamente frutto del lavoro e non del parassitismo finanziario.

Lasciare la creazione monetaria nelle mani di una ristretta casta (ed alle sue mani sporche, ciniche e sordide), significa rimettere a questa ogni decisione sul futuro dell'umanità. Una decisione che non verrà mai presa poiché questa casta ha scelto come fine esistenziale il proprio gretto ed abbietto interesse, non quello della comunità umana.

Poiché invece il denaro è “pagato”, una parte non secondaria della ricchezza nazionale è utilizzata per pagare il nulla, cioè gli interessi. E ciò significa stornare ciò che è pubblico, il denaro, dalla sua naturale destinazione di servire all'utilità pubblica per destinarlo a rimpinguare tasche private.

Il complesso delle attività finanziarie oggi in giro per il mondo corrisponde a 4,5 volte il Pil mondiale e più cresce, più assorbe ricchezza reale.

Henry Ford, il noto industriale statunitense, non poté trattenersi da una significativa battuta: “ E' una vera fortuna che i cittadini non capiscano il nostro sistema bancario e monetario perché altrimenti io credo che scoppierebbe una rivoluzione prima di domani mattina”.

E' giunto il momento di dimostrare che i cittadini hanno capito benissimo.

Angelo Casella - 


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